Critica alla critica: Matrix (1999)

Creato il 21 dicembre 2011 da Soloparolesparse

L’avventura di Critica alla critica continua inesauribile.
Oggi Evit ci parla ampiamente di Matrix dei Wachowski.

Trama
Esistono due realtà: una è rappresentata dall’esistenza che conduciamo ogni giorno, l’altra è nascosta e non accessibile a tutti (quella del Billionaire). Neo vuole disperatamente scoprire la verità su “Matrix”, mondo virtuale elaborato al computer creato per tenere sotto controllo le persone. Neo crede che l’unico uomo in grado di rispondere a questa domanda sia Morpheus, personaggio sfuggente considerato l’essere vivente più pericoloso che esista (addirittura!). Una notte, in un locale, Neo viene avvicinato da Trinity, una bella straniera (straniera? Beh in un certo senso era di “fuori città”) che lo conduce in un altro mondo sotterraneo (si il gruppo di Morpheus produceva CD falsi di Festivalbar in qualche sottoscala. “Matrix” sarebbe un altro “mondo sotterraneo”? Altro rispetto a cosa?) e gli fa conoscere Morpheus. Questi conduce Neo alla presenza dell’Oracolo, una donna cui è affidato il compito di scegliere l’eletto. L’Oracolo gli dice che a salvarsi sarà lui o Morpheus. Il malefico Cyfer (traditore sì, ma malefico? Certo, magari puzzava di zolfo e non ce lo hanno detto) consegna Morpheus alla polizia (si, proprio alla polizia… anzi lo consegna ai vigili urbani!), e Neo allora cerca di salvarlo, rientrando in Matrix (una congiunzione dopo una virgola non è proprio un gran che “…alla polizia, e Neo allora…”). Dopo una sparatoria, Morpheus viene ferito, ma Neo lo trascina via e insieme scappano in elicottero. Neo è l’eletto. Mentre si avvia all’uscita di Matrix, un poliziotto gli spara (rieccoli ‘sti vigili urbani! Ma si sono resi conto che gli “agenti” non erano poliziotti?) e lo uccide. Trinity, accorsa sul posto (ah si? E’ accorsa sul posto? Davvero? E’ entrata in Matrix per accorrere sul posto? Non me lo ricordavo così il finale del film), dice che lo ama. Neo risorge, Trinity e Neo si baciano (a grande spoiler (la resurrezione di Neo) segue un inutilissimo dettaglio (il bacio)). In un mondo dove tutto è possibile, quello che accadrà dopo dipenderà da voi e da loro. (ma chi ha riassunto la trama ha creduto che la telefonata finale si rivolgesse direttamente agli spettatori in sala? Quel “voi” mi spiazza.)

Critica
“Effetti visivi innovativi, e grandiosi. Romanticismo nero. Invenzioni divertenti: i personaggi ricevono informazioni direttamente nel cervello (più che divertenti inquietanti), il futurismo elettronico si mescola alle arti marziali della tradizione orientale, che la lavorazione sia avvenuta a Sydney in Australia o altrove non ha importanza (infatti, che ce lo dici a fare?), tanto è sempre buio e i paesaggi urbani sono diapositive immensamente ingrandite. Keanu Reeves va benissimo, come andava benissimo in un film per qualche verso analogo, “Johnny Mnemonic”; Laurence Fishburne vorrebbe essere Morgan Freeman, ma non lo è” (non credo che volesse essere Morgan Freeman; forse Lietta Tornabuoni ci avrebbe visto meglio Freeman in quel ruolo? Non dare la colpa a Fishburne però!).
(Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 7 maggio 1999)

“Sembra complicatissimo il messaggio di “Matrix” (prestando un po’ di attenzione invece si rivela molto semplice), e mai come ora si è confuso con il “medium”, ma forse è semplice (forse? O l’hai capito o non l’hai capito, non c’è “forse”). I fratelli Larry e Andy Wachowski, che ai tempi del lesbo thriller “Bound” sembravano due porcelloni, ci mandano a dire che viviamo comandati da una Intelligenza Artificiale, in una realtà virtuale che solo il potere della mente rende tangibile (percepisco dell’ironia in questa critica?). E’ Matrix, tesoro, la Matrice (?). Basterebbe ancora una domanda per risalire alla Causa Prima, forse a Dio (??). Insomma, la Vita è sogno, parola di computer” (…della serie “quando non si capisce bene il film e si vuol concludere una recensione dicendo tutto e niente”).
(Maurizio Porro, ‘Il Corriere della Sera’, 8 maggio 1999)

“Per raggiunti limiti anagrafici e per inadeguatezza “culturale” quelli della mia età dovrebbero rinunciare a misurarsi con certi fenomeni dell’età cyber, come Matryx (allora era meglio lasciar recensire qualcun’altro. E Matrix è con la i non con la y), il fortunatissimo film dei fratelli Wachowski, Larry e Andy, 33 e 31 anni rispettivamente. Dovrebbero rinunciare non perché incapaci di leggere tra le righe dell’ambizioso e furbo progetto dei due brillanti registi, arrivati, al secondo film, a una produzione da 70 milioni di dollari. Non perché non vedano e in qualche misura non apprezzino, sotto il cyber-action-movie, l’abile frullato misto di bibbia e yoga, metafisica e matematica (anche la matematica?), kung fu e Sergio Leone, buddhismo e arti marziali, alta tecnologia e messaggi messianici, velo di Maya e Alice nel paese delle meraviglie, e chi più ne trova più ne metta. Ma perché mentre, a quanto risulta, i giovanissimi si divertono un mondo e delirano di gioia di fronte alla realtà virtuale messa in essere da Matryx (la storpiatura del nome è voluta? Forse un rifiuto intellettuale per quanto bambinesco), chi ha superato i quarant’anni, di fronte alle due ore e passa del film dei Wachowski prova – dopo un’iniziale ammirazione per alcuni effetti notevolissimi, la bella fotografia e la ricchezza produttiva – una incontenibile irrequietezza, e il desiderio di darsela a gambe” (addirittura darsela a gambe? Quindi gli over-40, solo 10 anni in più dell’età dei registi, sono irrimediabilmente destinati a non apprezzare questo film e volersela dare a gambe dopo poco? Mi permetto di dissentire. Conosco moltissimi over-40 a cui Matrix è piaciuto moltissimo).
(Irene Bignardi, ‘la Repubblica,’ 8 maggio 1999)

“Incuranti dall’ondata di pernacchie da cui sono stati travolti nella loro opera prima, e tutti invano hanno sperato ultima (in realtà “tutti” manco se l’erano filati questi registi prima di Matrix), l’indecente (moralismo da strapazzo) thriller saffico ‘Bound’, i fratelli Larry e Andy Wachowski hanno virato di parecchi gradi abbracciando il cinema dell’irrealtà. E qui viene il difficile per chi deve raccontare il film ai lettori, anche se il dovere professionale gli ha imposto di restare imperterrito al proprio posto per i 136 minuti (interminabili) del film (wow che tortura!), tenendo gli occhi e, purtroppo, anche le orecchie, aperti (eh si, che brutta novità questi film con audio, molto meglio il muto con colonna sonora suonata in diretta da un pianista). Con incommensurabile invidia per chi, grazie al favore delle tenebre, se l’è invece svignata già nel primo tempo” (nessuna vergogna a posteriori dopo aver scritto una cosa del genere? Io spero di si, almeno un pochino).
(Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 9 maggio 1999)

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