Le persone vogliono essere felici. Attorno all’idea di “felicità” ruotano moltissime motivazioni, scelte, decisioni e frustrazioni umane, credo più che attorno ad ogni altro concetto inventato. Credo che la decisione di partecipare a delle esperienze di crescita, di lavorare con tecniche corporee, condividere esercizi maieutici di gruppo o ricercare particolari stati psicologici sia in massima parte l’esito di un desiderio di felicità individuale.
Come molti sanno, il termine contemporaneo ”felicità” viene fatto derivare dall’eudaimonia di origine greca come la si trova nel Cratilo di Platone. Qui sorge un problema, un però. Il problema consiste nel fatto che, analizzando attentamente i contesti di origine e d’uso di questi due termini, si arriva a comprendere che la nostra idea di felicità è qualcosa che richiama uno stato psicologico, una condizione di benessere generale, qualcosa di occasionale e di altalenante che infatti ci sfugge non appena ne abbiamo provato un qualche istante. L’eudaimonia greca invece è qualcosa di molto diverso: come dice l’etimologia – eu = buon e daimon= demone – consisteva nell’aver conosciuto il proprio buon demone interiore e di riuscire, in sintonia con questo, a dare la forma migliore alla proprio vivere quotidiano e concreto.
Questo daimon – demone – è la capacità soggettiva di ognuno di noi, la propria forza, chiamiamola anche energia, qualcosa che è intimamente inerente a noi stessi. Non è quindi uno stato, nè tantomeno passeggero. Non è uno stato di piacere della vita, ma è la potenza, il potere, di determinare la piacevolezza, il senso, la ricchezza del proprio vivere soggettivo nonostante la mutevolezza del mondo e degli eventi.
Eudaimonia è il più grande lascito dell’etica antica, il nostro bacino di saggezza occidentale. E’ ormai dimenticata perchè non appartiene alla modernità, ma ad una concezione antropologica antica, che nel discorso contemporaneo è smarrito.
Felicità, nell’accezione contemporanea, è qualcosa di sdrucciolevole. Rischia di porre l’uomo in una condizione di continua rincorsa verso ciò che gli promette di fargli provare qualche istante di “stato di felicità”, un pò come ognuno, oggigiorno, può rincorrere innumerevoli situazioni per ambire a qualche minuto di notorietà video-televisiva, come predisse con chiara visionarietà Andy Warhol.
Vedremo in altri post quanto il lascito dell’eudaimonia sia incorporato in diverse, ma certo non in tutte, teorie e pratiche che contribuiscono a costruire esperienze per la crescita personale.