2009: Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli
Presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2009 dove ha vinto vari premi.
Cosmonauta è il primo lungometraggio di Susanna Nicchiarelli. Distintasi finora nella realizzazione di documentari (ma ha collaborato anche con Nanni Moretti), mostra doti non comuni: è brava nel dirigere gli attori, è abile nell’imprimere il giusto ritmo a quanto racconta, è capace di ricostruire un passato senza tradirne lo spirito, è accorta nel miscelare fiction e immagini di repertorio (le varie missioni nello spazio). Purtroppo in questa sua fatica non è aiutata da una valida sceneggiatura. Appropriato mi sembra quindi il giudizio di Lietta Tornabuoni su La Stampa: la giornalista apprezza “la sensibilità sentimentale, la capacità di ri-creazione complessa di un tempo” ma riconosce che “la vicenda è un poco fragile e slegata”.
La regista, scrive Giancarlo Zappoli, ci vuole ricordare “che, anche se viviamo in un mondo in cui i miti si sono dissolti per farsi sostituire da ectoplasmi evanescenti, i ragazzi hanno più che mai bisogno di modelli e di regole. Con cui magari scontrarsi. Per poter crescere”.
Il problema di Cosmonauta (certamente apprezzabile nel piatto panorama della attuale cinematografia italiana, in troppa parte oscillante tra sdolcinate romanticherie giovanilistiche e volgari e retorici sketch più o meno ridanciani) è che questa «crescita» non appare. Il personaggio principale intorno a cui tutto ruota ha sempre le stesse caratteristiche dall’inizio alla fine del film (dal 1957 al 1963): non ci sono evoluzioni né maturazioni visibili, il che rende il ritratto della protagonista piatto monocorde e superficiale. La descrizione dell’ambiente in cui si muove è buona, una bella cornice a cui però manca la sostanza: il tutto dà l’impressione che la Nicchiarelli si comporti come un pittore che dopo aver dipinto un interessante sfondo interrompe il suo lavoro, rendendo quindi il quadro incompleto (giustamente Alessio Guzzano parla di “fragile film imperfetto”).
Una bella sorpresa la performance di Claudia Pandolfi e di Sergio Rubini. La prima, lontana dai cliché televisivi, offre forse la sua migliore interpretazione, il secondo abbandona il macchiettismo che ultimamente lo ha caratterizzato. Perfetta nel ruolo attribuitole l’esordiente Miriana Raschilà.
p.s.
Bella la colonna sonora che ci fa sentire alcuni grandi successi dell’epoca: ma perché reinterpretati? L’unica spiegazione è che si sia voluto attualizzare il passato… Sarà, ma quei brani, così presentati, perdono gran parte del loro fascino.
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