I Supertramp, band inglese (anche se successivamente trapiantata in America) che si può far rientrare nel genere rock-progressivo, contaminato però con influenze pop, R&B e jazz, nel 1974 si trovarono di fronte a una potenziale svolta; i loro primi due album, pur avendo goduto di lodi dalla critica, avevano venduto molto poco, provocando l’abbandono di vari membri e lasciando i due leader Rick Davies (voce e tastiere) e Roger Hodgson (voce, chitarre e tastiere) alla ricerca di nuovi musicisti da inserire; per cui l’ingresso di John Helliwell (sassofono, clarinetto), Dougie Thomson (basso) e Bob Siebenberg (batteria) andò a costituire la formazione oramai riconosciuta universalmente come “classica”, che durante un decennio sfornò cinque album di enorme successo. Sentendo di avere le potenzialità per poter finalmente sfondare, i cinque si isolarono per mesi in una fattoria della campagna inglese assieme al co-produttore Ken Scott per comporre e provare i pezzi; l’album che ne uscì, Crime of the Century, scalò le classifiche di vendita mondiali e sarebbe diventato, assieme Breakfast in America del 1979, il loro più conosciuto e apprezzato. Inoltre, all’epoca, il suo suono ad alta fedeltà impressionò molto positivamente gli audiofili, tanto da far parte di quella ristretta cerchia di dischi che gli esperti consigliavano di usare per testare gli impianti hi-fi. Nonostante tutti i brani siano accreditati congiuntamente alla coppia di indiscussi leader Davies/Hodgson, in realtà si trattava, così come già avvenuto nel sodalizio Lennon/McCartney, di una firma di facciata, in quanto i brani sono stati dichiaratamente composti solo dall’uno o dall’altro a eccezione di qualche sporadico contributo o idea suggerita dal socio; e così come nei Beatles, l’autore reale del brano è anche colui che lo canta: quindi, al di là del fatto che si tratta di due stili spesso diversi ma complementari, è facile identificare il vero compositore; scioglie infine ogni dubbio la considerazione che la tracklist alterna rigorosamente un brano di Hodgson a uno di Davies.
Passando in rassegna singolarmente gli otto brani che compongono Crime of the Century, il primo è School, composizione di Hodgson che si apre con una solitaria armonica, a cui segue una parte introduttiva dove sono presenti solamente voce e chitarra del suo autore; urla e risate di bambini che escono da scuola aumentano la tensione emotiva, che sfocia in una seconda strofa arrangiata con tutti gli altri strumenti; subito dopo, un lungo intermezzo strumentale che in una prima parte vede riff di chitarra elettrica alternarsi a riff di basso, mentre nella seconda si avvale di un interessante assolo al pianoforte suonato e composto da Davies, a cui si aggiunge infine il clarinetto di Helliwell, che conclude l’assolo e cede il passo a un botta e risposta tra Hodgson e Davies, prima della strofa conclusiva; il testo anticonformista è un primo segno rivelatore della filosofia di pensiero di Hodgson: non tutte le cose utili della vita si imparano a scuola e per raggiungere i propri obiettivi bisogna combattere. Il secondo brano è Bloody Well Right, scritto e cantato da Davies: e infatti si apre proprio coi suoi lunghi e rapidi assoli di piano elettrico, accompagnati da stacchi di sax; l’estesa introduzione jazz lascia improvvisamente il post ad un riff quasi hard-rock eseguito dalla chitarra elettrica di Hodgson, e tutto il pezzo si muove entro questo dualismo jazz/hard-rock, cantato da Davies con una voce a tratti dura e a tratti soft; musicalmente è uno degli esempi più lampanti di come i Supertramp riescano a miscelare più generi totalmente diversi senza soluzione di continuità. È di nuovo il turno di Hodgson, che prosegue con Hide in Your Shell, uno dei suoi brani più sentiti e toccanti; il testo, in cui le persone molto timide si possono facilmente identificare, parla della condizione umana afflitta da solitudine e introversione; tra spunti di riflessione filosofica e sentimenti di amore universale, l’autore mostra la sua empatia con queste persone e offre tutto il suo aiuto per farle uscire dal guscio dentro il quale si sono rintanate per non vedere tutte le sofferenze esterne. Il tutto è reso musicalmente attraverso un brano “epico” di oltre sei minuti che inizia in modo molto morbido con una combinazione di piano elettrico e organo e un dolce, quasi romantico, motivo che via via diventa più aggressivo, quasi a voler rimproverare le persone che si “spaventano” degli estranei, e che vede l’alternarsi di più melodie diverse fino a sfociare nell’accoratissimo finale, in cui il cantante, coadiuvato da un supporto corale, col cuore in mano lancia un appello a chi ha bisogno di farsi aiutare.
Anche Rick Davies nel brano seguente, Asylum, ci offre un suo spunto di riflessione sulle persone più disagiate, ma lo fa in modo decisamente più ironico: con la sua interpretazione sofferta, quasi recitando, si immedesima in un pazzo da manicomio, e accompagna la prima strofa solo col suo pianoforte e una melodia quasi fanciullesca; nel ritornello si cambia però registro, entra in scena una possente batteria e un tappeto di vari suoni (campane comprese, nel secondo ritornello) che in qualche modo simulano il disordine mentale e che si conclude con un surreale botta e risposta tra Davies e Hodgson; nel finale il cantante, con tutti i versi scatenati e liberatori che urla sembra impazzire davvero, ma la conclusione è affidata al riff iniziale di piano e a un… cucù! Il lato B dell’album originale (cioè in LP) inizia con un geniale brano di tre minuti e mezzo intitolato Dreamer che si potrebbe definire un pop progressivo, dominato dal piano elettrico suonato “a martello” (uno stile percussivo adottato da Hodgson che sarà uno dei marchi di fabbrica del gruppo) e che nella parte centrale vede un “inseguimento” dei due cantanti che si spostano continuamente dal canale destro al sinistro e viceversa, in un rincorrersi di voci; si riscontra inoltre un altro degli elementi peculiari del sound dei Supertramp: le armonie vocali ottenute da Hodgson sovrincidendo numerose volte la sua voce. Raggiungendo la 13ma posizione nella classifica dei singoli inglesi, rientra tra i brani più celebri dei Supertramp. Segue un altro brano epico, Rudy, le cui strofe lente accompagnate dal piano descrivono una persona introversa, riflettendo forse il carattere un po’ schivo dell’autore Rick Davies; attraverso poi un intermezzo simil-hard-rock, la canzone cambia totalmente, come da migliore tradizione del rock progressivo, e tra suoni ambientali di una stazione dei treni, un “wah-wah” di chitarra e un ulteriore ennesimo duello a due voci, si arriva al culmine con un possente accompagnamento orchestrale, che aggiunge maestosità ai pensieri filosofici di una persona incompresa, seguiti dagli immancabili consigli dall’esterno, fino a giungere, in un caleidoscopio di suoni, al lento finale che si svolge ancora una volta in una stazione dove Rudy riprende il suo treno…
Il penultimo brano, If Everyone Was Listening, è il meno prog dell’album: in uno stile che ricorda un po’ l’Elton John di quel periodo, Roger Hodgson esegue un’ottima ballata al pianoforte con una struttura classica senza particolari stravolgimenti ma con qualche interessante variazione melodica tra una strofa e l’altra e un assolo di clarinetto; il testo parla di uno spettacolo teatrale in preparazione, facendo intuire che si tratta una metafora in cui il teatro rappresenta la vita, che ci vede tutti attori più o meno consapevoli del nostro ruolo. Un testo molto più enigmatico invece caratterizza la canzone finale, che dà anche il titolo all’album; di nuovo una struttura atipica: la parte cantata da Davies è più che altro una introduzione alla lunghissima sezione strumentale che predomina il resto del brano; tale sezione, basata su un ossessivo riff di piano ripetuto fino alla fine su cui man mano si innestano vari assoli di sax e l’immancabile contributo orchestrale, cresce di intensità fino a concludersi nello stesso modo con cui l’album si è aperto: un assolo di armonica.