Magazine Cultura
Sull'incontro di lunedì 18 febbraio con lo storico Emilio Gentile e il suo saggio “E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma” edito da Laterza.
“Qui stiamo assistendo a una bella rivoluzione di giovani, ricca di colore ed entusiasmo” (Richard Child, ambasciatore americanoa Roma, 1922). Ottobre dev'essere un mese fatale per le rivoluzioni. Le due rivoluzioni epocali che hanno segnato il novecento sono nate in quel mese a distanza di qualche anno una dall'altra. Nel mese di ottobre del 1917, nella notte tra il 24 e il 25, a Pietrogrado Vladimir Ilic Ulianov prende il potere a palazzo Smolnj in maniera rocambolesca. Vi giunse in tram, con un parrucchino in testa e un berretto da proletario, ça va sans dire, non era il caso di mettersi un altro copricapo, e durante il tragitto venne fermato da una pattuglia di governativi. Venne scambiato per un ubriaco e lasciato andare. La Fortuna quel giorno era decisamente proletaria. Si può dire che l'occhio benevolo dei soldati salvò le sorti della rivoluzione. Se Lenin fosse finito in guardina probabilmente non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione e di conseguenza molto altro a seguire. Sarebbe stato sufficiente che un maligno colpo di vento avesse fatto volare via il berretto e il parrucchino al capo bolscevico e molto sarebbe cambiato nella storia del novecento. Il giorno dopo Lev Troszkj annuncia ai soviet della città la presa del potere in Russia. La cosa rilevante fu, contrariamente a quanto qualcuno aveva previsto, la mancanza di eccidi. Ci pensò il grande regista Serghiej Eisenstein a realizzarne molti nella finzione cinematografica. Egli con stupefacente abilità organizzò la presa del palazzo d'inverno costruendo il primo tassello del mito della rivoluzione bolscevica. Dipinse con maestria e genio il primo quadro di un grande ciclo mitologico rivoluzionario con i suoi eroi, i suoi caduti e i suoi vinti. Qualche anno dopo, nel 1922, nel mese di ottobre, il giorno 28, nell'Italia liberale e parlamentare avviene qualcosa di straordinario. Qualcosa che l'Europa liberale e pacificata dopo la Grande Guerra non ha mai visto prima. Avviene una rivoluzione simile a quella bolscevica ma di segno opposto. A farla sono i fascisti comandati dal maestro romagnolo Benito Mussolini che un giorno dopo la marcia su Roma il 29 ottobre, prende il treno da Milano per Roma e appena giunto in stazione annuncia fieramente, davanti a un popolo già fremente di proclami, che finalmente l'Italia avrà un governo. Non sfuggono di certo le somiglianze con quell'altra rivoluzione. Qualcuno prima o poi si incaricherà di comparare le due rivoluzioni di ottobre, entrambe gemmazioni della Grande Guerra, e approfondirà analogie e diversità tra i due capi che se non altro avevano in comune l'uso dei mezzi pubblici per andare a prendersi il potere. Un potere che ad entrambi, sia a Lenin che a Mussolini, poteva fino all'ultimo sfuggire se con sagacia ed intuizione superiore non avessero colto l'attimo in cui si deve agire senza indugi. Se non si fossero trovati in quell' incrocio dei venti, in cui la fortuna imponderabile, l'intuizione, l' azzardo e la dialettica delle circostanze accidentali piega risolutamente verso la vittoria. Quel “li fece fessi tutti” pronunciata da Cesare Rossi, definisce nel modo più calzante quanta scaltrezza e intuizione e fortuna e dabbenaggine (dall'altra parte) fossero in gioco. Come sia stato possibile che il figlio del fabbro di Predappio a digiuno di politica praticata, eccetto una breve esperienza come consigliere comunale a Milano possa essere diventato nel giro di un anno il capo del governo di un paese democratico manifestando apertamente intenzioni eversive, è il fulcro dello studio dello storico Emilio Gentile. Con il suo libro: “E fu subito regime, il fascismo e la marcia su Roma”,( ed. Laterza) lo storico analizza la portata epocale che fu la marcia su Roma, e ne racconta le implicazioni sul piano istituzionale che da quel giorno fatidico furono completamente sconvolte. Ebbene a questa domanda cruciale, vero snodo della nostra storia passata e presente, Emilio Gentile, fa notare coerentemente come i cervelloni che dovevano intuire cosa bollisse in pentola non si erano nemmeno accorti che la pentola era sul fuoco. Nel corso della lettura ci si accorge come grandi intellettuali e politologi e filosofi eminenti, e capi politici socialisti e comunisti non avessero minimamente intuito l'importanza della marcia su Roma. Si può dire che il sarcasmo con cui seppellirono quella “goffa kermesse” (A. Repaci), “una trascurabile adunata di utili idioti” (D. Sassoon), gli si rivolse contro pretendendo rispetto e gli interessi dovuti. Fu letteralmente incredibile come politici di provata fama, navigatissimi ministri e presidenti del consiglio, uomini delle opposizioni abbiano potuto lasciare in mano a un uomo di 39 anni senza arte politica collaudata le sorti della nazione, senza contrastarlo a nessun livello né secondo la legge, né in parlamento. Si ricorda nel libro che immediatamente furono chiari ed espliciti gli intenti del Duce e dei fascisti. Dissero chiaramente che volevano il potere, legalmente o illegalmente, per rovesciare il potere democratico costituito e, nessuno proprio nessuno, né liberali, né socialisti, che allora erano una forza schiacciante in Parlamento( 156 deputati), non ebbero il coraggio non solo di opporsi, ma nemmeno di far applicare le leggi contro le bande armate. Il fascismo fin da subito si era organizzato come milizia armata e aveva preso a spadroneggiare con inaudita violenza nelle città prendendole d'assalto e controllandole pienamente, mettendo al bando prefetti ostili e nemici politici, e per questo reato le milizie sarebbero state penalmente perseguibili. Ma nessuno osò intervenire. Sottovalutazione e pavidità furono le brutte carte in mano al Parlamento e alla vecchia guardia politica. Per questo la marcia su Roma fu il personale trionfo politico di Mussolini che ebbe a gloriarsi delle 30000 camicie nere che ostentatamente bivaccavano a Nord di Roma, e della mobilitazione di oltre 300000 camerati nelle piazze d'Italia conferendo, di fatto, al fascismo il potere di governare la nazione. Il potere era già preso occorreva darne formalmente notizia a chi ancora non l'aveva capito e così accadde. Dal momento in cui Mussolini prese il potere iniziò l'opera di smantellamento dello statuto democratico sotto gli occhi della classe politica liberale che impotente e chiusa nei suoi giochi politicisti sperava ancora di impastoiare i fascisti con la normale dialettica partitica. Tutti i partiti sotto la minaccia del bastone, votarono tutto quello che serviva al regime, già in atto, per consolidarsi. In un clima di minaccia per il Parlamento furono votate le leggi che imbavagliavano la stampa e la libertà di espressione, e fu votata la nascita di una milizia privata per Mussolini, e si accettò una legge che costituiva l'investitura di “potere costituente” al fascismo. Albergava nelle menti dei vecchi politici l'idea che i fascisti non andassero contrastati ma che votando le loro richieste si potesse meglio controllarli e farli cadere nelle trappole della dialettica politica. Non avevano per niente ragione come fu ben presto chiaro a tutti. di Ivano Nanni
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