La puntata di oggi di Critica alla critica è dedicata a Kill Bill vol. 1 di Quentin Tarantino.
Come al solito Evit non le manada a dire ai critici disattenti.
“Contaminando western, mélo (c’erano amori impossibili stile “Via Col Vento” in Kill Bill 1?), kung fu, samurai, noir, horror (horror? dov’era?), l’autore del geniale ‘Pulp Fiction’ torna con un film automaticamente cult che celebra il pop. Al di là della seducente prepotenza visiva, del grottesco, del sangue (80 cadaveri alla volta), dell’abilità tecnico-amorale (la mamma uccisa di fronte alla bambina) San Quentin dei cinefili sembra però aver perso le sue qualità migliori (ah si? Un gran numero di persone ritiene Kill Bill il suo miglior film dopo Pulp Fiction): in ‘Kill Bill: vol. 1′ manca ironia (niente affatto!), latitano i dialoghi e il gioco a lui così congeniale del montaggio dei tempi incrociati è solo un ricordo (veramente anche in questo film i dialoghi sono parte importante. Maurizio Porro vorrebbe forse che Tarantino compiasse il suo stesso Pulp Fiction in eterno?). Si può godere per 10 minuti dei piedi di Uma e si attende il secondo tempo: dividere un film di tre ore in due è, commercialmente, una follia. (che però ha reso molto bene)”
(Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 25 ottobre 2003)
“Potremmo chiudere comunicandovi la noia mortale che il film ci ha trasmesso a furia di schizzi di sangue, ma siamo coscienti che Tarantino è un regista importante e che ‘Kill Bill’ ha aspetti che meritano un’analisi meno frettolosa (rieccoci con Alberto Crespi dell’Unità che nega immediatamente, automaticamente e platealmente tutti i film americani. Qui si deve prodigare un po’ di più del solito.). Dopo la profusione di storie plurime e incrociate di ‘Pulp Fiction’, e lo stupendo classicismo di ‘Jackie Brown’, Tarantino deve aver inseguito un’idea originale per anni. Non trovandola, ha deciso di costruire un film con 10, 100, 1000 idee copiate (invidia?). Infatti non c’è nulla, dicasi NULLA di nuovo in ‘Kill Bill’, tutto è strizzata d´occhio cinefila (volutamente però), anche le parti più meditative sui samurai prese di peso da ‘Ghost Dog’ di Jarmusch o dai film di Kurosawa (ti vai a pescare due film specifici quando ce ne sono a dozzine da cui Tarantino ha preso quelle parti). Nulla di male (non sembrerebbe): è il trionfo del citazionismo, l´epitome del postmoderno, e del resto il giovane Quentin aveva sostanzialmente pantografato un film hongkonghese di Ringo Lam nella sua opera prima, ‘Le iene’. Così, in Kill Bill ha messo tutti i suoi amori: lo spaghetti-western, i film di kung-fu e di arti marziali, i manga giapponesi, i film sugli yakuza e sui samurai. I problemi, a questo punto, diventano due (sentiamoli). Il primo: a livello di trama e di dialoghi, era lecito aspettarsi qualche guizzo in più (ah si?); il film è invece inerte (ah si??), ripetitivo (pure!), a tratti sembra una parodia di ‘Charlie´s Angels’ (!) (non solo sembra, in minima parte lo è! E volutamente pure. Si accorge di citazioni da Kurosawa e non di cose così banali). Il secondo, più di stile: tutti i generi che Tarantino omaggia erano sporchi, gloriosamente e gioiosamente tirati via; ‘Kill Bill’ è invece leccato, iper-rifinito, sembra una versione “nobilitante” del cinema popolare. Arte pop al massimo grado, in cui una volta tanto il regista Tarantino prevale sullo sceneggiatore; solo che lo sceneggiatore sapeva essere un grande scrittore, mentre il regista è solo un riciclatore che da piccolo ha visto troppi film e oggi vorrebbe farceli rivedere tutti insieme.”
(Alberto Crespi, ‘l’Unità’, 24 ottobre 2003) (ammazza quanta cattiveria e forse invidia. Forse mancava l’occhio della madre e gli stivali dei soldati per essere apprezzato meglio da Crespi dell’Unità!)