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Il mondo che vediamo in “Cosmopolis” di David Cronenberg è un mondo reale. La fisicità dei corpi si tocca, si annusa (sugli odori c'è insistenza nel film), può sanguinare; né mai, durante il viaggio in limousine di Eric Packer (un sorprendente Robert Pattinson) attraverso una New York impazzita, il film mette in dubbio (classica questione cronenberghiana) lo statuto di realtà dell'immagine. E tuttavia, per trovare nel mare tempestoso della filmografia di Cronenberg riferimenti utili a intendere “Cosmopolis” potremmo rivolgerci in particolare a “eXistenZ” e “Il pasto nudo” - in particolare ma non solo, ovviamente, e comunque tutto nasce da “Videodrome”. I film di Cronenberg in cui l'universo viene a coincidere con la mente: il mondo-allucinazione.
Questo perché la realtà fisica del corpo e del senso si inserisce nella perdita del Senso. Cronenberg ha descritto la caduta della civiltà occidentale come caduta della Legge ne “La promessa dell'assassino”, come caduta del Senso in “Cosmopolis”. Perdita del senso perché al centro di “Cosmopolis” c'è la realtà allucinatoria del cybercapitalismo - ovvero un capitalismo immateriale, svincolato dal valore-lavoro insito nella merce (direbbero i grandi vecchi Ricardo e Marx) e ridotto a pura illusione di dati che lampeggiano sullo schermo dei computer (la luce dei monitor, sentiamo nel film, è la luce del cybercapitale). A questo trasferimento nell'astrazione che caratterizza l'ultimo capitalismo non fa meraviglia che sarcasticamente risponda l'ipotesi del topo come nuova unità monetaria, e proprio in questo senso la figura del topo ritorna ossessivamente nel film.
“Il valore dei soldi non lo so più”, sentiamo dire (dalla gallerista) in “Cosmopolis”. E infatti Eric, il giovane re della finanza (una battuta paragona ironicamente lui e il suo giovane partner a Romolo e Remo), perde centinaia di milioni di dollari in una scalata allo yuan che fallisce. Eric crede di poter cavalcare le cose e le valute muovendosi secondo i modelli matematici astratti e razionali di cui è esperto (vale la pena di osservare che anche il cinema di Cronenberg, come quello di Kubrick, è pieno di grandi programmatori falliti). Ma è fin troppo evidente che in questa condizione virtuale le valute acquistano la personalità capricciosa delle figure mitologiche; il giovane re si rovina per non aver saputo riconoscere “i tic” dello yuan (“Lo yuan si è preso gioco di me”).
C'è nel film un bizzarro collegamento metaforico con questa rovina. Eric, sentiamo a conclusione della folle scena della visita del dottore in auto, ha la prostata asimmetrica. L'ossessione di Cronenberg per l'interno del corpo (cfr. “Inseparabili”) qui assume un particolare valore simbolico. L'asimmetria e l'irregolarità dell'interno del corpo irridono all'illusione “simmetrica” della previsione razionale.
Il concetto narrativo base di “Cosmopolis” è il tentativo di Eric di attraversare New York in una limousine super-accessoriata che è un autentico palazzo viaggiante ristretto in una dimensione claustrofobica da scatola (Eric, racconta, ha anche tentato di isolarla dal rumore esterno, ma invano). Cronenberg in un'intervista la paragona a un acquario, ma si potrebbe dire di più: mentre “Crash”, l'altro suo grande film sull'automobile, metteva in scena il matrimonio della carne e del metallo, qui abbiamo la limousine come utero.
Credo sia interessante mettere in relazione la dimensione assurdamente ristretta dello spazio vitale di Eric (assurda ma per lui di piena soddisfazione) con la dimensione assurdamente estesa dei suoi progetti: brucia la sua fortuna sullo yuan, vuol farsi costruire un poligono di tiro nel suo appartamento, cerca di comprarsi l'intera Cappella di Mark Rothko per metterla a casa sua e tenerla per sé senza farla vedere a nessuno (“E' mia, se la compro”).
Tutto questo c'è già nel romanzo omonimo di Don DeLillo. Infatti ciò di cui è stato accusato Cronenberg è di essere stato un po' vicario (“soggiogato”, ha scritto Paolo Mereghetti) rispetto al film; e indubbiamente ciò può dar conto di una certa verbosità che qua e là si avverte. Ma bisogna anche dire che il romanzo di DeLillo sembra scritto apposta (come già accadde per Ballard e Burroughs) per esprimere umori e ossessioni di Cronenberg. Eric è totalmente cronenberghiano, si inserisce al cento per cento nella galleria di personaggi del regista: “tutti relitti di esperienze affettivo-cognitive inelaborabili e accomunate dalla transizione dalla fascinazione perversa alla psicosi” (Dalle Luche-Barontini, Transfusioni. Saggio di psicopatologia dal cinema di David Cronenberg). Da questo bel libro del 1997 traggo un'altra notazione importante: per queste figure rapportarsi (sessualmente) significa lacerarsi; infatti il sesso in “Cosmopolis”, il sesso in Cronenberg, è violento e faticoso, doloroso e ginnico – non piacere ma contatto.
Il viaggio di Eric si trasforma in un viaggio nel caos; attorno alla limousine si disegna uno scenario da incubo (Dante più che Joyce sembra il nume ispiratore), ed Eric lo rispecchia: il suo stato d'animo, attesta il film, è lo smarrimento; il fallimento passa dalla dimensione economica alla dimensione esistenziale. “Cosmopolis” è una marcia verso la morte. La scandiscono, con la cupa regolarità dell'orologio di Poe, gli incontri progressivi con la giovane moglie Elise - che nel suo stupore quasi catatonico, vera incarnazione dell' essere “di là”, incarna, se non metafisicamente la Morte (non sarebbe cronenberghiano), certamente l'Altro e la Perdita.
Cronenberg, disegnatore di universi mutanti, disegna dunque con “Cosmopolis” un mondo della perdita del senso, un mondo-allucinazione, ma che è quello in cui viviamo oggi. Le sue profezie si sono avverate: il mondo di “Videodrome” è arrivato qui.
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