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CROAZIA: Cento giorni in Europa

Creato il 14 ottobre 2013 da Eastjournal @EaSTJournal


di Davide Denti

Croatia EuropeanParliament Flickr

Cento giorni, sono quelli passati dal 1° luglio 2013, quando a Zagabria i vertici della repubblica croata e i loro omologhi europei festeggiavano l’ingresso della Croazia nell’Unione, dopo un percorso lungo ed accidentato (i negoziati erano stati aperti nel 2005). Cento giorni sono la misura tipica di un primo bilancio, ed in questo caso il bilancio è quello relativo ai cambiamenti apportati dalla membership nell’UE. Un bilancio che, secondo il quotidiano conservatore croato Večernji List ha più ombre che luci, per il momento.

Perković, le leggi ad personam e gli scheletri nell’armadio dell’HDZ

Come era stato in passato per i casi Gotovina e Sanader, anche subito dopo l’adesione la Croazia è inciampata su un paio di questioni giudiziarie di alto livello, in questo caso relative al mandato d’arresto europeo. Nel primo caso, il governo socialdemocratico di Zagabria è stato messo sotto accusa da parte di Bruxelles per una legge ad personam, la “lex Perković”, passata tre giorni prima dell’adesione, che indicava nel 2002 l’anno limite per la commissione di reati che potessero terminare nell’estradizione facilitata ad altri paesi UE. Una legge che è subito apparsa come su misura per il 68enne Josip Perković, già spia titina ricercata in Germania per diversi omicidi di dissidenti e nazionalisti croati negli anni ’70 e ’80, e in particolare quello di Stjepan Djurekovic, ex dirigente della compagnia petrolifera nazionale INA, ucciso in Baviera con un colpo d’ascia nel 1983. Per colpa sua, la cancelliera Merkel aveva disertato le celebrazioni del 1° luglio a Zagabria. “Perković è il simbolo di quella parte dei servizi [jugoslavi] pronta ad aiutare Tudjman, che aveva bisogno di professionisti nella creazione dello Stato croato”, chiarisce l’analista Žarko Puhovski intervistato da Stefano Giantin. Inoltre, Perković jr. sarebbe uno dei consiglieri per la sicurezza del presidente Josipović.

Le orecchie da mercante fatte dal governo croato alle richieste UE di riportare la legislazione sul mandato d’arresto in linea con gli standard comunitari avevano mandato su tutte le furie la Commissaria UE Viviane Reding: “una legge che può essere modificata pochi giorni prima di firmare il trattato d’adesione, può anche essere modificata di nuovo pochi giorni dopo”. Secondo la Reding, il governo Milanovic avrebbe abusato della sua fiducia nel dare l’ok alla chiusura del capitolo negoziale numero 23 sulla giustizia e gli affari interni. “La Croazia, dopo aver ricevuto moltissima fiducia, ha iniziato ad abusare di questa fiducia nel momento in cui è entrata nell’Unione”. La Commissione, dopo la scadenza del termine del 23 agosto concesso a Zagabria per modificare la legge, aveva iniziato a valutare l’applicazione dell’articolo 39 del trattato di adesione, sul monitoraggio dell’applicazione del diritto UE, minacciando la sospensione dei fondi comunitari al nuovo stato membro, previsti per la preparazione all’ingresso in Schengen. Il governo Milanovic ha prima tentato di abbozzare, assicurando che la norma sarebbe stata modificata prima di metà 2014, per poi inserire la retromarcia e votare, il 4 ottobre, un emendamento alla legge Perkovic che rimuove il termine del 2002 per il mandato d’arresto europeo, anche se tale solo a partire dal 1° gennaio 2014.

Il secondo e più recente caso relativo al mandato d’arresto europeo in Croazia ha acceso una disputa con l’Ungheria. Come riportato da Marina Szikora su Radio Radicale, la procura di Zagabria ha incriminato il presidente della compagnia petrolifera ungherese MOL, Zsolt Hernadi, accusandolo di aver corrotto l’ex premier croato Ivo Sanader con 5 milioni di euro per convincerlo a cedere agli ungheresi il controllo della compagnia petrolifera statale INA. Per tale tangente, Sanader è già stato condannato a 10 anni in primo grado nel 2012. L’Ungheria si rifiuta di consegnare Hernadi, sostenendo di aver già indagato e archiviato la questione, e Viktor Orban minaccia di vendere il 49,1% delle azioni INA, a tutto beneficio di eventuali compratori esteri (si parla di Gazprom e controllate, ma anche di ENI).

Traversìe economiche e meno turisti russi e turchi

Nel frattempo, la situazione economica e finanziaria del paese balcanico non resta delle migliori. Così come i vicini sloveni, anche Zagabria deve far fronte alle conseguenze della crisi economica, e prepara una manovra correttiva, anche se il rapporto deficit/PIL sforerà la quota Maastricht del 3%, anche a causa delle spese per il riassetto del sistema sanitario. Per il 2014, Zagabria si attende di arrivare fino al 5% di deficit/PIL, dovuto all’aumento dei tassi d’interesse sul debito e al contributo al bilancio UE, con l’apertura pressoché certa di una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE. Tali cifre dovrebbero comunque rientrare nella normalità negli anni successivi tramite il risparmio interno, privatizzazioni, concessioni e aumento della produzione e delle esportazioni, senza ulteriore indebitamento estero, secondo i  piani del governo socialdemocratico ormai a metà mandato. A fine settembre Fitch ha abbassato il rating del paese a BB+, facendo aumentare lo spread. Secondo Večernji List, ”invece di ottenere credito a buon mercato [dall'UE], la Croazia si è vista declassare alla categoria speculativa dalle agenzie di rating”.

Il commercio tra la Croazia e gli altri 27 paesi membri è aumentato dopo l’adesione, ma secondo Večernji List i prezzi non sono calati. Inoltre, l‘ingresso nell’Unione ha anche significato una distorsione dei flussi turistici per il paese, che gode di una lunga e pregiata costa. Dall’aprile 2013, i cittadini turchi, russi e ucraini hanno iniziato ad essere soggetti a visto d’ingresso, scoraggiando così il turismo. Secondo l’agenzia Anadolu, l’estate 2013 ha visto il 21% di turisti turchi in meno in Croazia, mentre russi e ucraini hanno preferito le coste del Montenegro.

Infine, per stare ai lati positivi, l’adesione ha certamente facilitato la mobilità dei cittadini croati, che oggi hanno diritto di risiedere e lavorare negli altri paesi membri, anche se molti paesi UE occidentali hanno inserito un periodo transitorio fino al 2015 prima dell’apertura dei loro mercati del lavoro. E, da ultimo, le tariffe telefoniche di roaming tra la Croazia e il resto d’Europa sono sensibilmente diminuite.

Foto: European Parliament, Flickr


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