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Cosmo idiota 11: La svastica sul sole non è un romanzo di fiction

Creato il 29 marzo 2012 da Ilibri
Cosmo idiota 11: La svastica sul sole non è un romanzo di fiction Cosmo idiota 11: La svastica sul sole non è un romanzo di fiction Un libro scritto da un libro dove la Storia, come noi la conosciamo, è completamente capovolta e non si distingue più cosa sia reale o cosa no. Questo è La svastica sul sole, il titolo con cui è conosciuto in Italia L’uomo dell’alto castello (The man in the high castle in originale), senza dubbio uno dei romanzi più famosi di Dick. Scritto nel 1961, pubblicato dalla Putnam nel 1962 in edizione dalla copertina rigida, ha vinto il Premio Hugo, il maggior riconoscimento per uno scrittore di fantascienza, nel 1963. Il romanzo sancisce anche la decisione definitiva da parte di Dick di abbandonare la narrativa mainstream per dedicarsi interamente a quella fantastica. Stabilisce quindi un punto di svolta nella biografia dello scrittore, che riversa in quest’opera molte vicende personali e che tenta di fondere le tecniche usate per i romanzi classici con quelle destinate alle opere di fantascienza. Non è un caso che il lavoro creativo e le sue implicazioni siano uno dei temi portanti del romanzo, accanto alla domanda ricorrente dell’autore: “cos’è reale?”.        
Ne L’uomo nell’alto castello l’Asse ha vinto la seconda guerra mondiale e si è spartita il mondo con il Giappone. Gli Stati Uniti a loro volta sono divisi tra i due, se si eccettua una piccola zona di resistenza. I governi differiscono per atteggiamento e politica. I tedeschi sono rigorosi e spietati, hanno reso il Mediterraneo un immenso campo coltivabile e l’Africa un continente laboratorio e gigante campo di concentramento. Ovviamente continuano a perseguire lo sterminio degli Ebrei, che ormai sono ridotti a una manciata su tutto il pianeta. I giapponesi invece si affidano interamente all’ I-Ching, il Libro dei Mutamenti, per condurre qualsiasi operazione, sono molto più tolleranti e trattano la cultura americana come un reperto esotico e all’ultima moda di archeologia. In questa desolante realtà storica l’unica speranza per gli sconfitti risiede in un romanzo messo all’indice dalla Germania, ma che circola liberamente nei territori sotto l’influenza giapponese, La cavalletta non si alzerà più (The Grasshopper Lies Heavy) scritto da Hawthorne Abendsen, un’autore statunitense che si nasconde all’interno della sua casa fortezza, l’alto castello, appunto. In questo metaromanzo si narra la vittoria degli Alleati sull’Asse, in un modo che si avvicina alla storia, come noi la conosciamo, ma anche dalla quale differisce. In questo scenario si muovo il signor Baynes, un industriale svedese in viaggio negli USA per lavoro; Frank e Juliana Frink, un artigiano specializzato nella riproduzione di pezzi di antiquariato statunitense e la sua ex moglie, ossessionata dall’idea di incontrare Abendsen; Robert Childan mercante d’arte e antiquariato americano per i facoltosi giapponesi e Nobusuke Tagomi, un funzionario commerciale nipponico, a cui l’autore affiderà il compito di redimere il male del mondo, sicuramente uno dei personaggi più riusciti di Dick.            
La struttura narrativa è quella del “punto di vista multiplo”, Dick intreccia sapientemente le vicende dei singoli personaggi sovrapponendo le diverse prospettive, polverizzando in tal modo le certezze del lettore. Costantemente ci si domanda quale sia la realtà: quella dove ha vinto l’Asse o quella dove hanno vinto gli Alleati. La risposta la fornirà l’I-Ching - che Dick usa, per la prima volta nella storia della letteratura, come strumento di creazione e sviluppo della trama – affermando che la realtà è quella raccontata ne La cavalletta non si alzerà più. La scelta dell’autore genera una duplice conseguenza: da una parte i personaggi del romanzo sono gettati nel caos non sapendo più a quale orizzonte fare riferimento; dall’altra il lettore viene portato a riflettere sulla sua realtà ed è spinto a chiedersi se gli Alleati abbiano vinto realmente la guerra. Cerchiamo di spiegarci meglio. Quello che Dick sembra suggerire al lettore attento è che, nonostante la Seconda Guerra Mondiale sia stata vinta dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dalla Russia, in realtà ad aver vinto sono state le istanze malvagie e oscurantiste del nazismo, manifestatesi in tutta la loro virulenza nel capitalismo (potremmo dire nella dittatura del mercato) e nelle dittature comuniste. Non è più un segreto che molti quadri nazisti, coloro che formavano la spina dorsale dell’apparato Terzo Reich, quelli che si spremevano le meningi e si sforzavano di attuare i piani deliranti dei loro gerarchi, siano stati arruolati e impiegati dai governi vincitori - lo stesso è accaduto in Italia con il fascismo. Dick lascia una traccia per il lettore a riprova di questa inversione di realtà, quasi fosse una chiave di lettura: nel romanzo saranno i Tedeschi, con l’ “Operazione Dente di Leone” a voler eliminare i Giapponesi grazie all’impiego di testate atomiche. Come a dire che il governo nazista e quello statunitense sono la stessa cosa. Per usare le parole di Umberto Rossi, raccolte nel libro Philip K. Dick la macchina della paranoia: “Nel 1945 ha veramente trionfato il bene ed è stato sconfitto il male, oppure quel che è avvenuto è la vittoria di un male minore…? Resta da capire, al di là delle celebrazioni stile Soldato «Ryan di Spielberg», chi o cosa abbia veramente vinto quella guerra che si comincia a dimenticare”.
        
Altro tema centrale, forse sottovalutato, ne L’uomo nell’alto castello, è quello della potenza creativa, della suggestione che si può infondere in un’opera d’arte e che può trasmettersi a chi la fruisce, in maniera così forte da fargli persino cambiare idea riguardo a ciò che lo circonda e ai suoi valori. Questa potenza è incarnata da Hawthorne Abendsen, lo scrittore underground e affermato, ma ancor di più da Frank Frink, l’artigiano ebreo (il suo vero nome è Fink) che si occupa di costruire riproduzioni di oggetti americani assurti al ruolo di antiquariato per i giapponesi. Sarà proprio grazie ad una sua opera e al wu (la saggezza, il tao) in essa racchiuso, che Tagomi riuscirà a liberarsi delle illusioni che lo circondano e potrà così salvare una vita, compiendo un atto che si può definire a buon diritto “ispirato”. Per la sua trama poliedrica, per gli stupendi personaggi, per la sua indagine sul concetto di realtà, per la dissoluzione del pensiero dominante, per le riflessioni profonde che suscita e per una certa dose di essenza profetica, L’uomo nell’alto castello o La svastica sul sole è sicuramente uno dei migliori romanzi di Philip Dick, nonché una delle opere più brillanti della narrativa del Novecento e, come afferma Goffredo Fofi nella postfazione alla vecchia edizione Fanucci, merita un posto accanto a Borges, Nabokov, Beckett, Vonnegut e Calvino.
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