Costo del lavoro
Adattare l’offerta di lavoro ai mercati e ai fabbisogni delle imprese attraverso l’aumento della flessibilità delle prestazioni lavorative e il miglioramento del grado di “occupabilità” delle persone, in particolar modo dei disoccupati, è l’obiettivo delle politiche attive del lavoro. Nelle dichiarate intenzioni dei politici Italiani ed Europei esse rappresentano uno dei pilastri maggiori nella lotta alla disoccupazione e nella creazione di occupazione addizionale.
Le politiche attive dei programmi di riduzione del costo relativo della manodopera dovrebbero rappresentare la parte maggiore dell’attivismo di politica del lavoro ed attuabili tramite decisi interventi sulle strutture salariali. Basti pensare che negli anni ottanta, ad esempio, nel Mezzogiorno un’impresa metalmeccanica poteva assumere un lavoratore pagando meno del 60% del costo ordinario di un’impresa del Centro-Nord.
Le politiche attive attuali intendono promuovere l’occupazione premendo in primo luogo sull’offerta di lavoro intrappolata nello stock dei disoccupati con minore grado di occupabilità, tipicamente i disoccupati di lungo periodo. Ora, l’esperienza nordamericana mostra che il grosso dell’aumento dell’offerta di lavoro effettiva non si ottiene agendo sul grado di occupabilità delle persone in ricerca attiva di lavoro. Negli Stati Uniti in novembre l’economia Usa ha creato 203mila posti di lavoro, più delle attese, e la disoccupazione è calata al 7%, minimo da cinque anni (7,3% in ottobre). Gli Stati Uniti hanno investito in ricerca, per esempio puntando su nuove fonti energetiche (il gas di scisto) e abbattendo le bollette. Oggi i costi energetici negli Usa sono circa metà (in qualche caso molto meno) di quelli dei paesi europei. Anche il costo del lavoro è molto più basso, circa il 30% meno di quello italiano. La macchina dell’industria ha ripreso la corsa. E l’Italia, nell’ultima classifica mondiale della competitività (pubblicata nell’autunno scorso) ha perso altri sette posti.