Un luogo isolato dal mondo, circondato da una campagna onnipresente e scrigno di antichissimi misteri. No, non è un paesaggio bucolico disegnato dalla poesia di Virgilio, né un paese incantato degno delle fiabe più suggestive, ma una cupa meta a cui sono relegati chi si oppone al totalitarismo di un regime.
“Cristo si è fermato a Eboli” (Einaudi, 1945) parte proprio da qui, in quest’isola di abbandono umano e monotonia destinata a essere il confino per chi non si adegua al volere di un tiranno. E le montagne della Lucania, macchia di terra argillosa e figlia dell’antica filosofia greca, diventando così una “cella a cielo aperto” dove lo Stato mostra i denti e ringhia minaccioso.
Siamo negli anni ’30 del ’900, in pieno ventennio fascista. Carlo Levi è il protagonista di questo intenso diario di vita, scritto in prima persona da lui stesso al termine del suo “soggiorno” a Grassano e Gagliano, in Basilicata. Lo scrittore fu mandato laggiù da Torino, la sua città, in confino come molti altri oppositori del governo di Mussolini all’epoca. Lui non spiega mai, nel libro, il motivo di questa sua prigionia ma è evidente, scorrendo le pagine, che non è determinato da sue scelte politiche comuniste.
Sullo sfondo dell’imminente guerra in Libia, voluta dal Duce per dar vita a un surreale impero italiano, Levi racconta la vita disperata e deprimente in cui il Sud Italia era immerso all’epoca. E quindi, tra le argillose e sterili colline meridionali, ecco regnare la più triste e profonda disumanità di uno Stato verso i propri cittadini: la malaria che uccide senza ostacoli, povertà che unisce uomini e bestie, il menefreghismo delle autorità verso un destino di miseria statica.
Attraverso ricordi e ritratti di personaggi alquanto pittoreschi nel loro essere, l’autore ripercorre un viaggio umano, prima ancora che materiale, nell’anima buia di un popolo abbandonato. Cristo non è arrivato fin laggiù, si è fermato prima (a Eboli, appunto), perché quei contadini con cui Levi visse quell’anno di confino non erano trattati da cristiani bensì da animali. Nascevano, lavoravano, procreavano e morivano, questa era la routine destinata a loro, se non avevano il coraggio di fuggire verso l’America.
La presenza del fascismo è onnipresente, dai discorsi pomposi del podestà alla rassegnazione incondizionata dei cittadini, ad eccezione di rari accesi bagliori per difendere l’unica persona buona con loro: Carlo Levi, appunto. Tra degrado e conti aperti con la Storia, lo scrittore ha dato vita a una denuncia potente e senza vie di scampo, impossibile da non ascoltare.
Perché l’oggi è il figlio di ieri, tra bene e male, e va capito per essere migliorato. Altrimenti vivremi sempre dentro la sterilità di un Paese finto, con un’anima inesistente.
Written by Timothy Dissegna