Crisi del Mali e realtà geopolitiche: gli attori locali

Creato il 31 gennaio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

L’intervento militare in Mali, come ogni intervento occidentale dalla fine della Guerra Fredda (dall’Iraq fino alla Libia passando per l’ingerenza in Siria) non può essere analizzato in maniera angelica solo perché si tratta di un’operazione francese. Allo stesso tempo non può essere assimilato a tutte le altre operazioni perché, a differenza di queste, rivela le sue vere ragioni.

La guerra in Mali è il confronto fra una molteplicità di attori:

  1. lo Stato centrale maliano (Bamako);
  2. i tuareg indipendentisti dell’Azawad;
  3. i gruppi jihadisti;
  4. lo stato francese e la sua compagnia petrolifera Total (che, pur essendo una multinazionale sul piano capitalistico, resta coordinata alla Francia sul piano dell’azione politica);
  5. lo Stato algerino con, da una parte, il suo Stato profondo (il potente DRS, la sicurezza militare, cuore del regime) e, dall’altra, la società petrolifera di stato Sonatrach;
  6. gli Stati Uniti e il loro Stato profondo (composto da elementi della CIA, del Pentagono e dell’esercito);
  7. il Qatar e i suoi interessi nel campo petrolifero e del gas;
  8. due Stati vicini, la Mauritania e la Libia, che hanno sempre giocato un ruolo cruciale nella questione dei tuareg.

 
Questi i protagonisti dell’affare maliano. In secondo piano, altri attori incaricati di portare ai protagonisti di primo piano una legittimità in termini di diritto internazionale: gli altri Stati africani (la CEDEAO), l’Unione Europea…

Vediamo gli interessi e le motivazioni degli attori primari affrontarsi sulla scena maliana, e non per forza in maniera visibile. Trattandosi di un’analisi molto lunga, ho deciso di dividerla in due parti. La prima cercherà di chiarire le motivazioni dello Stato maliano, dei tuareg indipendentisti e dei gruppi islamici. La seconda parte toccherà la questione complessa dei rapporti di potere nella zona in merito a petrolio e gas (e in particolare gli interessi petroliferi francesi, qatarioti e algerini). Potremo in seguito proporre una lettura della crisi che si articolerà essenzialmente intorno a un braccio di ferro tra Parigi, Algeri e Doha, con ovviamente gli Stati Uniti in “imboscata”, e che mostrerà ancora una volta quanto il terrorismo islamico sia strumentalizzato per consolidare o rinnovare gli interessi degli attori principali.

Lo Stato maliano

Per presentare lo Stato maliano nelle sue caratteristiche geopolitiche mi appoggio all’articolo “Mali” del Dictionnaire de géopolitique (Chauprade/Thual) nella sua seconda edizione del 1999. L’esercizio che consiste nel ritornare sui propri vecchi testi è praticato poco in Francia, perché se così non fosse verrebbe messa in discussione la quasi totalità dei nostri commentatori mediatici, soprattutto Olivier Roy, il geniale visionario della “fine dell’Islam politico” (titolo del suo saggio del 1992), che nel 2011, all’inizio della primavera araba, ancora si pavoneggiava spiegando che la sua tesi sulla sparizione dell’islamismo era corretta e che la massa araba non sognava che la democrazia occidentale… Questo fa pensare a Francis Fukuyama, che si scusa perché la Fine della Storia è stata ritardata così tanto dal 1990 ma ci chiede di pazientare ancora un po’ (per avere ragione)…

La realtà, che ci piaccia o no, è che una parte consistente (ma non per forza maggioritaria) degli arabi vuole rifondare la politica dei propri Paesi sulle basi dell’Islam politico semplicemente perché rifiuta il movimento globale di occidentalizzazione dei valori; e che del resto, per semplice onestà intellettuale (anche se a titolo personale non nutriamo alcuna particolare simpatia per quest’ala del movimento), converrebbe distinguere l’azione terroristica jihadista dai partiti politici islamici (come i Fratelli Musulmani). Se non lo facciamo, non capiremo mai come certi Stati possano avere interesse a creare dei gruppi ultra-radicali che si appellano all’Islam con il solo obiettivo di screditare la massa di un Islam politico che non qualificherei come moderato (perché non vuol dire niente) ma che tuttavia non impiega per forza la violenza terroristica come mezzo di azione politica.

Chiudiamo parentesi. L’articolo “Mali” del Dictionnaire de géopolitique permette di ricordarsi due idee essenziali:

  1. prima di tutto le tracce dell’azione coloniale in Mali: i soldati francesi dell’operazione “Serval” hanno come riferimento i “grandi vecchi della colonizzazione” e una letteratura militare coloniale di qualità;
  2. in secondo luogo la separazione razziale che caratterizza il Mali.

Il territorio del Mali corrisponde a quello dell’ex Sudan dell’Africa Occidentale Francese (A.O.F). Questo territorio era stato conquistato nel XIX secolo (Faidherbe e poi Gallieni, 1880-1895) nel quadro della corsa al Niger portata avanti dalle autorità coloniali francesi (…). La sua base territoriale è formata dal bacino dell’Alto Niger e dall’ansa del fiume Niger. Il suo territorio ha subito numerose variazioni, a cominciare dall’annessione temporanea dell’Alto Volta (l’odierno Burkina Faso), poi separatosi nel 1919, per finire con la restituzione dalla Mauritania dei territori di Nord-Ovest.
Dopo l’indipendenza nel 1958, il Sudan diventato Mali (dal nome del prestigioso impero mandingo del XIV secolo) è rimasto per un periodo unito al Senegal.
Il Mali è formato dal Sahel, da una parte, e dal Sahara, dall’altra, articolati su un bacino fluviale intorno al quale si irradiano le antiche rotte commerciali. Questa divisione geografica è anche all’origine della divisione geopolitica del paese tra una massa composta da popolazioni negro-africane sedentarie e una minoranza di nomadi che vivono nel Nord occupando un’ampia superficie. I nomadi, tuareg o mori, sono entrati in rivolta negli anni ’90. I diversi movimenti che sono nati hanno tutti un unico obiettivo: la creazione dell’Azawad. Nonostante i vari tentativi di coordinamento, la frattura sociale ed etnica resta profonda e si inserisce nei conflitti che stanno interessando la striscia saheliana, dalla Mauritania al Ciad. I diversi movimenti per la liberazione dell’Azawad godono del sostegno discreto della Libia o della Mauritania (…)
Il frazionamento dei movimenti di liberazione dell’Azawad non deve mascherare l’intensità della loro opposizione al governo centrale. La fragilità dell’unità interna del Mali costituisce senza dubbio la caratteristica geopolitica più rilevante di questo paese.

Tredici anni dopo la scrittura di queste righe, dunque nel gennaio 2012, tornando dalla Libia all’indomani della caduta di Gheddafi (al quale erano legati), i tuareg del MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad) sconfiggono l’esercito maliano e proclamano l’indipendenza dell’Azawad. Tuttavia la vecchia lotta separatista portata avanti dal MNLA sfocia subito in un’altra lotta, quella della jihad (la quale, in Africa occidentale, non è affatto una novità, anzi: a questo proposito rimando alla mia opera Géopolitique, Constantes et changements dans l’histoire, Ellipses, 2007, pagg. 314-325: l’islamizzazione dell’Africa nera). Nella regione la jihad è condotta da tre gruppi principali: Ansar Dine, fondato da un leader storico del movimento tuareg passato alla lotta islamica, il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale – MUJAO – e infine Al-Qaida nel Maghreb islamico – AQIM –, gruppo storicamente algerino poiché erede del GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento) a sua volta erede dei GIA della guerra civile algerina.

All’inizio dell’aprile 2012, l’MNLA e i questi gruppi islamisti prendono il controllo delle capitali delle tre regioni del Mali settentrionale: Kidal, Gao e Timbuctù. Il 6 aprile l’MNLA proclama l’indipendenza dell’Azawad raggiungendo il suo obiettivo storico. Ma ecco succedere ciò che era facilmente prevedibile: l’islamismo prende il sopravvento sul nazionalismo tuareg essendo il primo, più del secondo, suscettibile di trovare sostegni esterni. Alla fine del giugno 2012 il trio AQIM/MUJAO/Ansar Dine schiaccia l’MNLA a Gao e poi a Timbuctù. Comincia la triste distruzione dei Mausolei dei santi musulmani a Timbuctù (rappresaglia contro la decisione dell’Unesco di classificare la città Patrimonio Mondiale dell’Umanità).

Ma torniamo a Bamako. Il primo obiettivo dello Stato maliano è riprendere il controllo del Nord e vendicarsi dei tuareg appoggiandosi alla potenza francese. Si tratta ovviamente di un obiettivo politicamente pericoloso per la Francia. Per Parigi cacciare i gruppi islamici dal Mali settentrionale è un’operazione che non deve sfociare in un’epurazione etnica anti-tuareg. Mano a mano che l’esercito francese si avvicinerà ai suoi obiettivi (far ritirare i nemici) si renderà conto che l’esercito maliano, al fianco del quale combatte, si adopererà per vendicarsi sulle popolazioni tuareg e questo rischia di diventare un vero problema da gestire per Parigi. Militarmente incapace di resistere di fronte ai guerrieri del deserto, l’esercito nero-africano maliano, pur con il sostegno di altre truppe nere (CEDEAO), senza l’azione militare della Francia, si trova nell’incapacità di restaurare l’unità del Mali (unità quanto mai artificiale, come abbiamo visto prima).

I tuareg indipendentisti dell’MNLA

I tuareg sono 1,5 milioni di nomadi del Sahara (origine berbera ma meticciato con neri e arabi) che vivono su più di 2 milioni di chilometri quadrati (Niger, Mali, Algeria, Libia, Burkina Faso), spesso ai margini del loro Stato di appartenenza. In Mali, nella regione dell’Azawad, sarebbero circa 500 000 su una popolazione maliana di 16 milioni (in Niger i tuareg sono 850 000 su una popolazione quasi identica a quella del Mali, ossia 16 milioni). Questo dato mette in evidenza come una minoranza di mezzo milione di persone stia schiacciando un esercito incaricato di rappresentare la sicurezza e gli interessi di 15,5 milioni di cittadini maliani neri! Chi potrà mettere in discussione l’intervento della Francia che si è schierata a sostegno della schiacciante maggioranza della popolazione, la quale, ed è un dato di fatto difficilmente contestabile, si rifà a un Islam intriso di tradizioni africane e rifiuta il modello salafita importato? Affermare questo non significa tuttavia negare o nascondere che la Francia faccia i propri interessi. Hollande dice che la Francia non difende degli interessi in Mali; è ovviamente una battuta (dettata dal sacrosanto principio di ipocrisia dirittoumanista), battuta sulla quale torneremo. Al contrario sarei tentato di dire, un po’ provocatoriamente, che è da molto tempo che la Francia intraprende guerre per i suoi propri interessi e non per quelli degli Stati Uniti. La Francia ha il diritto di avere i suoi interessi, come ogni altro Stato, e di difenderli, nel momento che la difesa dei suoi interessi resta compatibile con quelli della maggioranza delle popolazioni in questione e non si distrugga tutto con il mero scopo di impadronirsi del petrolio, come gli statunitensi hanno fatto in Iraq nel 2003 e come stiamo purtroppo facendo noi in Siria, insieme a nordamericani, inglesi e qatarioti.

In passato i tuareg erano ben lontani dall’avere una posizione sfavorevole. Prima della colonizzazione francese, erano addirittura i soli, insieme agli etiopi, a disporre di una propria scrittura e controllavano il commercio carovaniero e greggi immense. Prima della colonizzazione francese – rimando ancora una volta a Géopolitique, constantes et changements dans l’Histoire, opera in cui analizzo i meccanismi attraverso i quali la colonizzazione ha portato a una inversione dei rapporti di forza fra le etnie tradizionalmente dominanti e quelle dominate – sono i tuareg a razziare i neri d’Africa e i maliani stanno scoprendo oggi questa verità. La verità è che la colonizzazione ha fatto spesso da quadro pacificatore (si parlava infatti di pacificazione) e di protezione per le etnie dominate dell’Africa nera. Al contrario è stata una catastrofe e una perdita di potere per le etnie un tempo dominanti. Rifiutando, per esempio, la scuola francese coloniale, sono stati i tuareg stessi, al momento dell’indipendenza, la ragione della propria marginalizzazione a vantaggio dei neri.

Nel momento in cui si dissolve il contesto della Guerra Fredda che aveva congelato i conflitti identitari all’interno degli Stati, i tuareg alzano la testa ed entrano in rivolta in Niger e in Mali. Alla fine, nel 2009, gli accordi di pace si concludono con la decentralizzazione per le regioni tuareg alle quali viene attribuita un’ampia autonomia amministrativa. Siccome gli accordi non vengono applicati, molti ex leader tuareg che erano stati integrati nell’esercito maliano disertano. Il problema si aggrava dal momento che gli statunitensi (ritornerò su questo punto fondamentale), nel contesto della loro cooperazione militare anti-terroristica con il Mali e numerosi altri Stati della zona (la Pan Sahel Initiative che diventerà la TSCTI), hanno spesso scelto di appoggiarsi a ufficiali tuareg – avevano in testa qualche idea machiavellica o agivano in maniera pragmatica perché consideravano i tuareg i combattenti migliori? In questo affare la caduta di Gheddafi, voluta e provocata, bisogna ricordarlo, dalla presidenza di Nicolas Sarkozy in accordo con gli statunitensi e gli inglesi, è direttamente all’origine di quello che succede oggi nel Mali settentrionale. Mentre le truppe di Gheddafi soccombono, centinaia di tuareg dell’MNLA che combattevano al loro fianco tornano rapidamente in patria armati fino ai denti e riaccendono la fiamma combattente del separatismo. Nel gennaio 2012, la rivolta tuareg, la cui componente essenziale è costituita dall’MNLA, chiede esplicitamente l’indipendenza del Mali settentrionale e passa all’offensiva.

Da allora l’MNLA è stato superato militarmente dai gruppi islamici (Ansar Dine, MUJAO e AQIM) ma mantiene tuttavia il grosso degli effettivi, visto che soltanto una piccola frangia dei suoi membri si è unita ad Ansar Dine. Un’uscita dalla crisi senza l’MNLA non è immaginabile. Per regolare la questione islamica nella zona è necessario un accordo tra Bamako/Parigi da un lato e l’MNLA dall’altro. Parigi è in posizione di forza poiché Bamako non può fare più niente senza le truppe francesi e di conseguenza i soldati francesi sono costretti ad allearsi con l’MNLA, componente separatista ma non jihadista dei tuareg, per cacciare gli islamisti dalla zona. Se l’esercito francese non delega ai tuareg la “pulizia” di questo spazio immenso, desertico e montagnoso al contempo, ricadrà in un tunnel senza fine e sicuramente più oneroso finanziariamente che in quanto a costo di vite umane (visto che militarmente l’operazione sarà molto più gestibile dell’Afghanistan). In seguito, la Francia deve porsi in posizione di mediazione tra l’MNLA e Bamako. L’affare è tuttavia più complesso di quanto sembri. Non esiste un solo Azawad, ma tre: il Sud (Songhay e Peuls), lungo il corso del Niger, il Nord, territorio dei tuareg, e l’Ovest sahariano arabo.

I gruppi jihadisti

E’ stato detto che tre gruppi islamisti si trovano implicati nell’affare del Mali settentrionale. Due gruppi che presentano un carattere identitario locale: Ansar Dine, espressione islamista radicale dell’MNLA, il movimento storico di combattimento dei tuareg la cui base originaria è Kidal; il MUJAO (con base a Gao); AQIM, che è invece un insieme di gruppi, molto più algerino che maliano, e si iscrive nella filiazione GIA/GSPC. La mia analisi sull’islamismo radicale e terroristico è cosa nota. Per ognuno dei movimenti individuati e analizzati bisogna porsi due domande: quali sono la parte locale e la parte globale (il legame con una “internazionale” islamista)? Quali sono la parte autentica (combattenti autenticamente islamisti) e la parte infiltrata/creata artificialmente (gruppo infiltrato da agenti dei servizi segreti le cui azioni obbediscono ideologicamente a una strategia della tensione da parte di uno o più Stati)? Non abbiamo qui il tempo di rifare la storia del terrorismo islamico e del resto l’argomento è stato già trattato abbondantemente. Per dire le cose in maniera semplice, due letture si oppongono. Una prima lettura, dominante e mediatica, è quella secondo la quale Al-Qaida e più globalmente il “terrorismo internazionale” sono delle forze autonome che obbediscono a una propria agenda e portano avanti una guerra contro l’Occidente. La seconda lettura (che è la mia) considera il terrorismo islamico come la combinazione tra una lotta autentica (molti jihadisti portano realmente avanti una guerra contro l’”empio Occidente”) e una strumentalizzazione/manipolazione da parte dei servizi segreti di Stato.

Ora, è impossibile comprendere questa seconda lettura se si nasconde la dimensione mafiosa del fenomeno jihadista e terrorista. Questa dimensione mafiosa è ammessa in entrambe le letture. I media ufficiali non mancano infatti di sottolineare che AQIM o AQMI (Al-Qaida nel Maghreb islamico) lavora fianco a fianco con i cartelli colombiano e venezuelano al fine di facilitare il trasporto per via aerea dei carichi di droga verso il deserto del Sahara, carichi che ripartiranno poi verso l’Europa. Si parla di “Mister Marlboro” a proposito del terrorista Mokhtar Ben Mokhtar, con riferimento al suo ruolo nel traffico di sigarette. Però il traffico di droga, di sigarette e anche di immigrati clandestini, così come i rapimenti, sono le diverse sfaccettature di un’economia del crimine che controlla i gruppi sahariani, discendenza diretta del più antico contrabbando sahariano. Niente di nuovo sotto il sole del Sahara. Del resto nell’insistere talmente tanto su questa dimensione mafiosa (che, ripeto, nessuno mette in discussione), i media ci portano a domandarci che cosa conti di più per questi terroristi: il denaro (il traffico) o la jihad? Il denaro mafioso serve a finanziare la jihad o invero la jihad diventa un alibi per coprire il traffico? Difficile rispondere, ma ciò che è certo è che la confusione tra denaro sporco e ideologia mostra come i gruppi siano capaci di accogliere tra le loro fila (o addirittura al comando) degli infiltrati che altro scopo non hanno se non quello di far coincidere l’azione terroristica con l’agenda del servizio segreto di Stato che servono.

Quello che credo è che Al-Qaida sia uno strumento dello Stato profondo nordamericano che serve a giustificare, dalla fine della Guerra Fredda, buona parte della politica militare degli USA, e che AQMI sia il fantoccio magrebino di questo strumento occulto, il quale tuttavia si differenzia da tutte le altre componenti regionali di Al-Qaida (Afghanistan, Iraq, Yemen…): lo Stato profondo nordamericano non controlla direttamente AQMI. Infatti con ogni probabilità è il DRS algerino, la sicurezza militare algerina, a controllare AQMI. Ancora una volta sarebbe troppo lungo soffermarsi a dimostrarlo, lo hanno fatto però da molto tempo autori svizzeri, britannici e tedeschi ma, ahimè, nessun francese poiché in Francia tutti temono l’Algeria e i suoi colpi bassi. Ne approfitto per dire che su questo argomento sono aperto al dibattito, non certo però con i discepoli di Glucksmann o Lévy che, da un lato, non smettono di accusare Mosca di terrorismo occulto e, dall’altro, danno dei complottisti a quelli che hanno capito che il primo degli “Stati profondi” è quello nordamericano!

A proposito del DRS, rimando ovviamente ai lavori del britannico Jeremy Keenan o allo studio estremamente preciso Al Qaïda au Maghreb ou l’étrange histoire du GSPC algérien di François Gèze e Salima Mellah (settembre 2007). Non c’è alcun dubbio che i GIA siano stati creati durante la guerra civile algerina come organizzazione controinsurrezionale con l’obiettivo principale di screditare, attraverso dei crimini atroci perpetrati contro la popolazione, la lotta armata di un Fronte Islamico di Salvezza (per il quale, ci tengo a precisare, non nutro alcuna simpatia, al contrario) che aveva vinto le elezioni. Non ci sono dubbi nemmeno sul fatto che i GIA si siano trasformati in GSPC dopo la guerra civile e che si siano rafforzati dopo l’11 settembre 2001, quando lo Stato profondo algerino ha capito non soltanto che dietro Al-Qaida si celava lo Stato profondo nordamericano, ma anche che se Algeri non voleva subire l’agenda statunitense nel Sahara bisognava che ne prendesse il sopravvento. Il GSPC è nato dal “magnifico” spirito di iniziativa algerino il quale ha saputo offrire agli statunitensi il nemico che stavano aspettando (e che ha preso il nome di Al-Qaida nel Maghreb islamico) per giustificare il loro insediamento nel Sahara (insediamento al servizio di altri interessi più banalmente geostrategici, petroliferi e del gas, dei quali parleremo più tardi). In fondo, i vari Abdelrrazak El Para e Mokhtar Ben Mokhtar, personaggi che hanno diretto azioni terroristiche e preso in ostaggio degli occidentali restando sempre impuniti e lasciando i loro accoliti a farsi uccidere al loro posto, sembrano avere le stesse caratteristiche di Osama Bin Laden misteriosamente scomparso in mare. Hanno lavorato per lo Stato profondo dello Stato che si sono messi poi ufficialmente a combattere. Bin Laden fu membro della CIA e praticamente tutti i capi delle katiba (unità di combattimento) islamiche del GSPC e poi di AQMI sono degli ex ufficiali dell’esercito algerino. Ben formati, tali ufficiali, dopo essersi infiltrati nelle cellule combattenti (o averle create in certi casi), hanno potuto prenderne facilmente il comando.

Una realtà inconfessabile nei nostri media, vista l’importanza degli interessi economici francesi in Algeria e la collusione anche delle élites politiche francesi con il regime algerino (abbiamo visto ancora recentemente il ministro Valls lodare l’efficacia delle forze speciali algerine…), ma nondimeno una verità da tempo evidente al di fuori della Francia: AQMI/Polisario, DRS algerino, il traffico di droga sahariano sono una sola e unica organizzazione criminale dal duplice obiettivo: l’arricchimento personale dei generali algerini che ovviamente supervisionano il traffico di droga realizzato dai capi terroristici; ma anche la sopravvivenza stessa del regime (la quale va di pari passo con il primo obiettivo) che diventa a sua volta un baluardo contro il fondamentalismo, ruolo che né l’ondata delle rivoluzioni arabe né tanto meno gli occidentali saprebbero assumere (nordamericani e francesi in primo luogo capiranno che non c’è alternativa credibile al mantenimento del regime algerino). Ora, questo regime è una calamità per la gioventù algerina, privata del futuro, con un tasso di disoccupazione al 40%, derubata dalla sua stessa “élite” delle favolose ricchezze del paese (rendite derivate dal gas e dal petrolio), e di conseguenza una calamità per la costa settentrionale del Mediterraneo (Europa) che vedrà abbattersi su di lei un numero sempre più grande di potenziali immigrati. Ancora una volta una politica dalla vista corta da parte dei dirigenti europei!

Grazie al GSPC e ad AQMI, dal 2001 lo Stato algerino è apparso agli occhi di Stati Uniti e Francia (almeno per il grande pubblico visto che nelle strutture del potere nessuno si lascia abbindolare) come il baluardo contro l’islamismo radicale nella regione. E la strategia ha funzionato, fino alle rivoluzioni arabe che hanno vinto, le une dopo le altre (Tunisia, Egitto, Yemen), su tutti i regimi autoritari “laicizzanti” (termine da prendere con le dovute precauzioni trattandosi di paesi musulmani), prima che l’Occidente se la prendesse con quelli che non cadevano da soli (Libia, Siria). Dunque per il DRS, non c’è ombra di dubbio, l’Algeria sarebbe stata la successiva sulla lista, a meno che non si fosse riuscito ad allontanare l’Occidente dalla scia dei fondamentalisti (gli stessi che sarebbero diventati maggioritari in numerosi paesi in seguito al crollo dei regimi autoritari) e a riportarlo alla “grande epoca” della guerra contro il terrorismo internazionale. Se mi si domandasse “chi controlla chi”, fra questi tre gruppi attivi in Mali, risponderei che il DRS controlla prima di tutto AQMI mentre il Qatar finanzia e influenza gli altri due movimenti (MUJAO e Ansar Dine) con obiettivi radicalmente diversi rispetto a quelli dell’Algeria, come vedremo nella seconda parte.

Un altro elemento non ancora sottolineato è che due di questi gruppi (il MUJAO con certezza, AQMI probabilmente) hanno forti contatti con il Polisario, movimento separatista sahraui basato nei campi di Tindouf (territorio algerino). E’ stato praticamente dimostrato infatti che il gruppo di terroristi che si è appropriato della riserva di gas di In Amenas in Algeria proveniva dai campi di Tindouf, ovvero, per dirla in altre parole, che è partito proprio dall’Algeria (e questo nonostante l’Algeria abbia puntato il dito contro la Libia). Ancora una volta si tratta di una realtà sulla quale tento di dare l’allarme almeno dal 2005, attraverso diversi interventi che ho fatto alla tribuna dell’ONU, in quanto delegato esperto per la parte marocchina, ruolo che assumo pienamente poiché credo al principio storico della sovranità marocchina sul Sahara occidentale – ma una sovranità “intelligente” in un quadro di autonomia allargata. Il progressivo slittamento (comparabile a quello dell’MNLA) del Movimento Polisario non soltanto verso la criminalità (traffici di ogni tipo) ma anche verso il fondamentalismo religioso dovrebbe essere fonte di preoccupazione per i paesi occidentali. Dal 2005 sono molti gli eventi che, in questa sotto-regione del Sahara, mostrano dei legami fra certi elementi del Polisario e AQMI/MUJAO. E’ il momento di ricordare tra l’altro che i problemi irrisolti dei separatismi (Sahara occidentale e tuareg) finiscono purtroppo per degenerare in problemi di islamismo radicale.

Soltanto una soluzione equilibrata consistente nel difendere la sovranità degli Stati (Mali, Marocco, Niger…), pur contemplando la creazione di autonomie reali per le minoranze nomadi, potrà portare stabilità nella regione. Per comprendere le motivazioni degli altri attori, è necessario parlare anche dei vari rapporti di potere in merito a risorse quali petrolio, gas, uranio. Infatti tanto gli Stati Uniti quanto la Francia, il Qatar o l’Algeria hanno delle mire importanti sul petrolio e sul gas del Sahara. Ognuno di questi Stati ha interesse a favorire la situazione geopolitica più adatta a piazzarlo in posizione di forza nelle discussioni relative alla spartizione delle ricchezze. Analizzeremo nella seconda parte tali rapporti di potere in merito a petrolio e gas e affineremo la nostra analisi degli interessi francesi, algerini, qatarioti, americani e libici nella crisi attuale.


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