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Così lontane, così vicine. Su “Le Belle Creature” di Martina Melgazzi

Creato il 18 dicembre 2013 da Lucianopagano

Anticipo qui di seguito la postfazione a “Le Belle Creature“, il racconto inedito di Martina Melgazzi che pubblicheremo nei prossimi giorni su musicaos:ed.

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Così lontane, così vicine. Su “Le Belle Creature” di Martina Melgazzi

La prima cosa che mi ha colpito del racconto inedito di Martina Melgazzi è stato il titolo, diretto, semplice eppure così nuovo, perfettamente atto a racchiudere la vicenda raccontata nello spazio breve di un’estate. La definizione di ‘dinamiti discrete‘ che l’autrice stessa affida ai protagonisti, Marco, Amanda, Giulietta e Filippo, descrive un mondo che è quello che troveremo nella lettura, un universo costituito dalla forza che hanno, i protagonisti, di attraversare quella terra così sconosciuta, densa di premesse e pericoli che è l’adolescenza.

Ecco Marco, il primo dei protagonisti, che si presenta in prima persona. Marco parlando di sé approfitta per descrivere i propri ‘compagni di viaggio’: “Paladini davanti alla folla, criminali nelle nostre stanze [...] Io, che mi svagavo fingendo di essere un blogger alternativo, questa grottesca contraddizione, in qualche modo, l’avevo percepita e costellavo il mio blog con frasi di accusa e di protesta all’ipocrisia generale. In pratica, avevo esteso nell’infinito virtuale il mio sporco conformismo reale.” Marco non è differente da molti adulti, che un po’ per paura di crescere e un po’ per le necessità imposte dalle scuse dei tempi, preferiscono apparire su uno scenario virtuale piuttosto che entrare nel gioco della vita vera. Ma siamo proprio sicuri che siano soltanto i giovani a essere coinvolti in questo tipo di scenario? Basti pensare alle ultime etichette che sono state coniate per descrivere la generazione di coloro che vivono attraverso la continua esposizione sui social media, pinterest, instagram, facebook, per l’appunto quella degli “expo-teen”. Quella caratteristica che un tempo veniva additata come superficialità è divenuta l’essenza stessa della propria profondità da esprimere. Come trovare un senso, qualcosa di tangibile e profondo in queste esistenze?

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I sentimenti, le emozioni, la poesia, sembrano essere i primi antidoti al deserto, a quel rumore bianco e sordo costituito dalle migliaia di interferenze e moltiplicazioni di immagini che però non costruiscono un immaginario, ma sono fotografie di un momento storico nel quale l’immagine e la parte si sostituiscono al tutto, senza descriverlo, risucchiando la realtà nel vortice dell’istantaneità e del momento. Poi c’è Amanda, innamorata della letteratura, appassionata di Shakespeare, coinvolta dal dialogo con coloro che solo in apparenza sono “morti”, dato l’effetto che hanno sulla sua formazione di giovane poetessa ‘alcolica’ e lesbica. La prima cosa che ci resta, leggendo di Amanda, è questo suo rifugiarsi nella scrittura per difendersi, unito al desiderio di tagliare via il mondo, creare una zona di tranquillità emotiva nella quale può entrare solo Barbara, la ragazza che desidera, con alti e bassi, sempre avvicinandosi ma senza mai volersi prendere realmente.

Interessante, fin da subito, il modo che l’autrice escogita per descrivere i lati oscuri dei personaggi, cioè attraverso le lucide interpretazioni degli amici del ‘gruppo dei quattro’ che si frequentano di più astraendosi dagli altri compagni. I quattro ragazzi si scrutano a vicenda, giudicandosi nel silenzio della propria anima. Filippo è il primo, con la sua solitudine, a interpretare e cogliere subito la solitudine dei suoi vicini, Giulietta può fare affidamento solo sul padre, la madre non c’è più, Amanda finge di essere indipendente, ma in realtà sono i suoi genitori a essere schifati dall’omosessualità della figlia, e Marco, che apre il racconto, figlio di genitori iperprotettivi, se la cava a modo suo restando in un limbo di timida affettività. Filippo e Amanda sono accomunati dal desiderio di alcol, il primo per fuggire, la seconda per ispirarsi. Marco, secondo Giulietta è “un eroe goffamente inesistente e galleggiava nel caos informatico”, dedito al suo blog e poco avvezzo alla socialità, perfino a quella più comoda e meno implicante dei social network. Giulietta prova qualcosa per Marco, e da circa sei settimane è in attesa di un bambino, avuto da un ragazzo sconosciuto ai suoi amici. Giulietta è in cerca di amore, protezione, ma soprattutto di fiducia.

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Un giovane insoddisfatto, troppo presto dedito alla droga e all’alcol, una giovane ragazza in attesa di un piccolo miracolo, dentro di lei, una giovane poetessa che prova amore per le ragazze, e non è accettata dai suoi genitori, e, infine, un ragazzo che non ha il coraggio di essere ciò che è, e si maschera dietro una maschera fittizia. L’alchimia di questi quattro caratteri è una miscela destinata a esplodere, forse.

Forse il pretesto sarà futile, forse ciò che deve accadere per dare un senso alle loro vite potrebbe avvenire da un momento all’altro, magari durante una festa, una di quelle feste fotocopia alle quali i quattro prendono parte durante l’estate, un’occasione come un’altra, solo in apparenza. Una festa come quella che sta avvenendo adesso, in casa di Filippo.

Martina Melgazzi è una brava autrice, ha dimestichezza con i tempi della narrazione e i modi dello stile, sta costruendo un percorso personale e, soprattutto, le sue dichiarazioni di impossibilità a vivere senza scrittura (e lettura) fanno ben sperare sul suo futuro, non solo letterario. Ma soprattutto Martina Melgazzi scrive bene adesso, con un buon margine di miglioramento, e ciò è un vantaggio. Non c’è niente di cui si sente di più il bisogno, in questo momento.

Luciano Pagano



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