C’è un ometto buffo di nome Criba, confuso e letteralmente in cerca della sua “strada”, con un cavallo a rotelle al seguito; questo ometto si mette in viaggio, senza una meta particolare: questa è, in estrema sintesi, la storia del graphic novel (molti si ostinano a dire «della graphic novel», ma poi perché? In fondo “novel”, pur essendo neutro in partenza, si traduce in italiano con “romanzo”, no?) di Filippo Biagioli, edito da Tribaleglobale Primary Art. Non dovendo rendere conto di plot e sub-plot particolarmente complessi, diremo invece più diffusamente dei personaggi: Criba, protagonista imbranato e vagamente sagace, da slapstick comedy, incontra sul suo cammino ragni parlanti, fiori magici e altri individui singolari. Tuttavia, la storia che vorrebbe e dovrebbe essere orchestrata secondo il “luogo letterario” del viaggio, finisce per essere (e magari qualcuno può gradirlo, questo) una serie di sketch, di comicità altalenante, accostati l’uno all’altro. Ciò diminuisce sensibilmente le potenzialità di un soggetto non malvagio sebbene non particolarmente innovativo; e, non secondariamente, ci restituisce un “cast” che avrebbe potuto lasciare una “traccia” decisamente maggiore.

A proposito di “tracce”: in Criba, il tratto è essenziale, spezzato, ed emerge con prepotenza dai molti fondi neri. Si predilige un punto di vista laterale, con scene volutamente tendenti alla bidimensionalità. Non infrequenti gli “interventi” dell’autore, anche in ottica meta-narrativa, o meta-figurativa, se preferite, in questo caso. Nota dolente il lettering che, a tratti confuso, inficia qualche volta la leggibilità delle tavole. Potrò essere tacciato di “impressionismo” (non nel senso storico-artistico del termine, ovviamente), tuttavia la sensazione che mi ha accompagnato durante la lettura di Criba è stata quella di frustrazione: adesso succede qualcosa, adesso succede qualcosa, adesso succede qualcosa, non è successo niente. Mi viene in mente una cosa: uno scrittore una volta mi disse che solitamente per un “racconto” ci vogliono un inizio, uno svolgimento e una conclusione, e che quasi mai si riesce ad eludere questi elementi. Qualcuno, ma sono pochi, pochissimi forse, ci riesce. Ma di solito no. Infatti, di solito no.

Dunque, facciamo un’ipotesi, così tanto per dirne una: un “racconto” (virgolette d’obbligo) ha un’idea di partenza già sentita ma non brutta; un personaggio principale accettabile; comprimari dimenticabili ma a tratti piacevoli; è svolto senza scossoni e senza picchi di esaltazione. Bene, dopo averlo letto, cosa ne ricorderete? Anzi, diciamo meglio: lo ricorderete? Chiusa la parentesi (chissà perché piazzata proprio qui in mezzo): come dico spesso, e non falsamente, è stato con le migliori intenzioni che mi sono avvicinato a Criba, trovando però un prodotto (non si può dire prodotto?) che lascia alcuni dubbi. Per completezza (e per la indispensabile onestà che deve essere propria del recensore), bisogna dire che il volume si presenta piuttosto curato da un punto di vista editoriale, nel suo formato A4 con copertina rigida, ben rilegato, e dalla buona carta. Tutto ciò costituisce un biglietto da visita molto interessante per un’opera che, però, rischia di deludere.
