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Costi quel che costi

Da Trentinowine
Shampoo - Paola Attanasio

Shampoo – Paola Attanasio

di Massarello – Ci sono alcune cose in comune fra i tre top manager del vino trentino: primo che non sono trentini e questo fatto di per sé non sarebbe un problema, ma come vedremo lo è diventato; secondo, guidano tre cooperative ed anche questo è normale in un territorio coperto al 90% da questo modello organizzativo; terzo, si dice abbiano un appannaggio annuo di qualche centinaia di migliaia di euro e ciò fa parte della … bizzarria di quest’epoca. Infatti, si fa un po’ fatica a considerare morale un guadagno di millecento euro al giorno per dirigere una cantina sociale, ma è il prezzo che 7 mila viticoltori pagano per avere “garantito” il loro reddito. Ciò che dovrebbe risultare indigesto anche a stomaci forti, invece, è il primo punto, quello in apparenza più “normale”. Ossia quello della non appartenenza alla comunità trentina. Ma come?

Presto detto: i top manager in discorso guidano di fatto complessi industriali che con il classico modello cooperativo hanno ormai poco da spartire. Il contatto con la base è formale e filtrato dai delegati che siedono nei CdA. Costoro non hanno gran che da “consigliare” perché la regola aurea di questo modello industriale è già scritta: crescere continuamente, costi quel che costi, per assicurare redditività al sistema. Il sistema sta in piedi perché il piede sta in due staffe. Quella industriale che permette di commerciare in grande stile e quella cooperativa che ti permette facilitazioni non da poco, come la diluizione dei rischi che invece ossessionano le imprese private pure. Per restare ai riferimenti equestri, qui si va a briglia sciolta.

Orbene – lasciando perdere l’assunto che il profitto dovrebbe essere un mezzo e non un fine (gli economisti onesti dicono essere questo il guaio principale delle imprese italiane e, per converso, il segreto (?) del successo delle imprese tedesche) – il guaio specifico per il Trentino vitivinicolo, indotto a seguito della verticalizzazione del potere nelle mani dei pochi oligopolisti, sta nel fatto che costoro sono costretti ad “usare” il territorio piegandolo ai loro fini. Il mezzo, quindi, è il territorio. Il territorio, pertanto, non è più un fine, un patrimonio da migliorare e da trasmettere alle future generazioni, ma uno strumento per produrre reddito, costi quel che costi.

Concludendo: il fatto che i tre top manager non siano trentini li esime anche da un impegno morale che altrimenti graverebbe sui figli di questa terra. Non è a loro, quindi, che va gettata addosso la croce, ma a quanti – sfuggendo alla responsabilità politico-amministrativa – non s’avvedono di questa situazione o peggio, pur avvedendosene, tirano a campare preoccupandosi essenzialmente del mantenimento della seggiola. Anche questa preziosa e ben retribuita.

 


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