Commovente è una delle parole che preferisco nel nostro vocabolario.
La uso spesso. Forse perché tanto spesso mi commuovo.
Fatto sta che è stata la prima parola che mi è venuta in mente quando ho ascoltato Costellazioni, il nuovo album di Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettrica.
Su Vasco Brondi se ne sono dette (e se ne diranno) tante nel corso degli anni, ma a me la sua poetica e il suo stile sono sempre piaciuti. Attendevo quindi con ansia il nuovo album, e devo ammettere che ne è valsa la pena di aspettare tre anni.
La prima cosa che colpisce di Costellazioni è il cambio di registro sia musicale che vocale. Chitarre acustiche ed elettriche, pianoforte, archi, fiati, sintetizzatori, batteria e drum machine si alternano efficacemente nelle quindici canzoni che compongono l’album, rendendo i suoni molto più pieni e dinamici rispetto a quelli cui Brondi ci aveva abituato nei lavori precedenti. E per dare risalto a questa interessante ricchezza musicale Vasco Brondi rimodula la propria voce, mantenendo il suo caratteristico stile vocale, ma abbandonando le strofe urlate.
Anche i testi risentono della crescita, non solo anagrafica, del cantautore emiliano. L’immaginario che si snoda tra le diverse tracce è sempre e comunque caratterizzato da un certo disagio esistenziale, ma allo stesso tempo costituito da storie strutturate che, pur essendosi evolute, continuano a raccontare la nostra generazione: “puoi rispiegarmi il perché delle maree? Delle colline bucate per fare gallerie per farmi andare via? Via per lavorare, via per migliorare i tempi, via” (I Sonic Youth). Nell’album i personaggi cantati hanno dei nomi e delle identità precise, ma sono animati da sentimenti che ci accomunano un po’ tutti, forse perché “non c’è alternativa al futuro … Forse si tratta di fabbricare quello che verrà con materiali fragili e preziosi, senza sapere come si fa” (Le ragazze stanno bene).
Costellazioni racchiude quindici stelle che illuminano la strada che dall’Emilia porta alla via Lattea.