Una collana (I Sampietrini) dell’editore Bollati Boringhieri
23 febbraio 2013
«Se andiamo a vedere bene, notiamo che la maggior parte delle definizioni classiche di cultura (per non dire tutte) sono rivolte più al passato che al presente. L’immagine che ne emerge è che la cultura sia un fatto del passato, una sorta di inventario di magazzino a cui attingere per organizzare la propria esistenza. Vista in questo modo, la cultura assume un’immagine statica, da strato geologico, duro e immutabile». Del futuro, dice Aime, finisce per occuparsene la scienza o l’economia. Non a caso le parole chiave dell’economia sono: bisogni, desideri, speranze: tutti termini che guardano avanti. Ma allora, questa cultura? «In certi posti è il modo in cui si suonano i tamburi, in altri è come ci si comporta in pubblico e in altri ancora è soltanto il modo in cui si cucina», dice la scrittrice Jamaica Kinkaid. E, in fondo, aggiunge Aime, le culture (al plurale) sono dei cantieri, in cui infaticabili operai montano e smontano senza mai smettere di lavorare, per trasformare la loro costruzione. Costruzione che possiamo immaginare fatta di tanti sampietrini.
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