Creed - Nato per combattere
di Ryan Cooglar
con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone
Usa, 2016
genere, drammatico
durata, 132'
Un attimo prima che si concluda la sequenza iniziale, "Creed - Nato per
combattere" ha già messo in mostra quelle che saranno le proprie
credenziali. La scena, ambientata all'interno di una sorta di
riformatorio, ci mostra il protagonista ancora bambino impegnato in una
rissa con un gruppo di pari età. Seppure in una condizione di evidente
minoranza, il piccolo Adonis riesce a difendersi sbaragliando i suoi
avversari. Nel giro di pochi fotogrammi il film diretto di Ryan Coogler è
in grado di anticipare le coordinate essenziali dell'eroe,
definendone insieme le caratteristiche caratteriali, temprate dal fatto
di doversela cavare con le proprie forze, ed esistenziali, messe in
mostra nelle capacità fisiche e agonistiche espresse nel corso
dell'azione. A distanza di qualche anno e grazie alla macchina del tempo
di cui solo il cinema dispone, lo ritroveremo non a caso a lottare per
il titolo mondiale accanto al vecchio Rocky Balboa che, dopo aver appeso
i guanti al chiodo e avere detto addio al mondo della boxe torna sul
ring per fare da coach al figlio del mitico Apollo, con cui aveva
condiviso quattro dei sei episodi della saga dedicata al pugile venuto
dal Bronx. E qui entra in gioco uno dei motivi principali del
film, che è appunto il ritorno sulle scene del pugile inventato da
Stallone nel 1976, riesumato dall'oblio (Rocky Balboa, 2006) al quale si
era concesso per mano del suo creatore allo scopo di aiutare il figlio
dell'amico tragicamente scomparso (Rocky IV, 1985).
A metà strada
tra il cinema sportivo e il racconto di formazione "Creed - Nato per
combattere" si comporta allo stesso modo del mitico predecessore, fino
al punto da sembrarne una specie di reboot sotto mentite spoglie.
Sostituendo la faccia dell'attore italo americano a quella del Mickey di
Burgess Meredith e aggiornando lo scenario ambientale, adeguato a
quell'America post 11 settembre che a livello politico ha cercato di
darsi un'immagine conciliante rispetto ai temi dell'integrazione e della
giustizia sociale, "Creed - nato per combattere" assomiglia al remake del
film di John Avildsen non tanto per gli inserti relativi ai
combattimenti pugilistici, che tranne casi rari - per esempio
"Cinderella Man" di Ron Howard - si equivalgono nella resa esasperata e
poco verosimile degli aspetti legati alla violenza agonistica della
tenzone, ma per quella predisposizione a tenersi un passo indietro
rispetto al ring, riservandosi il diritto di trasformare il quotidiano
in un'autentica palestra di vita, quella si determinante a forgiare le
qualità dei futuri campioni.
Sotto questo aspetto, è soprattutto
l'empatia messa in scena da Stallone più che la verve del suo
pigmalione, a trascinare il film dalla parti di una mitologia
cinematografica alla quale la faccia dell'attore, provata dal tempo e
forse dai lifting, riesce ancora a incarnare. Così, in un film
che procede a velocità di crociera verso la catarsi finale e in
direzione del fatidico incontro che oltre alla gloria metterà mette in
palio il riscatto del trascorso esistenziale del protagonista, gli unici
sussulti sono costituiti dalle scene che coinvolgono il vecchio
campione, a cui la sceneggiatura assegna forse la battaglia più
difficile della sua lunga carriera, con la malattia che a un certo punto
sembra toglierlo di scena in maniera definitiva. Coogler che aveva già
diretto Jordan nell'ottimo "Fruitvale Station", qui si accontenta di
rispettare la filologia dei contenuti , informando il suo film con una
regia (invisibile) che procede nel solco di un intrattenimento
in cui nostalgia e spettacolo riescono tutto sommato a convivere. E non
ultimo, a far sperare a Stallone, peraltro appena premiato con il Golden Globe come miglior attore non protagonista, in un Oscar che a questo punto appare piuttosto probabile.
(pubblicata su ondacinema.it)