Nelle selezioni nazionali la presenza di oriundi, naturalizzati ed immigrati di seconda e terza generazione è ormai una realtà consolidata e trasversale a quasi tutti gli sport. Nel mondo globalizzato, con buona pace dei puristi dell’italianità, il fenomeno è destinato a tutt’altro che diminuire. Un mondo fatto di ragazzi che vestono con orgoglio la maglia azzurra pur parlando con accenti stranieri, di atleti che si commuovono sul podio di fronte al tricolore e all’inno di Mameli spesso come, se non più, dei purosangue. Un mondo fatto di vite che sono storie che varrebbe la pena raccontare una ad una.
Tra le squadre che raccolgono il maggior numero di “stranieri” c’è la nazionale di cricket. Un roster fatto praticamente per intero da giocatori anglofoni (australiani, sudafricani e cingalesi) guidati da due uomini di esperienza: capitan Alessandro Bonora, un ligure che ha appreso il gioco alle latitudini di Cape Town (Sud Africa), e il coach, l’aussie Joe Scudieri.
L’anno 2012 è stato quello del tentativo di qualificazione per la coppa del mondo di Twenty20, una nuova formula che aspira ad offrire una versione del gioco più usufruibile al grande pubblico con incontri non di cinque giorni ma “solo” di due orette e mezza sulla lunghezza dei 20 over. Gli azzurri a Dubai avevano una missione molto complicata: dei 16 team, per un cambiamento di regolamento, solamente 2 si sarebbero qualificati, a differenza dei 6 di prima. Il compito era arduo soprattutto perchè c’erano da affrontare squadre molto ben attrezzate come Irlanda e Afghanistan che otterranno poi la qualificazione. L’Italia esordisce in maniera incoraggiante battendo i padroni di casa dell’Oman per poi vincere di 8 run sugli USA. Il terzo match è la prova del nove: affrontiamo l’Irlanda che qualche anno fa era impensabile insidiare e che ci batteva di 100 punti , vincono comunque loro ma perdiamo solo per due wicket, una prestazione che fa ben sperare per il futuro. Il finale di torneo vede però i nostri, che seppur combattivi in ogni incontro, perdono contro Kenya, Scozia e Namibia ottenendo un solo altro successo con l’Uganda.
La crescita del movimento è palpabile. La strada che porta ad avvicinarsi all’elite di uno degli sport più antichi e più popolari al mondo e comunque ancora lunga.
Da sottolineare come mentre la nazionale si affidi in gran parte a giocatori con importanti esperienze all’estero, il campionato italiano è invece animato soprattutto da ragazzi dello Sri Lanka, Pakistan, Bangladesh ed India spesso italiani di seconda e terza generazione che potrebbero essere la base su cui costruire i successi del futuro. Base sulla quale far crescere una bellissima e competitiva nazionale arcobaleno che inserisca anche i giovani italiani magari attirati dallo spirito di fair play britannico che caratterizza i gentlemen vestiti in bianco del cricket.
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