di Michele Marsonet. La stampa italiana continua a occuparsi assai poco della crisi tra Cina e Giappone, forse perché l’Estremo Oriente non è percepito da noi come area fondamentale per i nostri interessi. Si tratta a mio avviso di un errore. L’Italia ha intensi rapporti economici e commerciali non solo con i due Paesi citati, ma anche con le altre nazioni che a essi sono contigue. Né si deve trascurare il fatto, per nulla marginale, dei flussi studenteschi e dei rapporti accademici che, spesso, si traducono in accordi di rilievo sul piano scientifico e tecnologico.
Dopo tutto si parla della seconda e della terza potenza economica mondiale, e già questo fa capire che un peggioramento della situazione avrebbe effetti immediati anche a livello italiano (ed europeo in generale).
La crisi ha avuto negli ultimi giorni un andamento “strano”. Inutile o quasi è apparso il viaggio del vicepresidente americano Joe Biden a Tokyo, Seoul e Pechino. Pur essendo un politico di lungo corso, non è affatto riuscito a rassicurare gli alleati giapponesi e sudcoreani circa l’intenzione USA di impegnarsi seriamente qualora la Repubblica Popolare decidesse di alzare i toni della contesa. Che, detto per inciso, trova nelle isole Shenkaku-Diaoyu solo un pretesto occasionale.
Tra l’altro, il direttore dell’Istituto cinese di Studi Americani ha parlato di Biden in termini quanto meno irrispettosi affermando: “Ci è sembrato che nella recente crisi interna del budget Biden non sia stato in prima linea, lo abbiamo visto solo una volta mentre mangiava un panino con Obama, ma era una photo opportunity”. Un modo come un altro per far notare che il vicepresidente conta poco? Oppure qualcosa di più, un messaggio in chiaro per far capire che la Cina può ormai permettersi di non attribuire eccessiva importanza al ruolo USA in Estremo Oriente?
Comunque sia si tratta di una grande novità, poiché finora i cinesi non si erano mai permessi di rilasciare dichiarazioni ufficiali con un simile tono di sufficienza. E in questo si accodano ai sauditi e agli israeliani, alleati chiave che negli ultimi tempi stanno per vari motivi prendendo le distanze dagli Stati Uniti.
Su un punto gli osservatori internazionali concordano. Dopo l’istituzione unilaterale da parte cinese di una vasta zona di identificazione e difesa aerea intorno alle isole oggetto di contesa, potrebbe verificarsi un incidente suscettibile di condurre a una pericolosa escalation.
Com’è noto gli americani hanno abbozzato chiedendo alle loro compagnie aeree civili di rispettare la volontà di Pechino. I giapponesi, però, se ne sono ben guardati e non danno alcun segnale di cedimento.
Al contrario, nel Paese del Sol Levante il nazionalismo incoraggiato dal governo Abe sta crescendo, e chi pensava a una rapida resa dimostra di non conoscere bene il Giappone. Assistiamo insomma a una partita di poker assai pericolosa. La Cina pensa che i potenziali avversari non abbiano più carte da giocare. Ma non è detto – ed è stato notato da più parti – che in un eventuale (e non certo augurabile) confronto militare i cinesi escano necessariamente vittoriosi.
Sulla carta appaiono ampiamente superiori sul piano numerico, ma si ritiene che più piccole forze armate giapponesi conservino tuttora una supremazia tecnologica in grado di parare eventuali minacce armate.
Resta sullo sfondo il mistero dell’atteggiamento USA, profondamente influenzato dalle costanti incertezze dell’attuale amministrazione. E’ probabile che la Repubblica Popolare abbia scelto proprio questo momento di debolezza per lanciare la sua sfida da potenza globale. Si vedrà ora se Robert Kaplan ha ragione quando parla di “declino americano”.
Featured image, ritratto ufficiale Joe Biden, Vicepresidente degli Stati Uniti