critiche a Saviano

Creato il 27 giugno 2010 da Gaia

Quando dico che sto leggendo un libro “di critica a Saviano” la gente storce il naso o si incupisce. Anche chi non ha letto Gomorra, o altri sui scritti, anche chi sa sì e no di cosa stiamo parlando. L’onestà intellettuale e l’amore per il pensiero critico non mi sono mai sembrati particolarmente comuni qui in Italia, direi così generalizzando, pensando a un paese in cui si è abituati a darsi battaglia in schieramenti più che a perdere tempo in analisi sofisticate.

Il fenomeno Saviano è un ottimo esempio. Quando è uscito, Eroi di carta, il libro di Alessandro Dal Lago, sociologo collaboratore de Il Manifesto, si è ovviamente attirato parecchie critiche, da destra e da sinistra. La fondazione di destra Fare Futuro, per esempio, ha scritto: “se non fosse per l’amore che abbiamo nei confronti della libertà di pensiero, ignorare il libro di Dal Lago sarebbe stata la cosa migliore da fare in un paese che odia i suoi eroi”, e poi ha accusato Dal Lago di unirsi al coro addirittura di Emilio Fede -una cosa che più ignominiosa non si può. Sulle pagine de La Repubblica, Adriano Sofri chiama “meschine” le critiche di Dal Lago. Un’opinione particolarmente interessante è quella di Paolo Flores d’Arcais, che taccia come “ignobile” l’attacco “a Saviano” senza averlo nemmeno letto. Questo “intellettuale” è un tale raffinato pensatore da invitare alla “non lettura” di un libro che lui stesso non ha letto, di consigliare: piuttosto mangiate il gelato o fatevi una scopata. Mi dispiace per lui che ha poco tempo e deve scegliere.

Invece il libro è una lettura piacevole e stimolante, che non solo non attacca Saviano, o meglio la sua scrittura e il fenomeno mediatico, in modo ignobile, bensì sottile e argomentato, anche se impietoso, ma oltretutto si prodiga in una tale carrellata storico-letteraria (leggermente sborona) da invitare il lettore a informarsi su un sacco di temi che con Saviano non hanno niente a che fare. A me il libro è piaciuto molto e ho intenzione di riassumerlo. E aggiungerò addirittura: a modo suo, dà anche un contributo alla lotta contro la mafia, invitandoci a ragionare sulle mancanze dello stato e della nostra società, piuttosto che sulle singole figure eroiche, per risolvere quello che è un problema enorme e complesso, ma non l’incarnazione del Male in Terra. Più o meno condivisibile, ma una signora opinione. (Ancora più interessante, poi, alla luce di quello che molti esperti scrivono sull’area grigia tra mafia e colletti bianchi, classe dirigente, e tutto quello che solitamente le viene contrapposto in modo netto.)

Parto dalla mia personale esperienza con Gomorra. L’ho letto non molto dopo la sua uscita, e, nonostante mi infastidisse un po’ la scrittura pesante e retorica, ero completamente affascinata e sconvolta dalle cose incredibili che raccontava. Avrei anch’io applaudito l’autore per quello che aveva fatto. Incontrando persone di Napoli e dintorni, tutti dicevano: non solo è tutto vero, ma è anche peggio: sai quante storie così potrei raccontarti io? Quindi Saviano non aveva inventato niente, anzi: la realtà era davvero così terrificante. La cosa curiosa di Gomorra, ma ci arriveremo dopo, è che sono le parti più incredibili ad essere vere, e quelle apparentemente più banali a far sospettare di non esserlo.

Il primo sentore che fosse così l’ho avuto un paio d’anni dopo, quando ormai mi interessavo attivamente di mafia ed ero a Salerno con dei ragazzi molto in gamba di Libera Campania, per un convegno. Osarono, mi stupii io quella volta, non avere un’opinione del tutto favorevole del libro di Saviano, dicendo sostanzialmente due cose. Una, non rende giustizia all’antimafia. In quel libro dai toni cupissimi e ambientazioni infernali, effettivamente, l’unica speranza era di fatto rappresentata dalla testimonianza di Saviano, e quasi nient’altro. La seconda obiezione era questa: ma ti pare che i cinesi si prendono uno così, a lavorare per loro? Ma ti pare che un trafficante di rifiuti tossici si confida a uno incontrato in treno? qualcosa non torna.

Credulona come sono come persona, e scrupolosa come giornalista (pur trattando temi molto più pacati), non mi era nemmeno venuto il dubbio che Saviano avesse inventato queste cose. Le ha inventate? Non si sa. Il libro, ci arriveremo dopo e sarà molto ma molto complicato, gioca su una serie di ambiguità per quanto riguarda il rapporto tra autore, io narrante, e Saviano come persona; inoltre, non mi risulta che nessuno abbia mai chiesto pubblicamente: Saviano, ma tu veramente hai fatto questo che racconti?

Inoltre, e poi passo al libro di Dal Lago, la cosa che mi dava più fastidio con il passare del tempo era che Saviano fosse diventato un’icona, e qui la colpa non è tanto sua, quanto della pigrizia, retorica e fame di soluzioni facili dei giornalisti e degli intellettuali italiani. Perennemente osannato, intervistato, interpellato, citato anche su temi su cui altri sarebbero stati ben più competenti, difeso a spada tratta, Saviano era diventato tutto, troppo: martire, eroe, tuttofare, bollino di garanzia dell’antimafia, mito, gigantesca autorità morale… si era arrivati a questo: ipse dixit, quindi è vero. Quando ho letto qualcosa come “Saviano e i centomila”, titolo di un articolo di repubblica in occasione di una manifestazione nazionale contro le mafie e in ricordo delle loro vittime innocenti, ho capito: il fenomeno Saviano non porta alla ribalta l’antimafia, ma la oscura, soprattutto nei grandi media come il gruppo l’Espresso. E tutti gli altri? Le moltitudini, i magistrati, i giornalisti minacciati e sotto scorta che ancora lavorano proprio in quelle terre, i testimoni, i ragazzi delle cooperative sorte sui terreni confiscati, gli studiosi, Libera, Addiopizzo, gli attivisti al Nord e al Sud Italia, le associazioni, i preti antimafia… tutta questa gente, dov’è? C’è solo Saviano? Un solo “eroe” e sessanta milioni di imbelli?

Detto ciò, io ora sono di questa idea: Saviano ha il merito straordinario di aver parlato di mafia in un modo emotivo e travolgente, che toccasse le persone, le spingesse a interessarsi, magari anche ad attivarsi, a farsi delle domande, a darsi da fare. Saviano ha scritto un libro di cui si può dire di tutto, ma non che sia noioso -e il film tratto dal libro, poi, è un capolavoro, svetta assolutamente sul resto della produzione italiana. Quasi tutto quello che si legge sulla mafia, nella mia esperienza di alcuni anni, è un po’ una palla. Gomorra no, Gomorra è piuttosto indimenticabile. E quindi chi l’ha scritto è diventato famoso, e quindi l’ha gente si è svegliata e lo è stata a sentire. Questo io non lo nego e anzi lo rispetto. Ci sono poi due qualità innegabili della produzione letteraria e giornalistica di Saviano, e della persona stessa: il coraggio, e l’attivismo, l’attività instancabile. Anche per queste cose è diventato un mito. Ora però uno vuole essere libero di dire il resto. Veniamo al libro, e a quello che Dal Lago scrive.

(fine prima parte)

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