C'è una bandiera italiana, ad ondeggiare in lieve controluce mentre il cielo si colora di rosa. La guardo da una rampa in leggera salita, mentre chiacchiero con gente che non vedevo da un po'. Sono conversazioni riprese dopo quello che sembra un minuto, anziché manciate di dodici mesi l'una.
E in fondo è un po' anche questo, l'attesa.
C'è, fuori dal palasport di Pordenone, la stessa canzone riascoltata mille volte. Perfezionismi vibranti al di là delle mura. Ci sono i pettegolezzi, le invidie, le antipatie. C'è il mio letto, soprattutto (è un pensiero fugace) ad attendermi soffice dopo lo show. Allora, già lo so, avrò i polpacci doloranti. Le solite fitte al collo. La voce trasformata in un sussurro roco che di sexy ha poco e niente. Sempre che si escluda la felicità. Insomma, è tutto come sempre. Solo, è a casa mia. Sul serio, non potete capire quanto questo sia strano. Certo, se magari la smettessi, di sovrapporre immagini...Ma come posso? Ditemelo, forza: come? La giacca beatlesiana. Le occhiate ammiccanti. La prima fila centro, e tanti complimenti per il mio scatto felino. E, ancora, l'umiltà nel ringraziare. Ché “le canzoni nuove, accolte come le vecchie” fanno capire che tutti viviamo le stesse cose. Poi, gli inchini. Gli asciugamani scuri – schifo – mandidi di sudore. Cimeli per cui neanche a quindici anni ho mai provato attrazione. Pure l'effetto calamita dei palloncini sui capelli...sì, persino quello è tutto uguale. Io non dovrei pensare a lui, né ai viaggi in Spagna. Ma é diventato troppo tardi quando gli ho regalato il primo cd. Così mi slogo la spalla, pur di regalargli un video di “vieni a vedere perchè”, la suoneria del suo cellulare. E , una volta in più, capisco la ragione di tutti i miei flashback.
E' che Cesare Cremonini, con Dani Martín, non ha in comune solo i dettagli futili di qualunque concerto. Macché. Il punto é che Cesare, proprio come Dani, ha composto la colonna sonora della mia vita. Ed é per questo che sto qui. Ancora. A dodici anni di distanza dal mio primo concerto dei LunaPop. E magari non scrivo piú sul forum. Magari non lo seguo in giro per l'Italia, va bene. Ma continuo a ritrovarmi in ciascuno dei suoi dischi. Li conservo tutti qui, originali e in gran parte autografati, dietro al pc su cui adesso scrivo. Accanto, non a caso, c'é l'opera omnia de El Canto del Loco. E i primi passi solisti di quello che era il loro leader. Forse é solo quello che dico sempre: che il primo amore non si scorda, tantomeno se si parla di musica. Ma “un giorno migliore” é ancora l'unica canzone su cui io abbia mai pianto durante un live a teatro.“I Love you” é l'estate trascorsa. “Amami (quando é il momento)” una chiacchierata con mia madre sulla prua di una barca a vela. “Marmellata 25” una partita di biliardo con gli amici in uno dei primi tre anni di Universitá. E allora vi direi che Cesare é uno di quegli artisti che, anno dopo anno, migliorano. Che é riuscito a trovare identitá ed equilibrio dosando l'emulazione di Freddie nei movimenti scenici. Che la misura della sua maturitá si evidenzia negli arrangiamenti sempre meno sbavati, oltre che nella modulazione della voce. Vi direi che non sbaglia né dimentica piú i testi, come accadeva a volte nei primi anni di carriera. E anche che la band che l'accompagna é fatta di musicisti con i contro...ehm,fiocchi, regalando un livello musicale da brividi lungo tutta la schiena. Ve lo direi, sí. Ma, come mi succede per un certo spagnolo, so di non riuscire ad essere del tutto obiettiva. Perché “Il Pagliaccio” é la canzone del duetto che sogno. L'ho visualizzato talmente tante volte che mi sembra di sentire l'altra voce entrare in castigliano dopo una pausa di note. Assieme ad un'altra ovazione.
“Vorrei” é il cd che emozionava prima di altri concerti. “Il comico” il sole di Cartagena, impietoso e improvviso in un giorno di Maggio, fuori da un hotel dimenticato da Dio. “He escuchado el nuevo single que me mandaste...me encanta!”. “Dicono di Me” é Daniela e Francesca che mi chiedono durante l'Erasmus come facessi a sapere quale, in realtá, fosse “il nome di un fiore”. “Io pensavo Margherita. O Rosa”. I postumi di una sbornia su di un autobus per Nerja. Le foto della sera prima, in cui assolutamente “non mi devi taggare”.
“L'uomo che viaggia tra le stelle” quella che preferisco, ancora, io.
Allora sorrido tra me e me, mentre nessuno guarda. D'un tratto é come se mi fossi riconciliata col mondo. E mi piace pensare, per quanto io sappia che non corrisponde a veritá, che sia un po' anche per questo che “Qualcosa di Grande” é sparita dal repertorio. Perché nonce n'é piú bisogno. Perché, a conti fatti, nessuno mi ha davvero “portata via ”. Sono un'italo-spagnola, punto e basta. Non dovrebbe sorprendermi un dualismo musicale. Una cosa non esclude l'altra, anche e soprattutto in questo settore. Questo sí: il tipo che filmava per i maxischermi avrebbe potuto anche evitare di proiettare la mia esaltazione in primo piano davanti a un palazzetto a un passo dal sold out. Per dire. E, a guardare il pelo nell'uovo, anche indicarmi sulla frase “il tuo Capitano mi ha detto di dirti che é morto” non é stato poi un gesto cosí carino. Insomma: non son mica notizie da darsi cosí, alla leggera. Che diamine. In quel senso lí, Dani é molto piú romantico. Mi dispiace, Cesare: te lo dovevo dire.