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Cotone e pistacchi

Da Enricobo2

Il Milione 13: Cotone e pistacchi.


Non c’è dubbio che il nostro Marco venne subito colpito (buon sangue non mente) dalle grandi possibilità delle merci disponibili in quei luoghi e appetite dai compratori di ogni parte e vedeva, con grande acutezza le possibilità che il commercio può produrre, spostando le cose nello spazio per far loro guadagnare valore e interesse. La globalizzazione non ha tempo ed è un concetto la cui limitazione è data solo dalla rapidità degli spostamenti. La Persia del tempo era veramente un centro di scambi con pochi rivali al mondo, dove tutto si incrociava alla velocità consentita dalle carovane e dalla sicurezza delle vie, ragione per la quale era assolutamente ben visto un dominio forte e sicuro, come quello costituito dall’impero mongolo la cui sola presenza istituzionale garantiva sicurezza agli spostamenti.
Cap. 32

In questo reame di Persia à molti begli destrieri di grande valuta e ne vegnono
a vendere in India la magiore parte a 200 tornesi. Ancora v’à le più belle asine
del mondo che vale l’una ben 30 marchi d’argento e bene corrono e ambiano.
Si fanno drappi e quivi àe molta bambagia e abondanza d’orzo, di miglio e di
tutte biade, di vino e di frutti.


Probabilmente era la prima volta che vedeva il cotone (bambagia) che già allora copriva campi sterminati con i suoi morbidi fiocchi bianchi, ma forse a lui interessavano solo le pietre preziose, le spezie, i tappeti. Sarà stato sulle sue sempre timoroso di essere raggirato oppure si sarà lasciato andare al dondolio della carovana? Certo una brutta avventura gli occorse da quelle parti.
Cap. 35

In quella piana no li scampa né uomo né bestia: li vecchi li uccidono, gli
giovani ménagli a vendere per schiavi e messer Marco vi fu tal qual preso in
quella iscuritade ma scampò a uno castello e de’ suoi compagni furo presi assai
e venduti o morti


Da cui si deduce che le carovane marciavano in convogli di molte persone per sicurezza e che le strade, lontane dal controllo del Gran Khan non erano molto sicure. Invece, l’unico contratto che chiudemmo in Iran fu con un personaggio di rara signorilità. Sembrava un principe persiano che parlava lentamente e con fare regale, quasi che il danaro fosse una cosa di secondaria importanza, di cui far trattare ai suoi sottoposti. Guardò con interesse il macchinario che gli proponevamo e accettò senza discutere le performances che davamo per certe. Annuiva lentamente col capo e lasciò il nostro stand nella fiera in Germania, salutandoci con un leggero cenno del capo. La settimana dopo arrivò l’accredito per l’acconto che avevamo richiesto e che lui aveva garantito sulla parola. Dopo un anno, in cui per problemi tecnici vari non avevamo potuto fare la fornitura, passò in Italia e chiese se, per favore, potevamo restituirgli l’acconto, così senza protestare né lanciare minacce. Portò a tutti un pacchetto di pistacchi di Yazd, i migliori del mondo, che a quelli di Bronte gli fanno un baffo. Chissà se allora ci avrebbe presi e venduti come schiavi sulla costa degli emirati


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