di Alberto Bolognesi. Nella guerra hi-tech fra Chicago e Ginevra l’ultimissima è che l’universo è “un rumore olografico”, un miraggio a 2D che risuona come cassa armonica di extradimensioni nella trama quantistica dello spaziotempo. Tranquilli, stipendi e pensioni non sono “pixelati”. Sebbene l’ipotesi sia “maledettamente” seria (Fermilab), la maggioranza dei premi Nobel ci rassicura che siamo “sostanzialmente” qui perchè ci fu un Big Bang propiziato da una specialissima particella che se non ci fosse bisognerebbe inventarla e che per caso finì per essere il bosone che non poteva essere lì a caso. Equivoco dono degli Dei, dunque, o ancor più inverosimile riffa della contingenza, “il robusto scenario” fece esplodere da un punto (che precedentemente non esisteva) il tempo e lo spazio, le stelle e le galassie, lo spaziotempo di Minkowski e via via i dottori Higgs, Englert e Brout, l’autore di questo articolo e Peppa Pig.
Dalla scalmanata Palla di Fuoco che si gonfia più-veloce-della luce al flusso “quieter” di Hubble, dalla “esotica” ed elusiva “dark matter” che nessuno sa cos’è alla ancor più fantasmatica “Energia Oscura”, capace perfino di accelerare l’espansione per far tornare i conti, TUTTO MA PROPRIO TUTTO era già iscritto nelle condizioni iniziali, che emergono come palizzate sul ciglio del nulla 13,8 miliardi di anni fa. La domanda è: come è potuto accadere? Come è potuto accadere che una teoria così ridicola si sia impadronita delle Università più famose, dei Centri di Ricerca più avanzati, dei più potenti mezzi di comunicazione e che sia stata fatta passare per una scoperta a 5 sigma in grado di attingere a vertiginose quantità di denaro pubblico? Può sembrare incredibile ma è esattamente questa bazzecola da cui tutto ebbe inizio che alimenta la raffinatissima caccia alle particelle simmetriche del “fiat lux”. Ventisette chilometri di sottosuolo franco svizzero, a partire dal costo base di svariati miliardi di euro scavati all’interno di una superstizione popolare, mentre è già pronto il progetto di un acceleratore di 100 chilometri “per spingerci oltre i limiti della conoscenza” (CERN). “Io tra Dio e il Big Bang” dichiara la neo Direttrice Fabiola Gianotti a un giornale di grande tiratura: “Possono privarci del lavoro, dello stipendio, della casa, ma nessuno può portarci via il nostro cervello” (La Repubblica). Ciò è tanto più sorprendente quando si ha a che fare con un’ audience di miliardi di persone che sperimentano sulla propria pelle la crisi di sistema più profonda della storia e una disoccupazione generalizzata a cui non sembra esservi rimedio. “Quanto pesavano le particelle un bilionesimo di secondo dopo la Creazione?! -mi canzona un giovane studente di fisica- Se mi date uno stipendio sono pronto a sostenere qualsiasi teoria”.
Per i salotti che contano la soluzione è lo sbarco su Marte. Una danza di supereroi che si danno il cinque fra dune rossastre e al chiarore di due lune, con un sottofondo alla gioia provato in studio fino all’esasperazione. Tutto rigorosamente in differita, data la grande distanza. Ma come si fa a salvare il Mondo e l’ “umanesimo del terzo millennio” con i putipù del Big Bang o con rischiosissime passeggiate su un gelido deserto? Molto meglio e senza rischi potrebbero fare le sonde automatiche di nuova generazione, che vedono meglio, che analizzano meglio, che hanno un margine di miglioramento illimitato e che dopotutto sono fatte per essere sostituite con macchine che funzionano meglio. Con la dovuta ammirazione per gli ardimentosi che si stanno allenando duramente nei simulatori o al fondo di qualche piscina in attesa di finanziamenti, il futuro della” conquista dello spazio”, anche quello dalle finalità più palesemente mediatiche, appartiene alla tecnologia e agli uomini di vicinanza militare che la progettano. Però non sarebbe la stessa cosa. “Morte su Marte” è certo un titolo da brividi, ma vuoi mettere un’odissea di senzienti duri e puri disposti a barattare il ritorno a casa per il canto delle Sirene a confronto dell’ipotetico crash di un supertecnologico robot, annunciato con professionale distacco nel telegiornale della sera? Non è neanche il caso di scomodare il Mondo 3:questo è precisamente il luogo degli incubi di Orwell e Aldous Huxley, teorizzato dal filosofo della comunicazione Marshall McLuhan. Evidentemente abbiamo ancora bisogno di sacrifici umani, oppure si dovrebbe dire che i danni collaterali sono l’anima del commercio. E allora, o tutto è davvero un insensato ologramma o la più penetrante conquista dell’umanità che ci distingue e ci eleva rispetto alle altre forme di vita conosciute dalle scimmie ai cani, ai cavalli, alle piante, ai microrganismi, ai virus è- se non ci scappa da ridere- la consapevolezza che veniamo dal nulla per mezzo di un’esplosione prodotta dal caso. Un po’ poco per alzare i calici: Dio è caso, il caso è un’esplosione ed entrambi vengono dal nulla. I fisici delle alte energie possono staccare serenamente la spina ai loro ottovolanti grandi come contee e ai loro magneti alti come palazzi: al di là dell’ultima particella non troveranno che il nulla.
OPPURE. Oppure anche al CERN gli scienziati potrebbero sorprenderci, ammettere che la teoria del Big Bang non vale un centesimo e che l’ assunzione fondamentale che mantiene “in espansione” l’universo – i.e. che i redshift delle galassie lontane misurino velocità proporzionali a distanze – è il più grossolano epiciclo mai introdotto dall’astrofisica moderna. L’evidenza era disponibile già ai tempi di Christian Doppler quando fu rapidamente chiaro che il suo effetto, riscontrabile anche nelle onde luminose, era puramente cinematico e non aveva alcun rapporto con la distanza. Furono complesse e stringenti motivazioni politico strategiche ma anche religiose e commerciali a sancire verso la fine degli anni Settanta, con una vera e propria “intesa di Aspen”, l’interdisciplinarieta’ fra microfisica e modello standard del Big Bang aprendo a immediate, straordinarie opportunità di sviluppo e di ricerca tecnologica. Ciò ha permesso di programmare la progettazione e la realizzazione di enormi telescopi a terra e nello spazio, satelliti nelle alte energie, apparecchiature sofisticatissime e nuovi acceleratori accreditati di poter rivelare l’origine dell’universo. Una geniale americanata alla Dan Brown, si potrebbe commentare, sfociata nella ricerca della particella “finale” definita” di Dio” e “recentemente scoperta” secondo il CERN e centri collegati, ma apertamente contestata da un gran numero di Università americane. Ecco qua nell’opinione di Fred Hoyle e dei coniugi Burbidge la storia condensata dell’irresistibile ascesa della teoria del Big Bang, costruita quasi sistematicamente su estrapolazioni e simulazioni al computer presentate come scoperte scientifiche, ma contraddette empiricamente nel modo più severo dai cosiddetti “redshift anomali” , dalle impossibili” superluminosita’ dei quasar” , dalle inverosimili” dita di Dio” , dalle stravaganti “ accelerazioni simultanee dell’ universo”. Un contenzioso terrificante che basterebbe a bollare “il paradigma della Grande Esplosione come l’età delle forze oscure”, dove ciò che non si vede e non si può provare serve a provare ciò che si vede e che si può provare. O le diecimila galassie con blueshifts catalogate nel NASA Extragalactic Database sono tutte “errori di algoritmo” o l’universo non si espande. O sciami di “stelle iperveloci” stanno congedandosi dalla Via Lattea per emigrare nello spazio profondo o i loro spostamenti spettrali non hanno a che vedere con le velocità di fuga. O le innumerevoli discordanze dei redshift extragalattici rilevate da astronomi prestigiosi sono invariabilmente” accidenti di prospettiva” o la legge di Hubble è abrogata nei fatti. O il quasar “più distante” e più spostato verso il rosso -che deve recedere radialmente a velocità prossima a quella della luce- ci “sferza” con flussi controcorrente di particelle spostate verso il blu (U.F. O. ) o l’ effetto Doppler non c’ entra. O”l’ arazzo” di 93 quasar (aka Huge- LQG e aka CCLQG) individuato fra Hercules e Corona Borealis con redshift medio z 1.3 ha un diametro e una distanza di 10 miliardi di anni luce -e allora l’ età dell’ universo è confutata empiricamente- oppure i quasar sono semplicemente oggetti piccoli, vicini e poco luminosi, associati fisicamente con le galassie di primo piano. O la scienza delle simulazioni continuerà a inventare nuovi posti di lavoro scialacquando il denaro pubblico e dissestando l’ economia reale, oppure i” buchi neri supermassicci” non hanno altro scopo che quello di rendere i quasar così luminosi da poter essere visti alle loro inverosimili distanze di redshift.
La partita che sembra ormai impossibile evitare di giocare è quella della completa reinterpretazione degli spostamenti spettrali per mezzo delle nuove teorie di risonanza. Qualcuno è del parere che non serve aver fretta di cambiare il sistema del mondo e tutta la fisica, perchè realisticamente non abbiamo più di due o trecento anni di drammatica sopravvivenza che del resto non risolveremo con l’altruismo o con i sentimenti di fratellanza. Forse l’atmosfera non ce la farà o forse, al contrario, ci saranno pasti gratis per tutti. Fra quattro milioni di anni il relitto assiderato della sonda Pioneer 11 (classe 1973) con un ben noto messaggio augurale a bordo transiterà in prossimità della stella λ Aquilae. Forse lassù qualcuno ne rileverà il passaggio e chissà, nonostante lo scetticismo degli scienziati ricambierà gli auguri. Pare che non ci sia modo di indirizzare segnali più veloci della luce, ma se anche esistessero propagazioni superluminali in grado di farla franca con gli assiomi einsteiniani, questi impulsi sarebbero ancora troppo lenti per consentirci di interloquire e di rapportarci alla scala cosmica. Sommamente probabile appare dunque che il Pioneer scorra nell’impassibilità siderale davanti al disco di λ Aquilae, STRAORDINARIAMENTE perduto nello spazio, straordinariamente perduto nel tempo e straordinariamente perduto nel significato. Val la pena stressarne la “straordinarietà”, perchè Pioneer non ha sbagliato strada come un’effimera che ha puntato inconsapevolmente il mare aperto: di certo non lo ha fatto per caso, non per accidente, non per alea, non per pressione selettiva. Tecnologia a parte, il suo transito esibisce una complessità di passaggi di un’intenzionalità sconvolgente, che ha tenuto conto, previsto e sfruttato forze gravitazionali e mareali di cui non avrebbe dovuto conoscere nemmeno l’esistenza. Un vero e proprio alieno nella notte della contingenza che nessuna strategia adattativa naturale sarebbe mai in grado, da sola, di realizzare. E’ molto, molto di più dell’orologio di Paley o di un agrodolce leopardiano naufragio: è spinto da un’originaria, lucida follia alla ricerca di un destino. In analogia a tutti gli spermatozoi che di regola non ce la fanno è altamente probabile che non ce la farà, ma resterà legato a se stesso e al suo progetto misterioso fino all’ignoto compimento, dovesse vagare per sempre. Non è il caso di parlare di indifferenza cosmica o di “tragiche” epopee del nulla e del vano. Evidentemente l’universo prepara dall’interno di se stesso cose che hanno cognizione di sè e questo, almeno per stasera, dovrebbe bastarci.
A.B., gennaio 2015
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Featured image, screenshot da The Big Bang Theory, Leonard mostra a Penny l’universo-olografico.