Costanzo Preve e la filosofia dell’emancipazione
«Oggi la peccaminosità è compiuta e forse ci sono le precondizioni sociali perché una nuova forma di coscienza possa nascere. Io non la vedrò sicuramente, ma è molto possibile che le persone che hanno oggi venti o trent’anni non soltanto la vedano, ma ne siano anche protagonisti!» (Costanzo Preve, 1943-2013)
La notte del 23 novembre ci ha lasciato, con nostro immenso dolore, il filosofo Costanzo Preve. Quando si spengono uomini che hanno speso la loro intera esistenza nel campo del pensiero, è sempre difficile affrontarne la perdita. Da un lato si è consapevoli di non poterne più apprezzare la vicinanza, di non poter più contare sul loro occhio critico verso l’immediato presente o – come nel mio caso – di non poter più avere l’occasione di conoscerlo di persona. Quest’ultimo è un rammarico che porterò con me a lungo, se non per tutta la vita. C’è però dall’altra parte la solida certezza di poterlo incontrare nella lettura di ciò ci ha lasciato, come se fosse lì presente, nelle migliaia di pagine segnate dalla sua instancabile macchina da scrivere. Perché se in fondo la vita è un lasciar tracce, il prof. Preve l’ha ben spesa.
Questo paradosso si somma a un altro: il suo fisico non era forte quanto il suo pensiero, e la sua morte è stata per questo prematura. Molti hanno avuto in passato differenti esperienze, prospettive, rapporti con il pensiero di Preve, e non c’è dubbio che l’intera impalcatura della sua opera si presti a numerosi tagli di lettura, spesso contrapposti; d’altronde è inevitabile di fronte ad un lascito intellettuale così sterminato. Ma vorrei qui invitare tutti coloro che hanno già lavorato sui suoi testi, coloro dai quali ne hanno saputo trarre molteplici spunti e intuizioni, a non perdere l’occasione – da oggi necessaria – di guardare all’opera di Preve come un “intero”, senza indebitamente frantumarlo in schegge, per ambiguità volute o meno, letture parziali o committenze di sorta. Così facendo commetteremmo un grave torto ai suoi danni. Naturalmente ciò significa riconoscerne anche le contraddizioni, i punti più deboli e i tasselli più traballanti, e magari dichiarare apertamente un disaccordo con alcune posizioni da lui sostenute. Altro rischio da evitare è un esercizio riduzionistico, di cui è già stato preda in diverse occasioni, per il quale si debbano avere letture esclusivamente politiche o esclusivamente filosofiche del suo pensiero. È da qui che, a mio parere, sono nate o potrebbero nascere anche in futuro le polemiche più stravaganti, i giudizi più acrobatici e, in generale, le più inaccettabili incomprensioni.
E’ pure vero che, come Preve era solito affermare, siamo tutti costretti a un riorientamento gestaltico, ossia a un attività di riorientamento dello sguardo, che ci porti da una tranquillizzante e inerziale posizione di prospettiva a un doloroso e lento cambio di tendenza ermeneutica. Questo vero e proprio torcicollo interpretativo è stato operato da Preve in tutti i suoi campi d’indagine, spesso infrangendo le barriere del politicamente corretto e della pigrizia intellettuale: dalla figura di Marx alla storia del marxismo, dalla grecità alla storia della filosofia tout court, dal capitalismo all’attualità politica.
Ciò che resta del Preve uomo e intellettuale è l’enorme conoscenza scientifica dei problemi, la fulminea chiarezza, la straordinaria disponibilità, la prosa coinvolgente e mai vanamente accademica. Tutte doti che lo tenevano ben lontano dalla superbia tipica di certi eruditi o dalla ricerca di sterili sofismi. Ne ho avuto prova limpida in una piacevole ma breve telefonata avuta recentemente, in cui gli parlavo delle mie scelte universitarie, e chiedendogli cosa fosse giusto prendere in considerazione, lui rispose: «non importa dove tu vada, importa quanta libertà avrai nel fare filosofia». È di questo, a mio avviso, che si deve sostanziare un pensatore: nella sua capacità formativa. Che può celarsi dietro una frase come anche, nel caso di Preve, dietro un’intera vicenda intellettuale.
Filosoficamente, ritengo – senza voler qui entrare nel dettaglio– che i maggiori contributi che Costanzo Preve ci ha lasciato in eredità sono essenzialmente cinque, oltre ad una sconfinata serie di spunti da sviluppare in futuro:
1) una integrale riesamina del pensiero di Karl Marx (da separare integralmente dal marxismo), con un bilancio compiuto e critico della storia del comunismo storico-novecentesco;
2) una fenomenologia dello spirito del capitalismo, come studio filosofico del processo dialettico di assolutizzazione del capitale;
3) il metodo della deduzione sociale delle categorie, che coniuga in maniera geniale la filosofia della storia di Hegel e la teoria dei modi di produzione di Marx;
4) la proposta rinnovata di un’ontologia dell’essere sociale, come fondazione filosofica della prassi umana;
5) la teorizzazione di un comunismo comunitario, maggiormente sensibile allo spazio della libera individualità come rivendicazione universalistica, come da progetto marxiano.
Tutto ciò gli è stato fin ad ora riconosciuto? No, se non in parte. Il più delle volte ha invece dovuto subire un ubiquitario e palese oscuramento delle posizioni assunte, vuoi da parte dei suoi ex-compagni, vuoi dai meccanismi accademici e mediatici, vuoi anche – per sua stessa ammissione – da una scarsa ambizione costitutiva del suo carattere.
Nonostante questa solitudine, mai rassegnata, ma sempre estremamente aperta agli stimoli del dialogo, Preve ha dimostrato nei suoi quarant’anni di attività filosofica una strenua passione durevole, un’interminabile lotta contro ogni disincantamento, contro ogni compromissoria scesa a patti col proprio presente. Del resto, «la scelta di una filosofia – come puntualizzava splendidamente Fichte – dipende da quel che si è come uomo». Con questa sua piena convergenza tra il suo essere uomo e il suo essere filosofo, Preve ha dato un raro esempio di vita. Un esempio difficile da trovare nelle storie di molti intellettuali della sua generazione, trapassati da forme messianiche di comunismo al conformismo neoliberale. Un “esito depressivo” al quale fermamente Preve non ha mai accettato di aderire. Ma, come era solito scrivere nelle note finali di molti dei suoi testi, il suo lavoro era per lo più dedicato e rivolto interamente ai giovani studiosi, che intendono percorrere un cammino verso un nuova linea d’orizzonte.
La filosofia italiana perde con la sua scomparsa una voce critica, un vero educatore, di immensa statura intellettuale. Tutti coloro che l’hanno letto e seguito con passione ed entusiasmo perdono un grande e fecondo maestro, da cui non ci stancheremo di trarre insegnamento. Preve era solito dire che un tempo “si moriva sazi di anni”: mi auguro che sia valso anche per lui, e che abbia vissuto fino all’ultimo respiro un profondo senso di serenità nella consapevolezza dei tanti che gli hanno voluto bene e che gli saranno sempre vicini, nel continuare a rendere vivo nella lotta e nella dedizione filosofica. Per continuare a tenere fermo lo sguardo verso una “filosofia dell’emancipazione”, come recita il capitolo finale del suo ultimo monumentale volume Una nuova storia alternativa della filosofia (Petite Plaisance, 2013).
Grazie compagno Costanzo, ci mancherai.