:::: :::: 16 novembre, 2011 ::::
Fonte: AFP | Elespectador.com
L’esperienza islandese dimostra che è meglio lasciar fallire le banche.
Nell’ottobre del 2008 le 3 banche islandesi più grandi furono spazzate via a causa della loro “esposizione” alla crisi delle ipoteche “sub prime”.
Come indicano ( alcuni) analisti, tre anni dopo il collasso delle banche islandesi, l’economia dell’isola si sta recuperando e si erige come
la prova che i governi, invece di “riscattare” queste entità, dovrebbero lasciarle fallire e (invece) proteggere i loro contribuenti
Nel’ottobre del 2008 , le 3 ( più) grandi banche islandesi furono spazzate via a causa della loro esposizione alla crisi delle ipoteche “subprime”, che alguni giorni prima avevano provocato la loro maggior vittima, la banca di investimenti nordamericana Lehman Brothers.
Il governo di Reikiavik le lasciò fallire e chiese un credito di 2.250 milioni di dollari al Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Dopo 3 anni di dure misure di austerità, l’economia dell’isola, con poco più di 300.000 abitanti, mostra segnali di recupero.
E questo nel mezzo di una crisi economica che ha visto la Grecia vicina al fallimento, e ha generato in Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna piani di pareggio del bilancio impopolari, che mirano a ridurre un debito pubblico “gonfiato” in parte proprio per salvare il settore bancario.
” La lezione che risulta dalla maniera in cui l’Islanda ha gestito la crisi è che, nella misura del possibile, è importante proteggere i contribuenti e le finanze pubbliche dal costo di una crisi finanziaria” riassume alla AFP Jon Bjarki Bentsson, analista della banca Islandsbanki.
“La nostra forma di affrontare la crisi non fu una scelta, ma si dovette alla incapacità del governo di appoggiare nel 2008 a delle banche molto grandi, se li compariamo all’economia (islandese).
Comunque, questa (incapacità) si è rivelata relativamente buona per noi”, aggiunge.
Il settore finanziario islandese, prima del fallimento, aveva un valore (complessivo) di 11 volte il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’isola.
L’economista nordamericano e premio Nobel Paul Krugman coincide con le dichiarazioni di Bentsson “Mentre le altre nazioni hanno salvato i banchieri facendone pagare il prezzo alla gente, Islanda ha lasciato fallire le banche e ampliato la sua rete di protezione sociale”, ha scritto recentemente Krugman in un articolo pubblicato dal New York Times.
“Mentre gli altri stati attuarono come dei ciechi nel tentativo di placare gli investitori internazionali, Islanda, per avere uno spazio di manovra,
impose controlli temporali ai movimenti di capitale”.
Durante una sua visita a Reikiavik la settimana scorsa, Krugman mise in evidenza che Islanda deve la recuperazione (economica) alla sua moneta nazionale, la corona, e mise in guardia contro la idea che la adozione dell’EURO protegge dagli squilibri economici.
“Il recupero economico dell’Islanda dimostra i vantaggi di stare fuori dall’EURO,” ha detto Krugman, aggiungendo che questo dovrebbe servire come un avvertimento alla Spagna.
Comunque, l’esempio islandese non si può equiparare a paesi come la Grecia o l’Italia.
“La grande differenza tra la Grecia, l’Italia e gli altri, rispetto all’Islanda nel 2008 è che quest’ultima aveva sofferto una crisi bancaria dovuta al collasso di un settore che si era sviluppato eccessivamente, mentre i primi hanno una crisi del debito pubblico che si è esteso al settore bancario europeo”, spiega Bentsson.
L’ex primo ministro islandese, Gei Haarde, al potere nel corso della crisi finanziaria del 2008, attualmente sotto processo per come ha gestito detta crisi, ha insistito sul fatto che il governo agì correttamente quando lasciò fallire le banche, con la conseguenza che i creditori dovettero assumere le perdite.
“Abbiamo salvato il paese dalla bancarotta”, ha detto Haarde, di 68 anni, alla AFP in un’intervista concessa in luglio.
” E’ evidente , se compariamo la nostra situazione attuale con quella dell’Irlanda, per non parlare della Grecia”, ha detto, aggiungendo che questi due paesi ” hanno commesso errori che noi non abbiamo commesso”.
“Noi non abbiamo garantito il debito estero del sistema bancario”, aggiunge.
La formula islandese sembra che stia dando i suoi frutti.
Tanto che la sua Banca Centrale ha aumentato mercoledì la sua tassa direttrice di interesse in un quarto di punto, a 4,75%, seguendo una tendenza opposta a quella della maggior parte dei paesi sviluppati, che hanno diminuito i loro tassi per favorire la crescita ed evitare una nuova recessione.
Secondo la Banca Centrale islandese , la crescita del PIL nella prima metà del 2011 è stata del 2,5%, e si prevede che, nel consuntivo dell’intero anno, arrivi a più del 3%.
AFP | Elespectador.com