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Crisi Economica e Dignità: una Rappresentazione Impossibile

Creato il 26 maggio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Crisi Economica e Dignità: una Rappresentazione Impossibile

In fondo al palco spoglio, quattro attori parlano tra di loro. Poi, un uomo e una donna vengono avanti sul proscenio e la donna dice: "Non siamo pronti. Non è che abbiamo un ritardo di dieci minuti o un problema tecnico. Pensavamo di non farlo".

Con questo "senso di impossibilità" inizia al Teatro Cantiere Florida di Firenze Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini che ha debuttato al Festival Romaeuropa nel novembre 2013.

I quattro interpreti si rivolgono quindi direttamente al pubblico, cercando e spiegando le ragioni della loro scelta, delineando lo spettacolo che avrebbero dovuto portare in scena, ma al tempo stesso negando la possibilità stessa della rappresentazione. E, parlando con naturalezza, come se non recitassero ma riflettessero con lo spettatore, la crisi economica diventa crisi dell'immedesimazione, del personaggio-interprete, dello stesso fare teatro oggi.

Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni prende spunto da un'immagine contenuta nelle pagine iniziali de L'esattore, romanzo poliziesco dello scrittore greco Petros Markaris, uscito nel 2011 e pubblicato in Italia da Bompiani nel 2012. Quattro pensionate greche, nel mezzo della crisi economica, si tolgono volontariamente la vita, ingoiando un mix letale di barbiturici e vodka. Un vero e proprio atto politico sancito da un biglietto che lascia di stucco: "Abbiamo capito che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società. Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Risparmierete sulle nostre pensioni e vivrete meglio".

Loro, gli attori, non ce l'hanno fatta a portarlo in scena e raccontano del lavoro, intenso e sofferto, che hanno svolto insieme per far rivivere nel dramma delle quattro donne, la tragedia universale e morale dei nostri tempi. Dall'impossibilità di dare una rappresentazione autentica di questa storia, evitando di spettacolarizzarla ed immaginando i pensieri, i sentimenti e le azioni delle quattro donne, gli attori sul palco passano così al racconto delle prove, di ciò che ne è venuto fuori, delle loro dinamiche di gruppo fino ad arrivare a quelle quotidiane e universali, a toccare finalmente la nostra realtà, la crisi italiana.

Sul palco vuoto, popolato soltanto da sedie marroni, da un tavolo e dalle luci al neon di Gianni Staropoli, prendono forma i dialoghi quotidiani, frammentati, disperati del gruppo di attori-interpreti che portano avanti lo spettacolo. Sono queste parole, sospese tra lo sfogo verbale e il monologo interiore, che si pongono da subito in netto contrasto con la strada della mimesi (complice anche la presenza dei microfoni ad archetto indossati sulla scena) e danno vita a un'originalissima e intensa commistione di ironia e tragedia, che talvolta sfocia in vera e anche amara comicità strappando, non di rado, risate alla sala.

Demolendo la finzione, i quattro straordinari attori (gli autori stessi del dramma, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, insieme a Monica Piseddu e Valentino Villa) riescono a creare un'intensità comunicativa fortissima, come scrivono i due artefici della pièce: "Insieme ci presentiamo al pubblico con una dichiarazione di forte impotenza, che in questo caso è una cruciale impotenza a rappresentare: il nostro no parte subito, fin dalla scena di apertura. Un gioco performativo che via via durante il lavoro diventa sempre più serio e definitivo. Non è solo la questione della rappresentazione a scricchiolare, ma ancora di più la nostra capacità di persone in scena di fronte ad altre persone sedute di fronte a noi di trovare una risposta costruttiva allo sfacelo prima di tutto morale che ci circonda. Incapaci, impotenti. Ma consapevoli di questo".


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