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Creative commons: operazione top-kill per salvare il monopolio della SIAE

Da Hjorda

Creative commons: operazione top-kill per salvare il monopolio della SIAE

La SIAE, per generale definizione, è un ente pubblico economico a base associativa, preposto alla protezione e all’esercizio dei diritti d’autore. In particolare la SIAE, come prescritto dalla legge sul diritto d’autore (articoli 180-183 LDA):

  1. agisce come intermediario tra il pubblico e i detentori dei diritti d’autore che si associano all’ente su basi contrattuali di tipo privatistico;
  2. esercita le funzioni istituzionali affidate dalla legge e connesse alla protezione delle opere dell’ingegno;
  3. svolge, per conto dello stato, enti pubblici o privati, il servizio di accertamento e percezione di tasse, contributi, e diritti per l’utilizzo e la fruizione delle opere protette;
  4. esercita in regime di monopolio legale l’esclusiva sulla raccolta e gestione dei compensi destinati agli autori;
  5. svolge un’attività pienamente economica e produttiva di reddito, ampiamente sostitutiva e rappresentativa dell’attività economica privata dei singoli autori associati e dei loro eredi.

Riassumendo rudemente, la SIAE è l’unico esempio al mondo di confederazione sindacale di tipo istituzionale munita di personalità giuridica di diritto pubblico (già un unicum nel nostro ordinamento), rappresentativa degli interessi economici dei detentori dei diritti d’autore associati in tutti i settori della produzione di opere di ingegno, che, per legge, svolge, su basi rigidamente monopolistiche, attività di impresa per finalità di lucro a presidio di tali interessi privati.

Ancora più in sintesi, la SIAE è lo Stato-Amministrazione che fa impresa per gestire e distribuire i soldi a tutti quegli autori che vi aderiscono per farsi rappresentare nei rapporti giuridici ed economici in cui avviene una utilizzazione dei contenuti prodotti da loro.

Nulla di nuovo, dunque, tranne, forse la sintesi. E sono anche note le critiche ed i tentativi di smontare il monopolio della SIAE che, negli ultimi tempi, si sono moltiplicati ad intervalli di tempo sempre più ravvicinati anche in sede europea. [Vedi ad esempio: 1) la della Commissione EU antitrust del 16.6.2008 che costringe le società di collecting a competere sul mercato per la gestione dei contenuti protetti; 2) la proposta di legge presentata al senato con il n. 1757 assegnata il 17.11.2009 alla 2° Commissione Giustizia; 3) le aspre censure mosse, in un’intervista rilasciata su Repubblica – Affari&Finanza l’8.2.2010, da Filippo Sugar, Presidente e Ceo della Sugar Music, holding che controlla 15 società di editoria musicale, e nuovo Presidente della Fem; e 4) la notizia apparsa il 5.5.2010 della nascita, presso il CET di Mogol, della Federazione degli Autori che si ripropone di rappresentare per il futuro, in ogni sede preposta, gli interessi della categoria degli autori italiani di musica]

Ma tutti i ricordati tentativi (e molti altri ancora), per adesso, sono solo attacchi di superficie che non daranno il colpo di grazia al solido dominio della SIAE sui contenuti che dura incontrastato nel nostro paese da 126 anni. Infatti, tali colpi assomigliano più a quelli dati dai banderilleros per sfiancare il toro ma non costituiscono il colpo mortale che, invece, può esser dato, al momento giusto, solo in uno specifico punto. E tale punto, nel caso di specie, è il nervo del consolidato modello fondato sulla assenza pressoché totale di una vera competizione economica sul mercato dei contenuti protetti, praticato sino ad ora dalla SIAE per disposizione normativa (art. 180 LDA).

Tuttavia, il mercato è più forte delle leggi e spesso anche del diritto; ecco perché farà quel che deve fare se la SIAE non mette in piedi, in tempi rapidi, una reazione top-kill di “apertura ed accoglienza” dei nuovi meccanismi di produzione e gestione dei contenuti che la rivoluzione digitale in atto ha prodotto e sta producendo in maniera sempre più veloce.

Occorre allora decidere in fretta sull’adozione delle nuove possibilità di cedere diritti su opere protette non più secondo il modello unico di “tutti i diritti riservati”, bensì anche secondo i nuovi e più agili schemi delle Creative Commons , che sono stati messi all’esame da parte di SIAE attraverso la costituzione del gruppo misto con Creative Commons-It di cui però non si sa più nulla dopo oltre un anno di lavoro, e sulla quale iniziativa la nostra società di collecting nazionale si sta attardando a prendere le dovute determinazioni.

Infatti, in un’epoca dove la velocità fa la differenza, la SIAE deve tener conto di tutti i mutamenti in atto nel suo campo d’azione e della sua mission aziendale e dovrebbe dismettere il suo abulico aplomb istituzionale ricordando che è anche e soprattutto un’azienda, di Stato, ma pur sempre un’azienda.

In tale contesto, è importante alimentare il flusso della competizione economica e dare risalto ad alcuni episodi che testimoniano come il mercato e la rete si stiano saldando fra loro per creare, per le vie di fatto, il matador in grado di sfidare il monopolio della SIAE sui contenuti; e ciò anche e soprattutto per consentire alla SIAE stessa di riconoscere i sintomi della competizione economica, reagire ed accettare la gara.

Giova dare evidenza, pertanto, al caso di ANB Web Social Radio che, quale editore radiofonico ed autore SIAE, ha deciso di licenziare anche contenuti in Creatives Commons; oppure al caso del Gruppo Editoriale Bixio che ha lanciato qualche mese fa una nuova piattaforma (haveasink) per il music licensing per registi, pubblicitari, o consulenti musicali, consentendo loro di trovare, con un sistema di ricerca on- line facile ed intuitivo, la musica ideale per film, documentari, spot, fiction tv ed altre produzioni audiovisive, all’interno di un ampio catalogo di autori molto più che noti, associati SIAE, che, evidentemente, si sono mantenuti la libertà di disporre del diritto di sincronizzazione delle loro opere.

Ma, probabilmente, il caso più interessante è quello segnalato da un articolo apparso su Ventiquattro, il Magazine di tempo libero e cultura del Sole24 ore del 21.5.2010 dal titolo, piuttosto ironico (ma forse profetico), “Il suon dell’avvenire”.

Con tale articolo, un bravo giornalista, Gianluigi De Stefano, ha scovato e disvelato le tracce del vento e della bufera che presto si metteranno, rispettivamente a fischiare ed urlare sulle sorti della SIAE se non si sburocratizza in una frazione temporale tale da sostenere la gara economica che si è aperta per il controllo dei contenuti, soprattutto nel settore musicale, grazie ad internet ed al mercato.

Nell’articolo in discorso si racconta di una storia, prima di tutto di vita, di un self-made man italianissimo (non “parente” di nessuno, finalmente!), Davide D’Atri, emigrato a Londra, ed ex autista di camion per pagarsi gli studi di economia che, un bel giorno del 2006, ha fondato il suo sogno: la Beatpick company.

La Beatpick capitanata da D’Atri e da altri giovani ed intuitivi italians opera a livello globale grazie alla rete, al fine di costituire un repertorio musicale alternativo a quello controllato in Italia dalla SIAE, e per licenziarne i diritti di utilizzazione a tutte quelle società che si servono in pubblico di musica per il loro business. La Beatpick ha gia fornito licenze a player del calibro di Mercedes, Toyota, Samsung, Lufthansa, finalizzando, anche, l’importantissimo affare della cessione di diritti di diffusione musicale a tremila punti vendita e supermercati che, scegliendo la musica nel suo catalogo, risparmiano 1.5 milioni di euro di tasse e diritti.

Ci si deve allora domandare cosa succederà se Beatpick dovesse arrivare a licenziare diritti di diffusione musicale sul suo repertorio ad alberghi, catene turistiche, palestre, aeroporti, compagnie aeree, grandi megastore ecc, magari, stanchi di sostenere, in questi tempi di crisi, i costi della diffusione della musica targata SIAE.

Ma quel che si deve sottolineare, alla luce di quanto detto, è che i soldi risparmiati per la diffusione in pubblico della musica (ma il discorso può allargarsi a tutti i settori artistici controllati dalla nostra società di collecting, unica nel suo generalismo), non rappresentano solo una fetta di torta tolta alla SIAE, ma costituiscono, soprattutto, meno introiti per gli autori associati all’ente e minore possibilità di diffusione al pubblico delle loro opere.

Ecco perché, essendo azienda, la SIAE, a prescindere dalle difficili valutazioni sui massimi sistemi o sul sesso degli angeli, deve rendere conto ai suoi associati (azionisti), oltre che allo Stato (azionista di controllo) a cui prima o poi dovrà spiegare come mai, ad esempio, il fatturato dell’industria musicale italiana non è parte del nostro pil.

Insomma, piuttosto che vivisezionare al microscopio il protocollo di licenze Creative Commons per verificare se è buono o cattivo, basterebbe smettere di averne paura, crederci ed investirci sopra quale occasione, forse l’ultima per la SIAE, di mantenere in piedi il business del controllo dei contenuti in maniera unitaria, dato che non credere alle Creative Commons significa né più e né meno che non credere alla rete; il che, per dirla con le parole di Edoardo Fleischner, significa non credere all’energia elettrica.

Avv. Giulia Arangüena

[email protected]

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