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Packer è il prototipo del giovane miliardario, un po' come il Mark Zuckerberg di The Social Network, un ventottenne incredibilente precoce che controlla il suo vastissimo impero da una console inserita nel bracciolo della sua limousine iper-tecnologica, un maniaco del controllo che fagocita colossali quantità di dati e si sottopone ogni giorno a visite mediche approfonditissime. Fa di tutto per acquistare una chiesa ancora consacrata solo per il gusto di possederla, colleziona aerei da guerra che però non ha la possibilità di pilotare, e riveste la sua macchina di sughero per renderla perfettamente insonorizzata anche se adora i suoni della città, insomma “Greed is good” come ci ricordava il Gordon Gekko di Wall Street Il denaro non dorme mai. Ma ad un certo punto la realtà sfugge al controllo di Packer, lo yuan assume improvvisamente un andamento imprevedibile, le sue equazioni perfette non funzionano più, il mercato non obbedisce più alle stesse regole, persino la routine della visita medica non va come previsto perché il medico gli rivela che la sua prostata è asimmetrica. La realtà è imperfetta, asimmetrica, non è possibile ingabbiarla in grafici e tabelle, e prima o poi arriva una crisi economica o un'anomalia molto più insignificante a ricordarcelo. Questi uomini d'affari che controllano il mercato sono dei folli, quasi degli alieni, isolati nelle loro torri d'avorio o nelle loro costosissime limousine che dall'interno sembrano sempre più delle navi spaziali, che galleggiano lentamente nelle strade della città mentre fuori dai finestrini scorre una realtà terribilmente distante, un film, un'immagine digitale aggiunta artificialmente o scene di vita quotidiana proiettate su un telo, come il vistoso trasparente usato da Cronenberg. Cosmopolis è un'opera difficile, non tanto per lo spettatore, quanto più per un regista. A più di vent'anni da Il Pasto Nudo Cronenberg decide di adattare per lo schermo un romanzo apparentemente intrasponibile, prende un personaggio in cui è impossibile immedesimarsi, assegna il ruolo ad un attore su cui non avrebbe scommesso quasi nessuno, e lo sbatte in uno spazio claustrofobico ad ascoltare una sfilza di dialoghi prelevati di peso dal romanzo, lunghi monologhi che hanno tutte le caratteristiche del flusso di coscienza, pieni di tecnicismi e divagazioni repentine. Eppure il film funziona perfettamente, richiede la giusta predisposizione è vero, però è tutt'altro che inaccessibile, e Cronenberg fa un lavoro grandioso con una regia elegantissima che riesce a dare potenza e dinamismo persino ad un esame della prostata o a un dialogo di dieci minuti sulla finanza. Mentre i personaggi sproloquiano di arte contemporanea, indici di borsa e informatica, il grandangolo spalma gli interni della limousine sullo schermo, facendola sembrare un alcova (elettrica) fuori dallo spazio e dal tempo. E poi ci sono le scenografie, pochi sanno dare vita agli ambienti come Cronenberg, riesce a creare una catapecchia, a riempirla di cianfrusaglie e a far sembrare che qualcuno ci abbia vissuto fino a pochi minuti prima, e a quanto pare non se la cava male nemmeno con il lusso gelido e disumano. Qualcuno giustamente si è chiesto: perché adattare un romanzo del genere ? Semplice esercizio di stile ? Gusto della sfida ? Forse, ma non si può negare che Cosmopolis racchiuda in se molti degli elementi della poetica cronenbergiana, presente e passata. C'è una visione esasperata della sessualità, l'alienazione e la follia della società contemporanea, e poi torna un tema chiave del cinema di Cronenberg, la macchina, che qui più che fondersi con l'uomo sembra isolarlo dal resto del mondo, una sorta di utero metallico; ma ci sono anche i computer, prolungamento delle mani del protagonista e sempre al centro della sua attenzione, fusi in un'unica rete globale che è sempre più vicina a risucchiare l'uomo. Già il fatto di essersi lanciato in un'impresa del genere e di esserne uscito dignitosamente sarebbe stato un merito, ma Cosmopolis è tutt'altro che una fredda trasposizione, è l'opera molto personale di un regista che si è ritrovato nel lavoro di un altro artista. E immagino sia per questo che Cronenberg è riuscito ad andare oltre le ovvie difficoltà di una produzione del genere. Si insomma mi sono un po' perso per strada, ma immagino sia chiaro che il film mi è piaciuto moltissimo, così tanto che ho digerito persino Robert Pattinson.
Intrinseco
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