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Cristiano Poletti - Porta a ognuno

Da Mauro54

Cristiano Poletti - Porta a ognuno
CRISTIANO POLETTI – PORTA A OGNUNO – L’ARCOLAIO 2012
Nei testi poetici di Cristiano Poletti c’è continua una domanda, che è ricerca di una lezione, di un senso, di uno sguardo da custodire.
Il tempo passato, i luoghi, i momenti vissuti si uniscono al presente, chiedendo la conferma della loro essenza, della loro irripetibilità, insieme meravigliosa e dolorosa. Qualcosa è stato, ma qualcosa è anche adesso.
I “posti al riparo”, (titolo della prima sezione), i nostri posti, esistono, certo, ma sono toccati da un’Alterità che è ossimoro, che c’è e non c’è, ed è indecifrabile, sfuggente, come una  specie di vento sacro che è soffiato una volta per sempre, imprevedibile e inaspettato, per poi sparire improvvisamente, ma mai del tutto.
Così anche noi, di riflesso, avvertiamo la nostra mancanza d’essere  (“Mi dici non sai essere”),ma al contempo la cognizione antica del dolore, la sua asciutta concretezza.
Ecco allora tutta la dimensione della nostra fragilità, del nostro essere nel mondo, il mistero di domande che restano nell’aria, e parole quasi tremanti, appena accennate, perché siamo “orfani di frasi” e la nostra è una voce scissa, lacerata: “Non io, ma i morti/parlano una voce senza crepa”.
La lezione ricercata da Poletti  si fonda sullo sguardo e sull’ascolto per trovare “il giudizio di una luce intermittente” e una parola che non svanisca, ma che comprenda, che ricordi. Si avverte nei versi un’esigenza etica, la volontà di un rigore esistenziale, che possa andare oltre l’evanescenza dell’io, “passare da niente a qualcosa”, e cogliere il messaggio impronunciabile che viene dall’Altro che è dentro e fuori di noi e che “porta a ognuno/niente e tutto, segni/su segni, tra paese e paesaggio”, affinché all’attesa possa rispondere il nostro destino ( “E’ qui – qui sopra -/che chiamiamo/qualcosa, qualcuno”)  e – come afferma Sebastiano Aglieco nella Prefazione – camminare “verso un orizzonte senza puntelli, una remissione al vento delle sconfitte,un amen e un arrivederci”.
Lo sguardo è rivolto al mondo (“Ti invito: il mondo va osservato”), ma gli occhi cercano anche altrove, in ciò che è stato e siamo stati, nelle pieghe e nel groviglio dell’anima. Cercano segni, voce, memoria da portare alla luce: “Cosa vuol venire alla luce? A ora incerta, a fondo/lavoravo e non capivo/quanta fatica per dire soltanto/una parola, essere salvati”. E’ la lezione da apprendere, la verità da ricercare, la quale non può avvenire senza la voce dei trapassati e la coscienza precisa della morte: “Non metterti contro/i morti. Lo sanno/del fiore che porti/sul muro degli anni”. Occorre riconoscere la nostra ferita, sapere “a che profondità la lama/ha tagliato”, qui, “in mezzo/a corpo e silenzio”. E la scrittura di Poletti vibra in questa dimensione sospesa, in una levità che accoglie una parola nitida eppure cangiante, tra epifania e domanda, tra illuminazione e mistero.
L’ultima sezione del libro, A memoria, è tutta intrisa di questa consapevolezza, amara e dolce ad un tempo, in cui la figura di chi è scomparso diviene presenza che ancora chiama e dice la nostalgia e la bellezza di un’esperienza condivisa ( “Tutto il nostro lavoro/-possiamo dirlo ora-/era il fascino, compierlo”), che trova il proprio suggello in quella “stanza tutta gentile” dell’ultima poesia del volume, dove vita, morte e poesia si fondono.
   Mauro Germani
da "Posti al riparo"
Il rifugio
Brucia al sole aperto dagli auspici,
fino alle posizioni del sangue,
la nostra attesa. Ci portiamo
dal meccanismo del rifugio
al labirinto dell'alfabeto.
E' qui - qui sopra -
che chiamiamo
qualcosa, qualcuno.
Un grido, un giorno.
Tu intanto leggi
una preghiera. Io la rileggerò
fino a ferirmi
ma niente che sia
una via, un'uscita.
Come le mani, così i pensieri
si aggrovigliano. E' vero,
c'è odore di camino.
Il futuro dell'io che brucia
annuncia il freddo.
Al rifugio, certo,
torneremo.
da "Giudicati, lo siamo già stati"
Solo virgole
Il giorno è leggero, davvero
siamo giudicati, lo siamo già stati,
da un vuoto di tempo. E' così,
non pesa più il verbo,
cancellato dai giorni.
Già orfani di frasi,
solo  virgole.
In coro
E mano
nella mano radunate
in questo nostro ininterrotto
ospedale la musica, quella
cresciuta alla fine,
al minuto contato. Vi avvicina
allora un passo da soldato. Presto
troverete intera la materia
del distacco, la materia
insegnatemi.
Sein zum Tode
Non amano il sole,
riescono a splendere
nel cuore di un
buio dopo il buio;
riprendono voce,
si prendono gioco
di noi che restiamo
nel vivo di quanto
prosegue la trama
finita del corpo.
Non metterti contro
i morti. Lo sanno
del fiore che porti
sul muro degli anni
che scrivi perché
li vedi nel vento.
Piangi ancora molto:
i morti lo sanno.
da  "A memoria"
A.F.
Non trovo differenza:
la chitarra bianca, le braccia
aperte. Gli angeli hanno solo ali buone.
Sanno volare dritto
al cuore del problema.
Ti chiedo soltanto le parole
davanti agli ultimi passi in giardino
per darmi il corpo interrotto
della poesia che sei stato.
Suona l'accordo giusto, ti prego,
quello che sapevi e saprai
fare nella stanza tutta gentile
dove tu gentile, ne son certo,
sorriderai.

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