No, non voglio vedere quel capo chino, quello sguardo cupo, quegli occhi delusi e colmi di rabbia, e neanche ascoltare quella voce dire che è venuto il tempo di cercare un altro lavoro! Come si fa ad ammettere che sia normale, ovvio, scontato, “di questi tempi”, che Federico Centenari, giornalista fra i più limpidi e attendibili di Cremona, addirittura non scriva più!
Cremona al buio: le restano solo delle luci artificiali controllate da un monopolio
E questa sarebbe la bella Cremona che si dimentica dei talenti che l’hanno raccontata, spiegata, vissuta, la cosiddetta città della cultura, della musica e delle tante promesse che qualunque politico è sempre pronto a lanciare per lo libero ciel dei bei sogni che durano come la zaffata di vento che disperde i semi di un soffione, questa sarebbe una città, meriterebbe addirittura l’incredibile titolo di città anche se non mostra neanche la capacità di affrontare un problema che abbaglia la vista di chiunque: la libertà di stampa a Cremona non c’è, latita, sparisce, si dilegua, nessuno la cerca visibilmente, anzi i soggetti politici hanno tutta l’aria di tessere alleanze con il quotidiano monopolista, allo scopo di centrare il fantastico obiettivo della “riduzione del danno”!
Non c’è alcun dubbio che “nelle sedi opportune”, quelle nelle quali dovrebbe succedere qualcosa che invece sparisce regolarmente dall’orizzonte delle possibilità più remote, il problema politico della libertà di stampa sia lì sul tappeto. Ma certo, la immagino stesa come un paziente eterizzato nella sala di rianimazione, mentre si discute di eutanasia e si fanno accordi con il giornale monopolista La Provincia di Cremona, mentre chi si sente il lutto per tale gran diritto preso a calci già si gioca a dadi i brandelli del mantello della vittima che ha appena esalato l’ultimo respiro. La libertà di stampa? Siamo realistici, diranno. Basta ottenere un articolo in più su La Provincia. Ma certo. Qualcuno dirà così. Cremona ha in effetti avuto queste menti illuminate, come Andrea Pasquali. Un posticino, una carichetta o anche una carica molto vantaggiosa, e i problemi spariscono. Lo abbiamo visto. Sull’unico giornale “parlano sempre gli stessi”, dicono in tanti. E chissà perché possono parlare “sempre quelli”.
Per comodità di potere, non per adeguatezza del concetto né per chiara veduta della questione di princìpio regolarmente si baratta da tempo la libertà di stampa e d’informazione con il mito del “pluralismo”.
Tristissima versione compromissoria questa. Se ci sono due giornali che raccontano due Cremone si sta meglio?
Ma la questione non è chi parla di più, chi possiede i giornali, quanto spazio ha la maggioranza e quanto l’opposizione, quanto peso hanno le associazioni e perché mai l’Ascom abbia una pagina ogni volta che apre bocca: lo si capisce chiaramente che il pluralismo può ben creare confusione o cupa spartizione. Non si può contrapporre al potere null’altro che un altro potere! Sarebbe il fascismo multiplo, la democrazia dei cinquanta Principi denunciata da Calamandrei nel dopoguerra.
I cittadini cercano ovviamente la qualità dell’informazione, vogliono semplicemente sapere come stanno le cose. Vogliono leggere, su un giornale di carta o dove desiderano, articoli che dicano come stanno le cose. La verità, per quanto la si può conoscere. Ecco quel che vogliono. Ma non solo.
Il giornalismo esiste da sempre anche per guardare avanti, per dare un messaggio, non solo per tener viva una sensibilità che i cittadini non possono non avere, bensì anche per sostenere forme e progetti d’impegno civile, sociale, politico, economico. E chi non lo sa quale valore ha un giornale, anzi l’informazione attenta ai fatti e alle prospettive che si aprono nella società? E’ un bene di tutti, che tutti capiscono e molti vogliono, e quindi è molto strano, spaventosamente disgustoso che soluzioni non ce ne siano mentre si buttano via soldi per ogni dove ma non per la democrazia. Siamo entrati in un incubo che ci perseguita e non c’è alcun cacciatore di incubi che ci liberi. Riducono la nostra vita a un fumetto, a una storiella, a gossip, a niente.
In questo mondo d’informazione tradita e svenduta, per diventare triste canale di comunicazione autoritaria e imperialista dall’alto in basso, voce del padrone e infine sgangherata grancassa del marketing promozionale, un posto per un giornalista onesto non si vede. Quanti casi come quello di Federico Centenari ci si racconterà, al di là del carattere, dei meriti, del valore individuale, al di là di quel che accade alle singole persone, oltre i casi individuali e l’intrico degli interessi che si muovono attorno a una persona? Posso solo provare dolore per Federico, dopo averlo visto lavorare per mesi. Una penna spezzata dal potere è una luce che si spegne. Su tutti.
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