Vent’anni di prigione. Questa la condanna per Simone Gbagbo, moglie dell’ex presidente della Costa d’Avorio Laurent. Al termine di un processo in cui era accusata insieme a un’ottantina di altre persone, l’ex ‘prèmiere dame’ è stata riconosciuta colpevole di “attentato alla sicurezza dello stato” in relazione alle violenze postelettorali del 2010-2011 che provocarono, secondo alcune stime, oltre 3.000 morti.
Simone, come tutti i suoi coimputati, si era dichiarata innocente mentre la procura aveva richiesto la condanna a dieci anni per crimini come “partecipazione a un movimento insurrezionale”, “costituzione di bande armate”, “reclutamento di giovani combattenti” e tentativi di brogli elettorali.
L’avvocato difensore della donna ha annunciato immediatamente la presentazione di un ricorso in appello, mentre la figlia di Simone, Marie Antoinette, ha parlato di “giustizia politica” che mirerebbe a “sbarazzarsi degli avversari”. “Se qualcosa di sbagliato è avvenuto – ha sostenuto la donna – è accaduto da entrambe le parti. Nessuno si è curato di portare tutti i responsabili a processo”. Simone, al momento della sua deposizione, aveva attaccato il presidente in carica Alassane Ouattara, i cui partigiani si scontrarono con quelli di Gbagbo dopo l’elezione di cui era stato dichiarato vincitore l’attuale capo di stato.
Silenzio, ovviamente, sugli scheletri negli armadi della Francia e della sua politica colonialista.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)