Crisi del Sudan del Sud: Omar al-Bashir a Juba per incontrare lo storico nemico Salva Kiir

Creato il 06 gennaio 2014 da Giacomo Dolzani @giacomodolzani

di Giacomo Dolzani

La crisi in Sud Sudan, che ha ormai assunto i caratteri di una vera e propria guerra civile, ha destato grandi preoccupazioni nella comunità internazionale e, soprattutto, tra i paesi del corno d’Africa.
Per trovare una soluzione pacifica si è provato ad intavolare delle trattative tra il governo di Juba ed i ribelli fedeli a Riek Machar; come mediatore si è proposto l’Igad (Intergovernamental Authority on Development), l’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo, organizzazione sovranazionale finalizzata al mantenimento dei rapporti commerciali, diplomatici ed alla risoluzione dei conflitti tra i paesi aderenti e che comprende i sette stati situati in quell’area (Somalia, Etiopia, Kenya, Eritrea, Gibuti, Sudan, Uganda e Sud Sudan).
Il tentativo è però andato a vuoto, i colloqui di pace sono stati rinviati a data da definire nonostante, in separata sede, le due parti abbiano incontrato i funzionari inviati dall’Igad.
È giunto inoltre nella capitale sudsudanese anche il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, per una visita al suo omologo Salva Kiir, con il quale spesso ci sono state divergenze, anche molto gravi, che hanno rischiato di portare i rispettivi paesi alla guerra appena pochi mesi dopo la secessione e la nascita del Sud Sudan come stato indipendente, il 9 luglio 2011, in seguito al referendum che ne sancì l’indipendenza da Khartoum.
Argomento principale degli scontri tra Bashir e Kiir era la spartizione dei proventi del petrolio, estratto nel Sud ma trasportato verso nord tramite gli unici oleodotti presenti nel neonato paese, i quali obbligavano Juba a far transitare il proprio petrolio sul territorio sudanese fino a Port Sudan dove sono ormeggiate le petroliere battenti bandiera sudsudanese; sempre l’oro nero è probabilmente uno dei motivi di questa visita di Bashir a Juba: gli scontri tra ribelli ed esercito regolare fedele a Kiir hanno infatti riguardato anche le regioni settentrionali del Sud Sudan, dove sono situati gli impianti per l’estrazione del greggio; se infatti il flusso di petrolio dovesse interrompersi il problema riguarderebbe anche Khartoum, le sue finanze ed il suo approvvigionamento energetico.
Gli scontri nel giovane paese sono cominciati il 15 dicembre scorso, dopo il fallito tentativo di golpe guidato dall’ex vicepresidente Riek Machar ai danni del leader sudsudanese Salva Kiir. Machar, dopo aver esternato le sue intenzioni di sfidare Kiir per la leadership del paese, era stato infatti destituito dalla sua carica il 23 luglio scorso nell’ambito di un rimpasto di governo, trasformatasi di fatto in un’epurazione ai danni dei possibili avversari politici del presidente in carica.
Kiir e Machar sono stati inoltre generali dell’Spla (Sudan People’s Liberation Army), formazione ribelle che ha combattuto contro Khartoum per l’indipendenza del Sud Sudan e che, dopo la secessione, è diventata l’esercito regolare di Juba. Le divisioni interne non si sono però sopite e interi reparti sono rimasti fedeli a quelli che, un tempo, erano i loro comandanti; il 15 dicembre quindi, le truppe legate a Machar hanno attaccato diverse caserme e punti strategici della capitale, ma sono state respinte dall’esercito governativo agli ordini del presidente Kiir. Tuttavia le violenze non si sono fermate: gli scontri nelle settimane successive hanno coinvolto tutto il territorio nazionale concentrandosi in città strategiche come Bor o in corrispondenza degli impianti di estrazione del petrolio, causando in pochi giorni migliaia di vittime, centinaia di migliaia di sfollati in fuga verso il sud e costringendo non solo le organizzazioni umanitarie, ma anche le Nazioni Unite a ritirare il prprio personale presente nel paese africano per l’eccessivo pericolo rappresentato dal conflitto.

da Notizie Geopolitiche



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