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CriticaLetteraria: Mario Vargas LLosa, “Avventure della ragazza cattiva”

Creato il 17 settembre 2012 da Patrizia Poli @tartina

da CriticaLetteraria del 16 settembre 2012

Avventure della ragazza cattiva
di Mario Vargas Llosa

trad. G. Felici

Einaudi, 2006

pp. 357

di Patrizia Poli

thebadgirl
Non decolla per tutta la prima parte, procede per accumulo e non per sviluppo, Avventure della ragazza cattiva di Mario Vargas Llosa, a metà fra il picaresco e la storia d’amore. Solo nella seconda parte ci appassioniamo alle vicende di Lily, femme fatale dal nome cangiante, come cangianti sono i suoi travestimenti (ma non il suo carattere) e di Ricardo, anonimo interprete peruviano.
Ricardo è un travet, un uomo medio, un Charles Bovary senza ambizioni ma con un cuore capace di concepire, e custodire per tutta la vita, un amore immenso. S’innamora a quindici anni di Lily, la ragazza cilena, che cilena non è e che non si chiama nemmeno Lily, bensì Otilia - ma questo Ricardo lo imparerà a sue spese solo molto più tardi. La ritrova a ogni tappa della sua vita sotto nomi e travestimenti diversi, come guerrigliera Arlette, come moglie di un diplomatico francese prima e di un allevatore di cavalli poi, come schiava del sesso giapponese. Ricardo è disposto a tutto pur di stare accanto a Lily, si lascia umiliare da lei, che lo abbandona ogni volta per mettersi con uomini più ricchi, che mal sopporta la vita semplice e borghese che lui può offrirle e cerca il riscatto da un passato di miseria. Alla fine, però, a essere sottomessa, mortificata, sarà lei, vittima consenziente del perfido Fukuda, magnate giapponese che la incatenerà in un rapporto violento e sadico, fino distruggerla nel fisico e nel morale. E, tuttavia, proprio Fukuda sarà l’unico uomo capace di conquistarla e soggiogarla. Ricardo leccherà le ferite di Lily, la inseguirà in capo al mondo, dissiperà le sue poche sostanze per curarla, salvo poi essere abbandonato di nuovo, e poi di nuovo recuperato in extremis, quando non ci sarà più tempo né spazio per ripensamenti. In punto di morte Lily/Otilia/Kuriko tornerà definitivamente da lui, l’unico maschio di cui si fidi, l’unico al quale si senta legata da vero affetto e stima, l’unico che consideri “un santo” a pieno titolo. (E come darle torto?) In qualità di esiguo risarcimento, gli lascerà una casetta nel sud della Francia, assegnatale dalla sua ultima conquista.
Lily, però, non giganteggia, non incute timore, non ha fascino perverso, risulta ripetitiva e alquanto prevedibile nella sua inaffidabilità. Semmai il personaggio più riuscito è Ricardo, con la sua umanissima debolezza, con la sua pazienza, col suo amore che non finisce ma anzi cresce ad ogni incontro, ad ogni abbandono. Ricardo ha dalla sua la bontà, l’umiltà, è un uomo che lavora per vivere, che ama la letteratura e le lingue straniere, soprattutto il russo. È un uomo che non vediamo, che non sapremmo nemmeno descrivere, probabilmente un uomo non bello, ma forte della sua costanza, della sua gentilezza, della sua onestà e dedizione.
Ormai sono passati molti anni perché ti rimanga il minimo dubbio: ti amo tanto che farei qualsiasi cosa per tenerti accanto a me, qualora fossimo uniti. Ti piacciono i gangster? Diventerò rapinatore, sequestratore, truffatore, narco,quello che vuoi. Quattro anni senza sapere niente di te e, adesso, riesco appena a parlare, a pensare, da quanto sono commosso nel sentirti così vicina.
Attorno a lui ruotano una serie di amici e conoscenti, molti dei quali destinati a morire presto e con storie che ci vengono raccontate in parallelo. A fare la parte del leone, oltre alla continua presenza/assenza di Lily, è l’ambiente mutevole in cui Ricardo si muove. Inseguendo il suo amore, o forse sfuggendogli, Ricardo si sposta di nazione in nazione, di continente in continente, dal Perù, paese di origine - coll’elegante quartiere di Miraflores a Lima, ma anche col terrorismo mortifero di Sendero Luminoso - a Parigi, città di elezione, città dell’anima e del cuore, attraverso la swinging London degli hippie, fino alla torbida Tokio dei locali a luci rosse e delle case di piacere e alla Madrid degli artisti, dove Ricardo avrà una storia con una ragazza più giovane, incapace di fargli dimenticare il suo unico grande amore. Questo peregrinare, inevitabilmente, lo trasformerà in apolide, in métèque, uomo senza patria che non si sente a casa in nessun luogo perché non è più peruviano ma non è nemmeno francese o spagnolo. Simbolo di questa condizione è l’innumerevole quantità di passaporti della ragazzaccia, la bad girl del titolo, la ninã mala, che, con la sua inafferrabilità, finisce per incarnare il disagio stesso del protagonista, la sua non appartenenza.
Alcuni critici rimproverano a Vargas Llosa di aver contraddetto se stesso in questo romanzo, di non aver continuato sulla falsariga del testo difficile, della narrazione a più piani temporali, di aver optato per uno stile forse trito, ma il linguaggio del romanzo è semplice come semplici sono le parole dell’amore. Più e più volte la ragazzaccia chiede a Ricardo di dirle le sue “cheap, sentimental things”, quelle dolci, tenere frasi che sembrano banali quando le leggiamo ma acquistano tanto significato se, invece, sono dirette a noi.
Stai diventando una huachafita [donnetta sentimentale, n.d.r.] anche tu, niña mala, - la baciai sulle labbra. - Dimmene un’altra, un’altra, per favore.


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