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Cracked Actor

Creato il 10 febbraio 2016 da Theobsidianmirror
Cracked ActorAvete capito bene. A un mese esatto dalla sua scomparsa, su questo blog si torna nuovamente a parlare di David Bowie. Qualcuno potrebbe pensare, e credo sia inevitabile, che questi miei continui riferimenti al Duca Bianco siano un modo un po’ paraculo per attirare audience sfruttando un evento tragico… e non saprei davvero cosa rispondere, se non che mi dispiacerebbe se qualcuno davvero lo pensasse. La verità è dentro di me e non saranno certamente queste quattro righe di introduzione a cambiare le cose.
In quei primissimi giorni dopo la terribile notizia, tutto il web si è risvegliato all’improvviso e un po’ tutti si sono ricordati di essere (o di essere stati) fan di David Bowie. Ammetto che io stesso non sono stato da meno e, se non fosse stato per quell’unico album (Low, 1977) sempre presente nella memoria di tutti gli smartphone che si sono succeduti nella mia tasca, probabilmente adesso sarei qui a dire che non ascoltavo niente di suo da decenni. Che poi, a pensarci bene, un’affermazione del genere sarebbe quanto mai irreale, visto che la musica di Bowie, volente o nolente, ha sempre attraversato a intervalli alterni le varie fasi della mia vita senza mai, nemmeno una volta, lasciarmi indifferente. Anche quei pochi secondi di un suo pezzo captato in tivù durante uno spot pubblicitario, o anche quell’altro pezzo usato, perfetta pennellata finale, nei titoli di coda di un recente mainstream hollywoodiano. Fugaci attimi che mi hanno sempre fatto saltare una pulsazione, mentre mi sorprendevo a dire a me stesso “Ehi, questa è quella vecchia canzone che ascoltavo quando…”. Quanti ricordi!
Ma oggi non siamo qui per celebrare il Bowie musicista: quello l’hanno già fatto in molti (me compreso) nelle ultime settimane. Oggi siamo invece qui per celebrare il suo lato artistico meno conosciuto, quello che lo ha visto numerose volte offrirsi all’occhio della macchina da presa di un regista; il Bowie cinematografico, quel Bowie che innumerevoli volte ha svestito i panni della popstar per indossare quelli, spesso più scomodi, dell’attore. E quando su questo blog di parla di “celebrazioni”, come sapete, di solito c’è in ballo un’iniziativa che coinvolge numerosi blogger. Oggi pertanto, come altre volte è capitato, troverete in giro per la blogosfera numerosi articoli che hanno un denominatore in comune e, in questo caso, quel denominatore è il Bowie-attore. Vi rimando alle note in fondo a questo post per i dettagli (1).
Ho appositamente usato, poco fa, il termine “scomodi” perché, mi sembra quasi superfluo sottolinearlo, non basta avere un bel visino fotogenico per farsi apprezzare in una forma d’arte sostanzialmente diversa da quella nella quale si è abituati a esprimersi. Non sto dicendo che Bowie non fosse all’altezza… tutt’altro. Sto solo dicendo che il pubblico al quale quel tipo di cinema si è sempre rivolto non è mai stato troppo tenero con i “bei visini”. Una specie di innato pregiudizio che, sebbene sostenuto da solide basi quando il bel visino si chiama Jennifer Lopez o Paris Hilton, è tutt’altro che giustificato a proposito del nostro.
Eppure, sono in molti quelli che hanno sostenuto (e tuttora sostengono) che il Bowie attore non sia mai stato un granché e, se me lo concedete, il motivo è abbastanza evidente: ben pochi tra i film interpretati da David Bowie nel corso della sua lunga carriera possono ritenersi opere memorabili. A parte pochissime eccezioni, la filmografia di Bowie è un lungo elenco di titoli i quali, senza la presenza del suddetto, sarebbero finiti da decenni nel dimenticatoio come milioni di altri film. Un’opinione sicuramente forte, la mia, ma credo che anche il più accanito sostenitore di Julien Temple o di David Lynch non possa, tutto sommato, che darmi ragione.
Cracked ActorPer questa ragione la mia attenzione non si è soffermata su un film, bensì su un’opera teatrale risalente a trentacinque anni fa che vide il Duca Bianco nelle vesti del protagonista.
Sono quasi certo che, a parte alcuni Bowie-addicted, in pochi oggi si ricordino di quell’avvenimento.
Tutto cominciò qualche mese prima della rappresentazione a San Francisco, città nella quale Bowie assistette alla performance di Phillip Anglim nel dramma “The Elephant Man”, l’opera incentrata sulle vicende di Joseph Cary Merrick (2), l’uomo elefante, reso poi universalmente celebre dalla pellicola di David Lynch che, per inciso, uscì in prima visione nelle sale americane praticamente gli stessi giorni in cui veniva messa in scena la versione teatrale.
David Bowie rimase estasiato da quello spettacolo, ne vide e rivide più volte le repliche e, quasi come se avesse voluto forzare la mano al destino, si mise in testa di poter offrire lui stesso il volto al grottesco personaggio dell’Inghilterra vittoriana. Dopo aver studiato fino alla nausea il copione, il suo sogno si realizzò il 29 luglio 1980, giorno in cui il suo “The Elephant Man” debuttò sul palcoscenico del Denver Centre of Performing Arts.
David Bowie ormai non era più un novellino: a quel tempo la sua carriera artistica era già ben più che consolidata, avendo lui già messo in archivio ben tredici album (3) e un paio di interessanti esperienze artistiche nel mondo del cinema (4).
Il ruolo del protagonista, estremamente complesso di per sé, era reso ancora più ostico dall’oggettiva difficoltà nel mettere in scena le disabilità fisiche di Merrick senza poter ricorrere ai trucchi di scena. Il film di Lynch è molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, quasi patetico per come riesce a delineare una figura di uomo la cui interiorità non è minimamente minata dalla disgrazia di un aspetto fisico anormale e alieno, alieno come può esserlo qualcuno la cui fisionomia ricorda quella di un animale. E Bowie, che alieno era in un altro senso, per le sue innate doti di bellezza ed eleganza, ce l’avrebbe fatta a rendere sul palcoscenico un personaggio tanto diverso da se stesso?
La risposta arrivò con una standing ovation già la sera della prima. Bowie sfruttò al meglio la sua espressività e il suo talento e regalò al pubblico di Denver, accorso numerosissimo, uno dei più realistici ritratti di Joseph Merrick.
Tutto il resto è storia: il successo di quella prima serata ebbe un’eco strepitosa, tanto che tutte le date andarono sold-out. Il Denver Centre of Performing Arts incassò quasi duecentomila dollari e registrò il miglior risultato assoluto, tuttora imbattuto, della sua storia. Televisione e giornali sottolinearono entusiasticamente le incredibili capacità mimiche della popstar e, inevitabilmente, contribuirono al successo delle date successive. Credo sia superfluo, specialmente in questa sede, riportare nel dettaglio la cronaca degli avvenimenti che seguirono. Basti sapere che lo spettacolo tornò in scena nuovamente al Blackstone Theatre di Chicago, dove proseguì per tre settimane con invariato entusiasmo da parte di pubblico e critica (si dice che anche il grande Roy Orbison volle presenziare a una delle date di Chicago) per poi sbarcare presso il Booth Theatre di Broadway, nel settembre di quello stesso anno, dove venne replicato con immutato successo fino al 3 gennaio 1981 alla presenza di numerosi mostri sacri della scena pop di quegli anni, da Andy Warhol a David Hockney e Diana Vreeland. Un successo che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia considerato che, che in una delle date di dicembre, David Bowie fu avvicinato e fotografato, all’uscita dal teatro, da Mark Chapman, l’uomo che pochi giorni più tardi, a pochi isolati di distanza, avrebbe sfogato la sua lucida follia addosso a John Lennon.
Oggi rimane il rimpianto di esserci persi qualcosa di fondamentale. Sono trascorsi trentacinque anni da quei giorni e tutto quello che rimane di quegli spettacoli sono pochi articoli sul web (5), alcuni piccoli spezzoni di scena ricavati dai notiziari dell’epoca (6) e un CD audio non ufficiale di incerta qualità (7). Non c’è null’altro. Un’intera opera è andata ormai perduta ma resta, perlomeno nella memoria di quei fortunati che poterono assistervi di persona, un'ulteriore testimonianza della poliedricità di un artista che non finiremo mai di rimpiangere.

(1) Oggi si parla del Bowie-attore anche sui seguenti blog: Combinazione Casuale, In Central Perk, Mari's Red Room, White Russian, Il Bollalmanacco, Non c'è paragone, Director's Cult e Pensieri Cannibali
(2) Nel tempo si è sparsa l’errata convinzione che il suo nome di battesimo fosse John, il nome con cui fu portato al cinema da Lynch
(3) Le registrazioni di Scary Monsters, che sarebbe diventato la sua quattordicesima fatica, erano tuttavia già state completate e l’album sarebbe arrivato nei negozi nel settembre di quello stesso anno.
(4) Due erano i film che avevano già visto Bowie nei panni del protagonista: The Man Who Fell to Earth (1976) di Nicolas Roeg e Just a Gigolo (1978) di David Hemmimgs (sì, proprio il David Hemmings di Profondo Rosso)
(5) Principalmente sono due gli articoli degli di nota trovati sul web, articoli che ho usato come fonte per la stesura di questo articolo: trattasi dell'ottimo sito BowieGoldenYears.com e di Up-to-date.com, testimonianza diretta di uno che c'era.
(6) Anche in questo caso le testimonianze video sono pochissime, tutte su TheBowieChannel.
(7) Scaricabile da diverse forti, tra cui World of Bootleg

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