La pubblicazione nel dicembre del 2009 della raccolta di documenti tratti dagli archivi del Foreign Office (P. Salmon, K. Hamilton, S. Twigge, Documents on British Policy Oversas: German Reunification, 1989–1990, Routledge, pp. 592 ss., £ 90,00) getta nuova luce su uno degli aspetti più controversi della politica estera di Margareth Thatcher. La stessa «Lady di ferro» ha confessato nelle sue memorie che la sua politica in materia di riunificazione tedesca era stata un «fallimento clamoroso». Anche se aveva accolto con favore la «rivoluzione democratica» dell’Est tedesco, «Maggie» era allarmata per la possibilità di veder ricostituita una Grande Germania. Possibilità che improvvisamente era diventata molto concreta nelle settimane che seguirono la caduta del muro di Berlino del 9 novembre 1989.
Il leader britannico era letteralmente ossessionato dai rischi insiti nel «carattere nazionale» tedesco e dal fatto che le dimensioni e la posizione geografica del nuovo Stato avrebbero potuto creare un «effetto destabilizzante, piuttosto che un elemento di stabilizzazione in Europa», contribuendo a indebolire la posizione di Mikhail Gorbachev in Unione Sovietica. Tuttavia, con il Presidente Bush completamente schierato a favore della riunificazione tedesca e con il Cremlino non in grado di arrestare quel processo, la posizione della Thatcher divenne quasi completamente isolata nei mesi successivi nello stesso circolo dei suoi più stretti collaboratori.
Sebbene l’ambasciatore britannico a Bonn, Christopher Mallaby condividesse a pieno i timori del primo ministro, insistendo sul patologico revanscismo dei tedeschi che «hanno sempre nostalgia per qualcosa», il responsabile degli Esteri Douglas Hurd e i vertici del Foreign and Commonwealth Office (Fco) manifestavano opinioni del tutto opposte. Lo stato maggiore della diplomazia londinese insisteva sul fatto che l’Inghilterra non poteva rinnegare il suo tradizionale impegno a favore dell’auto-determinazione del popolo tedesco che la stessa Thatcher aveva riaffermato nel 1985. In particolare, il Sottosegretario di Stato del Fco, Patrick Wright, rendeva noto che le convinzioni del capo di gabinetto britannico, una volta rese di dominio pubblico, avrebbero provocato «un forte malumore sia in Germania che negli Stati Uniti» dato che la giornata del 9 novembre aveva ormai scatenato un vero e proprio terremoto nello scenario internazionale.
Il 27 novembre, Mallaby comunicava che il tema della riunificazione, sebbene ancora formalmente evitato da Kohl e dal ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher, era diventato sempre più urgente nel dibattito politico interno della Rft, anche «se la maggioranza dei cittadini dell’Ovest ritengono che il processo pantedesco potrà concludersi solo nell’arco di un decennio conformemente al progetto proposto dal governo inglese». La mattina seguente, tuttavia, il suo omologo a Berlino Est, Nigel Broomfield, avvertiva Hurd che un numero crescente di abitanti della Ddr premevano per una riunificazione immediata. Il giorno dopo Kohl annunciava al Bundestag un progetto di ricongiungimento delle due Germanie di non breve durata, ma in serata Mallaby avvisava Londra che un colloquio riservato con il consigliere di Kohl, Horst Teltschik, lo aveva convinto che le cautele del governo di Bonn rischiavano di «essere superate dal prevalere di altri punti di vista». Proprio questo effettivamente avvenne. Il 18 marzo 1990, i negoziati tra le due Germanie e le quattro Potenze occupanti culminarono infatti con il cosiddetto Trattato Two Plus Four che garantiva la piena indipendenza al nuovo Stato tedesco riunificato.
Ancora alla vigilia di quell’accordo, la Thatcher, posta ormai «under siege» dalle «teste d’uovo» del Fco e dalle pressioni dell’opinione pubblica internazionale, aveva comunque ritenuto di poter trovare nel presidente francese Mitterrand un potenziale alleato in grado di aiutarla a fermare o a rallentare la riunificazione tedesca, Secondo il resoconto della riunione tra i due premiers avvenuta nel gennaio 1990, fornito dal segretario privato della Thatcher, Charles Powell, Mitterand avrebbe sostenuto di condividere le preoccupazioni della collega inglese e di ritenere che i tedeschi riuniti in una sola nazione avrebbero agito con la loro «tradizionale brutalità», nel tentativo di «riconquistare i territori perduti dopo il 1945 e forse di estendere le loro frontiere persino al di là dei confini tracciati dal Terzo Reich». A quelle parole non seguiva un’azione corrispondente, dato che nel corso del summit, l’inquilino dell’Eliseo finiva per sostenere che l’integrazione europea (e, in particolare, una moneta unica europea) avrebbe potuto costituire una soluzione soddisfacente per la questione tedesca.