IN THE SPOTLIGHT - SOTTO I RIFLETTORI CRISTIANA PIVARI
L'AUTRICE
IL LIBRO
Che cos'è la vita? Una scalata verso la salvezza da sé stessa, risponde Silvia, trentacinquenne più che carina, ragazza che non si sente né donna né bimba, scrittrice o forse scrittora, crisalide che magari, un giorno, sarà farfalla, ma con i suoi tempi e i suoi modi. Vi riuscirà? Non è detto, forse non è così importante il risultato finale, ma la ricerca di sé che Silvia conduce tra amiche e presunti uomini della vita, fra situazioni ai limiti del grottesco e lo scodinzolio del suo pelosissimo cane, riempie il libro di una fresca essenza vitale, questa sì irrinunciabile. Una Bridget Jones all'italiana? Solo in parte, anche se non mancano ossessioni personali, manie e stranezze della vita, e una buona dose di sarcasmo nell'osservarle. Più di Bridget, Silvia rappresenta le eterne ragazze di oggi, dà spessore ai loro pensieri, mette in piazza le ansie e i propositi. In fondo, si può restare crisalidi per tutta la vita, se non si ha la sicurezza di diventare una farfalla speciale.
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ESTRATTO
Uno «Sarebbe utile che Lei scrivesse di sé», ha detto ieri la bella terapista con le gambe accavallate. «Non mi sarà facile e poi a che scopo?», ho risposto io, seduta composta con le mani sulle ginocchia. «Aiuterebbe il lavoro d’introspezione che stiamo portando avanti», ha replicato la bella terapista guardando l’orologio. «Devo scrivere proprio tutto?», ho ribattuto con un tono di voce sconfitto. «Le sensazioni, deve scrivere soprattutto le sensazioni. Quelle che prova al mattino quando si alza, se si guarda allo specchio, mentre si confronta col sorriso della portinaia, fino ad arrivare all’ultima sensazione che coglie sul bordo del letto prima di coricarsi». Detto questo si è alzata e mi ha accompagnata alla porta. E allora diamo il via alle sensazioni di questa mattina nella quale sento dentro di me la dolcezza di un crotalo, un senso di nausea è l’effetto della mia faccia allo specchio e so già che Natalina, la portinaia, non mi sorriderà, anzi, mi regalerà un ghigno ricordandomi che un tipo strano mi ha cercata. Qualsiasi persona si presenti a cercare di me per lei è un Tipo Strano, ha deciso così visto che io non sono una persona normale e, di conseguenza, chiunque mi frequenti non deve essere tanto a posto. Non sono normale perché alla non più verde età di trentacinque anni non sono ancora sposata, esco da sola la sera, ricevo amici a ore non canoniche inoltre, accidenti a me, ho pure un cane rompiscatole che abbaia inopportuno passando davanti alla sua guardiola di ghignante custode. E questo è ciò che ne sa lei. Dal canto mio potrei aggiungere che sono un’inconcludente, che non so bene cosa farò da grande e altre varie ed eventuali, senza voler scendere troppo nei particolari. E così mi ritrovo in analisi e la solita bella terapista sostiene che soffro della cosiddetta sindrome di Peter Pan, che sarebbe poi quel rifiuto a crescere e maturare che talune persone sviluppano per vari motivi. I miei li stiamo cercando assieme da circa due anni e finora, a parte un padre molto femminile e una madre virago, altri colpevoli non ne abbiamo trovati e ora le è venuta pure la mania del diario terapeutico. Mah, non so. Forse... Per iniziare ho un cerchio alla testa da aureola stretta, visto che anche ieri sera mi sono sorbita le confidenze della Rosi, mollata per l’ennesima volta dal moroso, e per sopportarla bisogna avere come minimo la vocazione alla santità. Una doccia rapida è l’unico lusso che mi concedo. Viste le lancette dell’orologio pericolosamente verso il ritardo irreversibile, di fare la colazione con i cereali e le cose sane neanche parlarne e allora sarà il solito cappuccino con brioche al bar vicino all’Agenzia. Pablo mi marca stretta, il bisogno impellente del mattino non gli dà alternativa, e allora eccomi nel prato dietro casa con il quattro zampe felice alla ricerca del posto giusto. È di un difficile a volte! Finalmente lo trova e possiamo risalire, il tempo di afferrare la borsa e mi fiondo per le scale, visto che, chiaramente, l’ascensore è occupato. Per fortuna Natalina sta spazzando il cortile dalle foglie che, provvide, la distolgono dal mio passaggio e quindi questa mattina niente ghigno per iniziare la giornata. Che sia preludio di gioie inaspettate? «Silvia, sei caduta da letto o che altro?», mi chiede Carla, la collega, constatando che entro in agenzia poco prima delle otto e mezzo. Solitamente arrivo intorno alle nove, ma questa mattina mi è andata bene per via di strade inspiegabilmente scorrevoli. «Forse qualcuno ha pensato di allungarsi il fine settimana. Stamani strade pressoché deserte. Chissà perché scegliere di stare a casa un venerdì di fine novembre», dichiaro e intanto accendo il pc. Considerazione un tantino banale, ma ho l’attenuante generica che stamattina devo ancora farmi una colazione come si deve e così lascio il computer a sistemare le sue cosine e mi avvio verso il bar per il necessario rifornimento quotidiano di zuccheri. Dovrò scrivere di questa mia propensione per la frequentazione di esercizi pubblici. Ne vado pazza: mi piace guardare i baristi dietro il banco, perdermi nelle file di bicchieri e tazzine, e osservare la gente che cambia a seconda dell’ora. Gli avventori della colazione sono i più grigi. Mezzi assonnati davanti alle loro tazze fumanti, masticano un buongiorno assieme alla brioche e sono sempre di fretta, perché il lavoro incalza. A mezzogiorno, per il panino, il grigio rimane loro addosso solo sui vestiti: completi con cravatta per gli uomini, tailleur con lo spacco corto per le gentili signore, li caratterizza una maggiore vivacità, complice la pausa prolungata per il pranzo. I frequentatori serali sono un melting pot. Il bar diventa il luogo più democratico della terra, uno scontrino pagato alla cassa è il lasciapassare per tutti, di qualsiasi nazionalità, fede politica e occupazione. Sì, lo scrivo e poi lo discuto con la mia analista, chissà che non trovi qualche altro capro espiatorio per la mia instabilità psichica.
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