Come è andata per "Star Wars" così va per "Rocky". Né più e né meno.
Tornano i vecchi, ma solo per far spazio ai nuovi, per eseguire un passaggio di consegna, rivitalizzare il franchise o, in questo caso, ristrutturare il marchio. Già, "Rocky" rinasce in "Creed: Nato Per Combattere", è una mossa fisiologica, anagrafica, di marketing sicuramente, ma compiuta in un modo intelligente e rispettoso.
Come se il regista Ryan Coogler e J.J. Abrams abbiano discusso insieme dei loro progetti e, una volta comprese le somiglianze, abbiano condiviso dubbi e soluzioni, trovando con la stessa formula la via per realizzare quel prodotto che li soddisfacesse e capace di conquistare sia le nuove generazioni, sia la maggior parte dei nostalgici legati al passato.
Insomma, "Creed: Nato Per Combattere", pur cambiando i connotati rispetto a quelle che erano le origini di Rocky fa di tutto per continuare a roteare lungo la sua orbita. Le motivazioni di Adonis Johnson infatti sono ben diverse da quelle che portarono il pugile italo-americano alla ribalta, basate più che altro sul sangue e su dei geni che per quanto da lui stesso siano ripudiati ed odiati, alla fine, lo spingono a mollare la ricchezza della sua matrigna - vera moglie del padre che lo ha adottato da piccolo - e il lavoro promettente da cui ha appena ricevuto una promozione, per dare priorità a tempo pieno a quella passione che, nel frattempo, aveva alimentato solo con incontri messicani di basso livello e con lo studio simulato dai video cercati su YouTube (indovinate un po' quali). Impostazione inconsueta, ma che serve alla sceneggiatura scritta sempre da Coogler per fare entrare in gioco la figura indispensabile di Rocky, basilare per trasformare quella che poteva essere una semplice operazione di spin-off innocuo, nel proseguo ufficiale di una saga storica, con il quale dare degna evoluzione ad un icona grandiosa come quella interpretata da Sylvester Stallone. A portare sostanza e carattere alla pellicola ci pensa lui, del resto, finalmente alleggerito dal peso dei guantoni e libero di muoversi con la scioltezza di chi non ha più il faro grande puntato addosso, ma unicamente la funzione di illuminare al meglio la scena di qualcun altro.
Può permettersi di farsi vedere vulnerabile, dunque, Rocky, essere d'aiuto alla persona che identifica come il figlio che non ha mai avuto, tornare ad occuparsi di una famiglia e contemporaneamente mostrarsi al suo pubblico per l'età che porta e gli acciacchi che questa, di norma, implica. Un vantaggio non da poco, diciamo, con cui oltre ad adempire al suo compito-nostalgia, mette nelle mani di Coogler la possibilità di scavare più in profondità, trovando delle soluzioni, anche drammatiche, a cui altrimenti, il regista, avrebbe dovuto rinunciare o ambire differentemente, non raggiungendo mai, di sicuro, lo stesso grado emozionale e la stessa potenza scenica che invece il suo lavoro, pur con qualche sbavatura, riesce a conquistare e a mantenere. Perché, che ci si creda o no, in "Creed: Nato Per Combattere" oltre all'eccitazione, i muscoli e il sudore tipici dello sport che si racconta (per l'ennesima volta), c'è lo spazio per ridere di una gioventù con la quale non è facile stare al passo, per riscaldarsi di fronte ad un appuntamento romantico un po' impacciato, ma soprattutto di commuoversi di fronte a dei combattimenti che, a volte, ci spingono a lottare oltre il rettangolo del ring. E per un film di questa categoria, tendenzialmente orientato al leggero intrattenimento, è un risultato notevole e decisamente inaspettato.
Aveva più da perdere che da guadagnare Coogler quando ha scelto di scomodare un personaggio come Rocky per la sua opera seconda. Poteva fare altre scelte, oppure la stessa sostituendo il contesto con un secondo tutto nuovo, inedito. Però lui ha preferito rischiare tutto, dimostrare coraggio e provare che la sua idea di virare in una direzione nuova per avanzare nello stesso percorso fosse valida ed adeguata .
E considerando come è andata, finale per appassionati compreso, adesso non si può fare altro che dargli ragione.
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