Turno di Robert Zemeckis con La morte ti fa bella di passare sotto la lente di Evit.
Critica
Le due donne, ansiose di eterna bellezza, vanno in pezzi. Anche nella società dei consumi, la “manutenzione” è necessaria, si tratti di un’automobile o di una bionda “pozionata” da una maga. E’ lo spunto del film di Robert Zemeckis, che ondeggia fra il comico, il grottesco ed il fantastico, ma che risulta agro e vagamente funerario. Nulla di astruso e incomprensibile, ma la tesi o se si vuole la moraletta arriva pure male (Segnalazioni Cinematografiche del Centro Cattolico che parla di “moraletta”, ha! Questa è buona), in quanto proclamata “presente cadavere” dal pulpito del celebrante in toni didascalici (la “morale” del film è presentata più che bene, mentre la morale di questa critica è astrusa e in ultima analisi inutile. Forse ha irritato che in ultimo vi è la morte di colui che ha resistito la tentazione del diavolo (pur vivendo una vita senza rimpianti) mentre le donne che a tale tentazione si sono piegate non vengono punite a sufficienza perendo nella fiamma eterna?). Non è da escludere che il film solleciti qualche pensierino particolare agli americani, che della Morte hanno l’incubo e che, in ogni caso, i cadaveri li vogliono composti e dipinti (come i vari Papi in teche di vetro al Vaticano). Le donne devono essere belle in vita (e figurarsi quando cominciano ad invecchiare o come qui stranamente avviene a morire deteriorate, sdrucite, seminando teste, braccia e gambe). Il film non è amaro e beffardo a livello di satira, nè risulta così drammatico quanto ad eventi e narrazione (addirittura da una commedia nera si aspettavano un film drammatico). Punta tutto su taluni effetti di creazione virtuosistica. Da citare Meryl Streep con la faccia girata sul collo a 180°, sorridente a picco sul fondo schiena, oppure Goldie Hawn con un enorme foro a mezzo stomaco al di là del quale si possono ammirare il pianoforte di casa, i tappeti ed il paesaggio (il gatto, il canterano, la pianta da appartamento, l’abat-jour, lo scendiletto, il pouf… abbiamo capito!).
(‘Segnalazioni cinematografiche’, vol. 116, 1993)