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Croce Klemperer Vossler e lo stato totalitario

Creato il 19 luglio 2010 da Chiaramarina

1.3 Le caratteristiche dello stato totalitario

Il saggio di Ernst Jünger, del 1930, Die totale Mobilmachung[1], individua la caratteristica qualificante dello Stato novecentesco: imporre ai cittadini una mobilitazione totale come se fossero minuscoli ingranaggi di un meccanismo che funziona incessantemente; i paesi diventano gigantesche  officine metallurgiche  e ciascuna singola vita si trasforma sempre più chiaramente nella vita di un lavoratore, di un milite del lavoro completamente trasformato in ogni sua cellula in Stato. Secondo Schmitt:

Se la società stessa si organizza in Stato, Stato e società devono essere fondamentalmente identici, cosicché tutti i problemi sociali ed economici diventano

immediatamente problemi statali e non si può più distinguere fra ambiti statali-politici e sociali-non politici. Tutte le contrapposizioni finora correnti, basate sul presupposto dello Stato neutrale, che appaiono in seguito alla distinzione di Stato e società e sono soltanto casi di applicazione e delimitazioni di questa  distinzione,vengono ora a cessare [.... ] La società divenuta Stato è uno Stato dell’economia, della cultura, dell’assistenza, della beneficenza, della previdenza; lo Stato divenuto autorganizzazione della società, quindi di fatto da essa non più separabile, abbraccia tutto il sociale, cioè tutto quanto concerne la convivenza umana. Non c’è più nessun settore rispetto al quale lo Stato possa osservare un’incondizionata neutralità nel senso del non-intervento [...] Nello Stato divenuto

autorganizzazione della società non c’è più nulla che non sia almeno potenzialmente statale e politico[2].

Secondo l’autore, dunque, quando lo Stato cessa di essere neutrale ed invece di tutelare il singolo individuo lo soffoca assoggettandolo al proprio volere, allora, esso da liberale diventa totalitario. «Si intromette indifferentemente in tutti gli ambiti, in tutte le sfere dell’esistenza umana, che non riconosce più alcuna sfera libera dallo Stato perché in generale non può distinguere più nulla. […] »[3].  Entra nella sfera pubblica come in quella privata, limita la libertà dei cittadini diventando tirannico. « Esso interviene in tutti i possibili affari e in tutti i campi dell’esistenza umana, non solo nell’economia (…) bensì anche nelle questioni culturali e sociali, che una volta si consideravano volentieri faccende puramente private»[4]. Lo Stato diventa un sovrano dispotico che esprime la volontà del leader,da cui il popolo è completamente plagiato. La Arendt accenna a quella forma di terrore e di controllo sociale che era «il modellamento e rimodellamento delle menti»[5], la pervadente riforma della mente umana che è il corrispettivo della creazione dell’uomo nuovo tipico dello spirito totalitario. «Gerarchia è la parola chiave del fascismo»[6], ovvero, un principio secondo cui il singolo individuo acquista valore soltanto se svolge egregiamente la sua funzione nell’ingranaggio dello Stato, soltanto se soddisfa la volontà del capo. La forza mediatica del leader assumeva: «Nella propaganda martellante e nella mitologia popolare la figura paterna infallibile, così abissalmente superiore ai gerarchi in camicia nera e ai perfetti. Tutte le decisioni ricadono su di lui, circondato da un ristrettissimo gruppo che – com’è logico in un sistema chiuso – non può rinnovarsi se non per il capriccio o l’intuito del capo»[7]. Tutto il sistema si regge su un solo personaggio, leader indiscusso, che ne costituisce il cuore, e sugli ordini che lui impartisce, fondamentali per il funzionamento della complicata struttura organizzativa. Il capo è una figura idealizzata e mitica; essa definisce tutto ciò che un uomo qualsiasi vorrebbe essere, ma al tempo stesso il suo predominio e la sua severità incutono a chiunque un senso di rispetto, nonché di timore[8]. Il mantenimento della superiorità e quindi della leadership sulle masse, presuppone la dote dell’infallibilità, l’essere immuni da errori; essendo il rapporto fra capo e subordinati di tipo simbiotico (il primo si identifica con ogni suo seguace e viceversa), le critiche rivolte a questi ultimi (che agiscono sempre in nome del leader), costituiscono attacchi contro il leader stesso, e di conseguenza sono intollerabili. Altre due sono le conseguenze collegate a questa identificazione, rilevate dalla Arendt[9]. La correzione degli errori implica l’eliminazione materiale di chi li ha commessi, il ripristino della perfezione (un comportamento molto simile a quello indotto da una struttura psichica di carattere narcisistico nel rifiuto di accettare le proprie deficienze); inoltre, sentendosi ogni subordinato un’estensione fisica del capo, nessuno si ritiene in dovere di spiegare le ragioni delle azioni compiute, e perciò tutta la responsabilità viene automaticamente scaricata sul vertice del comando. Tale schema è una caratteristica comune a tutti i regimi totalitari. Anche i mezzi con cui detengono il potere sono, più o meno, gli stessi. Il problema più profondo è quello della mobilitazione delle masse. La Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra, è stato un fenomeno grandioso, tragico, che ha mobilitato milioni di uomini nelle trincee, Ed è stata una terribile guerra, durata per anni. La gente è uscita dal privato, si è sentita resa partecipe della storia, è stata completamente coinvolta. E le grandi masse sono emerse come protagoniste della storia. Il fenomeno ha radici ancora più remote come il fenomeno dell’industrializzazione, la nascita del proletariato urbano. Tutti questi fenomeni in cui gli individui sono stati, in qualche modo, strappati dal tessuto della società antica, della società agricola, che si identificava intorno al campanile dei piccoli comuni agricoli, e si sono ritrovati coinvolti in grandi realtà collettive sono state le premesse naturali per l’emergere e l’affermarsi del totalitarismo. Secondo Neumann gli artefici del movimento totalitario capirono che nella società industrializzata di massa non sono più sufficienti i metodi coercitivi tradizionali, per il controllo sulla popolazione è necessario affiancare (o meglio  nascondere dietro) alle strutture istituzionali gli organi del partito, inserirsi in ogni settore del tessuto sociale, gerarchizzare e burocratizzare, ma soprattutto intervenire sulla psicologia sociale, attraverso la propaganda e l’indottrinamento, contribuendo all’isolamento dell’individuo e favorendone la manipolazione. La propaganda è assimilabile alla pubblicità commerciale: vende valori culturali come se fossero beni di consumo; il suo obiettivo è raggiungere il monopolio assoluto dei consensi e l’omologazione ideologica della popolazione, fino ad arrivare alla deformazione della sua capacità di giudizio, e di fatto, a possederne la mente[10]. Persino il Vossler, anche se per un breve periodo, fu vittima della propaganda nazista, come emerge chiaramente da queste righe, scritte a Croce.

Ma ora posso sfogarmi più a lungo e debbo dolermi prima di tutto delle calunnie e di ogni genere di notizie false che si spargono in Italia sul conto nostro. Non avrei creduto possibile che due popoli alleati potessero perdere a tal punto e in così poco tempo ogni contatto morale e politico. Da noi si sta svolgendo il più grandioso spettacolo di risveglio di una nazione di settanta milioni, tutti uniti, senza eccezione, dall’imperatore fino all’ultimo poveraccio, si fondano le idee del socialismo moderno con quelle antiche del feudalesimo militare, si organizzano misure colossali di soccorso, si vive ognuno per tutti, per la patria – ed a tutto ciò in Italia si chiude gli occhi, per spalancare invece tanto d’orecchia alle frasi umanitarie ed al falso sentimentalismo dei francesi[11].

Il “risveglio” annunciato dal Vossler consisteva, appunto nel riscatto della Germania. Infatti, nel Paese, la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale era coincisa fatalmente con altri fattori, riscontrabili sia nell’analisi di Fromm[12] che di Arendt[13]. Innanzitutto la perdita della guerra e le dure sanzioni imposte dagli Stati vincitori fecero cadere il Paese in una profonda depressione economica che colpì maggiormente la classe media inferiore, più vulnerabile all’inflazione rispetto alla classe operaia ed a quella alto borghese, e causò una generale sensazione di impotenza e di fallimento individuale e sociale. L’insoddisfazione e la frustrazione sociale erano accentuate dal crollo dei valori religiosi e della moralità. In questo clima è facile intuire il ruolo che ebbe il movimento nazista come restauratore di un ordine ormai perduto definitivamente; se la maggioranza della classe operaia subì gli eventi con indifferenza o rassegnazione ed i ceti superiori fiutarono la possibilità di sfruttare la situazione a loro favore, le classi piccolo borghesi, gli ex-combattenti e gli ufficiali dell’esercito, non aspettavano altro che l’opportunità di riacquistare prestigio e potere, e di dare sfogo a un desiderio represso di rivincita o persino di vendetta. Una vendetta che assunse la valenza di una ragion di stato che, secondo Vossler, gli italiani non erano capaci di comprendere.

Per noi si tratta di una guerra di santa difesa. Le ragioni politiche, i precedenti diplomatici saranno quel che sono; a quest’ora nessuno ancora li conoscerà in tutta la loro complicazione. Ma sta il fatto che nella conoscenza tedesca, nel sentimento nostro, c’è solo questo: la Germania è attaccata a tradimento, e portata a difendersi e si difenderà fino all’ultima goccia di sangue. Non vi sono partiti, non vi sono tendenze isolate, non c’è nulla di fittizio, di montato, non è un movimento politico, è la più elementare eruzione di forza popolare che si sia mai vista[14].

Il fenomeno psicologico dell’identificazione, che porta l’individuo a sentirsi parte integrante di un’entità più grande e più forte, è quello che concretamente ed in una forma estrema si è verificato in Germania fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, e ha contribuito alla formazione di una massa compatta e spregiudicata capace di mettersi contro il mondo intero. Sulla base di queste considerazioni le parole che Vossler scrisse a Croce acquistano un senso compiuto. Molti critici, fra cui la Arendt, parlarono del «potere magico esercitato da Hitler sui suoi ascoltatori. […] Egli esercitò un fascino a cui nessuno, dicono, sarebbe stato immune»[15]. Secondo l’autrice, la potenza del fascino di Hitler fu strettamente collegata al contesto sociale. Infatti, in una società debole e priva di valori,  può accadere che un uomo particolarmente carismatico riesca ad influenzare il volere della massa.

Il fascino è un fenomeno sociale, e quello esercitato da Hitler sul suo ambiente deve essere inteso in questo particolare contesto. La società è sempre incline ad accettare lì per lì una persona per quello che pretende di essere, di modo che un ciarlatano atteggiatesi a genio a sempre qualche probabilità di essere creduto. Nella società moderna, con la sua caratteristica incapacità di giudizio, tale tendenza è accentuata, e chi, oltre ad avere opinioni, le presenta col tono di una convinzione incrollabile, non perderà tanto facilmente il suo prestigio, per quante volte risulti evidente il suo errore[16].

È questo uno dei motivi per cui il regime totalitario detiene il potere grazie al consenso popolare. Infatti esso ha bisogno, per sopravvivere e portare avanti “i suoi intenti”, di una massa compatta e fedele, una scorta di «materiale umano»[17]. Nel contesto storico-sociale in cui si ambientava il movimento totalitario, l’identificazione rappresentò un compenso in positivo alla mancata considerazione di sé da parte dell’individuo, a causa dello stato di angoscia, alienazione e repressione in cui si trovava; il processo di identificazione costituì una valvola di sfogo psicologica, attraverso la quale chi si sentiva completamente vuoto ed isolato poteva ritrovare un motivo di orgoglio e di aggregazione sociale, grazie all’unione spirituale con un gruppo, omogeneo nelle convinzioni e negli intenti. Questo fenomeno, che fece recuperare un senso di sicurezza e di forza alla popolazione, avvenne a scapito della volontà personale, sostituita dalla volontà superiore della massa (o meglio dalla volontà superiore del manipolatore della massa), e della capacità personale di giudicare obiettivamente, sostituita da una serie di valori, convenzioni e caratteri comuni sui quali veniva fondata l’appartenenza alla comunità[18]. Secondo la prospettiva di Reich, nel meccanismo di identificazione dell’individuo nel regime nazista e nel suo capo ha una rilevanza determinante il ruolo della piccola borghesia (la classe trascinante del nazionalsocialismo), e del suo carattere sessualmente repressivo, sia nell’ambito sociale che in quello prettamente psichico. In generale il successo di un capo o dell’esponente di un’idea dipende dalla corrispondenza che la sua proposta o le sue concezioni personali hanno in un largo strato della massa, ma un completo asservimento degli individui verso un’altra persona, come quello avvenuto nei confronti del Führer, necessita di una intensa relazione psicologica: «Solo quando la struttura della personalità di un capo coincide con le strutture individuali a livello di massa di vasti strati della popolazione il Führer riesce a fare la storia»[19]. L’identificazione con il padre nell’ambito della famiglia autoritaria è strettamente correlata all’identificazione dell’individuo con il potere nell’ambito dello Stato autoritario; il padre costituisce il punto di connessione fra la famiglia e lo Stato; egli assume di conseguenza anche un ruolo politico: si sottomette all’autorità e contemporaneamente riproduce sui figli quello stesso dominio. Lo strumento attraverso il quale si esplica il potere del padre (e di riflesso del leader) è la più rigorosa limitazione sessuale, così facendo «le donne svilupperanno un atteggiamento rassegnato, i figli una forte identificazione col padre che in seguito diventerà identificazione sentimentale con qualunque autorità»[20]. Secondo Reich la repressione sessuale, che è causa e non conseguenza del complesso edipico provoca da un lato la tendenza degli individui a sottomettersi all’autorità, a causa della formazione di un Super-Io particolarmente severo e della sua successiva introiezione, e dall’altro la tendenza a dipendere da quei legami incestuosi che hanno come oggetto la madre e che vengono poi traslati su altre entità[21]. Il sentimento nazionalistico può essere considerato come «la diretta continuazione del legame familiare e affonda in ultima analisi le sue radici, esattamente come essa, nel legame fissato alla madre»[22].

Il fattore che incide maggiormente sul meccanismo dell’identificazione, cioè l’indifferenziazione fra sé e l’altro, se può essere visto come un presupposto dell’amore che lega i componenti del gruppo, diventa una fonte di odio nel momento in cui viene a mancare. Chi non rispetta il modello imposto dall’identificazione e mette così in discussione la sua perfezione ed armonia, rappresenta una minaccia per le fantasie di onnipotenza (e la concreta possibilità di realizzarle) relative alla forza e all’invincibilità della nazione e del suo capo. Secondo Fromm i ruoli che svolgono le figure paterna e materna, sia per quanto riguarda la psicologia individuale, sia per quanto riguarda quella della sfera sociale, sono alla base del rapporto che il singolo e la massa stabiliscono con il potere nell’ambito del regime totalitario. Esiste una stretta correlazione fra padre e leader, e fra madre e na­zione, che si intensifica al crescere del grado regressivo del contesto psichico, storico e culturale[23]. La dimensione regressiva nella psicologia del totalitarismo, nelle sue manifestazioni più arcaiche, abbraccia integralmente il mondo istintuale dell’Es, che emerge con le sue esigenze impellenti dall’inconscio collettivo, e trova nella nuova realtà plasmata dal movimento un maggiore appagamento[24]. L’occhio filtrante dell’Es sul mondo è costituito dall’Io, una sorta di recettore di stimoli e, al tempo stesso, uno scudo contro le possibili perturbazioni che potrebbero colpire l’inconscio; l’Io costi­tuitosi come appendice protettiva e contemporaneamente autore­pressiva dell’Es, cerca continuamente di raggiungere un compro­messo fra le esigenze dell’Es e la realtà esterna sopprimendo o de­viando verso altre direzioni gli impulsi: è il sostenitore, interno all’individuo, del principio della realtà. Nonostante l’apparente indipendenza del ruolo svolto dall’Io, esso rimane perennemente legato alla sua origine (l’Es), mediante quella parte arcaica e non cosciente della memoria, che contiene il «ricordo della soddisfazione ottenuta in passato»[25], ma che è ancora l’input di ogni processo mentale. L’Io è sottoposto ad una notevole sollecitazione, causata dall’azione sia del principio della realtà (deve provvedere all’adattamento dell’individuo alle regole imposte dal pa­dre della comunità), che del principio del piacere (deve superare la ten­denza a ritornare allo stadio che ha preceduto quello del dominio sociale). Quello che Marcuse mise in evidenza è il grosso peso, per quanto riguarda la tendenza alla sottomissione nei con­fronti del dominio totalitario,  causato dall’interiorizzazione della repres­sione durante la formazione del Super-Io che provoca l’interruzione dello sviluppo istintuale e si blocca ad uno stadio infantile (primitivo)[26]. Secondo Marcuse, la storia della civiltà è caratterizzata dal succedersi continuo di una fase di dominio, una fase di asservimento e una fase di ribellione[27], che antropologicamente sono descritte rispettivamente dalla conquista del potere da parte del padre, dalla sottomissione dei figli al potere e dall’uccisione del padre da parte dei figli e il ripristino di un nuovo dominio. Un aspetto particolarmente importante per la comprensione della fuga dalla libertà del totalitarismo, che viene messo in risalto da Marcuse, è la fase dell’asservimento, attraverso la quale alla repressione esterna si associa l’autorepressione interna dell’individuo a favore dell’autorità dominante (introiezione della repressione). Ciò si ricollega alla funzione filtrante e autopunitiva del Super-Io, tramite il quale vengono assorbiti i principi morali del mondo esterno. La repressione che si viene a creare con la crescita del dominio sociale in aggiunta a quella fisiologicamente necessaria «repressione fondamentale[28], viene appunto chiamata da Marcuse «espressione addizionale»[29], ed è indice del grado repressivo della società. Tuttavia, è  evidente che il completo annullamento dell’Io individuale non coinvolse senza discriminazioni l’intera popolazione tedesca, e l’identificazione nel regime nazista o nel suo capo non fu sempre così inconscia e guidata da impulsi irrazionali. Infatti, secondo la Arendt, dove finiva la credulità e la vera partecipazione emotiva della gente, iniziava il cinismo e la rilevanza degli interessi personali. Ma, nonostante ciò, il fatto importantissimo che la partecipazione al movimento totalitario deve attribuirsi pressoché ad individui appartenenti a pressoché tutte le classi sociali, tanto da far intravedere una sorta di alleanza fra plebe ed elite[30], e a tutti gli strati culturali, implica la necessità di fornirne una spiegazione socio-psicologica che abbia un valore generale. Il ruolo che ha avuto la repressione degli istinti, sia provocata all’ambiente esterno, sia derivante dallo stato di angoscia dell’individuo, ed il carattere fortemente irrazionale ed alienante della partecipazione al movimento totalitario, porta a concludere che, secondo le distinzioni pocanzi espresse, l’identificazione fra leader e massa verificatasi al suo interno fu del tipo affettivo – cesaristico[31]. L’individuo solo, spaventato ed incerto per il suo futuro, come lo era gran parte della popolazione tedesca alla fine del primo conflitto mondiale, visti sciogliersi i legami primari con la famiglia, e non potendo più contare sul rapporto con gli amici, i compagni o i conoscenti, aveva come unico obiettivo quello di ritrovare il proprio posto nel mondo. Proprio perché «ognuno di essi era isolato ed impotente»[32], il movimento totalitario garantiva quel posto subito e per sempre; in cambio la fedeltà che l’individuo offriva era incondizionata ed illimitata, come quella che si può avere nei confronti di una madre; a tutti gli effetti, il regime diventava donatore di una nuova vita e assumeva le vesti di un nuovo genitore.  L’angoscia del sentirsi soli spinge alla ricer­ca di legami, che sostituiscano quelli che si sono appena sciolti; ma, mentre in precedenza, il benessere e la sicurezza dei quali si godeva non implicavano nessun sacrificio, in quanto tutto era percepito come proprio, adesso la sottomissione ad un’autorità superiore, in cambio di protezione, presuppone «la rinuncia all’integrità del proprio Io»[33]. In questa ottica, lo Stato tedesco diventa l’espressione di un padre superiore a cui si aveva l’obbligo di obbedire. Per la Arendt, il processo regressivo psicologico, in atto durante una crisi sociale, economica e culturale come quella verificatasi in Germania, ha come risultati immediati l’attenuarsi del senso della realtà, contrastato da un mondo (infantile) fatto di illusioni e credulità, nel quale niente esiste e tutto è possibile, ed inoltre porta alla diminuzione o addirittura la perdita della coscienza di sé; tutto questo rese facile il compito della propaganda nazista [34]di creare una massa, monolitica all’esterno, ma fortemente atomizzata al suo interno, pronta ad obbedire ad un solo comando. É noto che durante i totalitarismi i mezzi di comunicazione diventano parte integrante del regime stesso, il quale si arroga il potere di delegittimare le notizie che comprometterebbero la sua forza, di decidere ciò che è vero e ciò che è falso, di fomentare o placare l’ira delle masse. Per questo motivo, Croce in una lettera inviata al Vossler, lo mise in guardia dalla scarsa attendibilità della stampa in tempo di guerra.

Come italiano, io non do troppa importanza alle chiacchiere che si leggono spesso nei giornali. In primo luogo, dice un proverbio italiano: In tempo di guerra, bugie più terra! E gli italiani che leggono i giornali, si ripetono a ogni momento questo savio proverbio. In secondo luogo, tu sai come io, da anni, deplori e perseguiti con le mie satire i troppi letterati a spasso che sono diventati scrittori di giornali politici. Leggerezza e spirito d’avventura e da essi trasportata dai romanzi e drammi alla vita reale. In terzo luogo, ho sempre creduto che ciò che conta non sono i cosidetti sentimenti dei popoli (di solito artificiosamente eccitati) ma l’atteggiamento e l’opera dei governi: e il Salandra è un uomo coltissimo, assennato, serio; e persino gli articoli più stolti dei giornali concludono col non concludere, cioè col dire che il governo, che sa, si condurrà come il dovere gli detta. Quanto poi alle proteste contro la stupidità che si son dette sulla pretesa barbarie tedesca, esse sono state assai più numerose di quella unica del De Lollis, che tu conosci (lo stesso De Lollis ne ha fatte per suo conto non una, ma parecchie). Ed oggi stesso io ho aderito ad una di queste proteste[35].

Il detto riportato da Croce rimanda a una verità: la manipolazione dell’informazione è una costante durante le guerre. Un esempio lampante, a tale proposito, è fornito dal filologo tedesco Victor Klemperer, che nei suoi diari scrisse: «Provavo dolore ogni volta che leggevo un giornale italiano. Poiché il tormento si rinnovava più volte al giorno e poiché in sostanza ogni giorno leggevo sempre le stesse cose, con dei dettagli diversi e in vari toni, ma sempre le stesse, dopo un po’ di tempo cominciai a crederci»[36]. Da queste parole emerge chiaramente che in tempo di guerra l’informazione perde la sua oggettività e si pone al servizio della politica, di coloro che decidono se fare o non fare una guerra, di coloro che si arrogano il diritto di stabilire la differenza fra il bene ed il male. L’autore denunciò la pressione, più o meno manifesta, che la stampa italiana fece per seminare astio fra i tedeschi e gli italiani, per spingere l’intera nazione ad entrare in guerra: «La prima di queste correnti, alimentata da una sorgente maggiore, era quella della brama di guerra. I diversi partiti che ne facevano parte avevano il desiderio di proteggere la cultura dell’occidente dal Teutonismo e dal Militarismo, regolare i vecchi conti con l’Austria, e far trionfare la giustizia in Europa»[37]. In tempo di guerra, l’ideologia deforma ogni cosa ed estende le proprie radici anche mediante la stampa che frequentemente si trasforma in un potente mezzo di propaganda per estendere il potere del governo. La Arendt sottolineò che «il vero fine della propaganda totalitaria non è la persuasione ma l’omologazione»[38]. Secondo l’autrice, i capi totalitari estraggono «dalle ideologie disponibili gli elementi che meglio si prestano a fare da base per la creazione di un mondo interamente fittizio»[39] . Riprendendo tale teoria, Sartori ha scritto che «prima di tirare intorno a sé una cortina di ferro per impedire che il più lieve rumore esterno turbi la spaventosa quiete di un mondo interamente immaginario, essi possiedono già, grazie alla loro propaganda, la forza di segregare le masse del mondo reale»[40]. Egli pone l’accento sul fatto che i dittatori sono soliti fare dichiarazioni legate al futuro piuttosto che richiamandosi al glorioso passato, pensano nei termini del millennio a venire, alimentano la fuga dalla realtà delle masse. La propaganda si avvalse di tutti i mezzi tradizionali e di quelli nuovi messi a  disposizione dalla tecnologia del tempo. Massimo Ragnedda ricorda che:

Pian piano la guerra diviene un fattore nazionale per cui si cerca di mobilitare il maggiore numero di persone possibili, proprio per passare dall’esercito di mestiere ad un esercito nazionale. Per farlo si necessita di una martellante campagna propagandistica atta a convincere la popolazione della inevitabilità e della giusta causa della guerra: aspetto che, come si accennava poco sopra, ritornerà come tratto caratteristico della propaganda moderna[41].

Ovviamente, il regime esercita un fortissimo potere sulla stampa, intesa come pubblicazioni giornalistiche (periodici, quotidiani, giornali di settore, di associazioni lavorative ecc.) e anche, in senso più ampio, come editoria libraria.

I manuali per le scuole, specie quelli storici e umanistici, dovettero sottostare a commissioni di controllo e a censure. I comizi politici e le adunate assunsero un’imponenza mai vista prima e un’attentissima coreografia. Queste esibizioni di massa venivano preparate a tavolino con uno studio della collocazione, dei tempi e dei movimenti dei partecipanti, il tutto inquadrato dal ricorrere dei simboli del regime e mirante a creare un’intensa atmosfera emotiva di appartenenza comunitaria e di immedesimazione con il capo, che appariva e parlava nel momento culminante. Così si rafforzava e si legittimava l’identità comune e l’identificazione con il capo, secondo un meccanismo psicologico per il quale la massa viene percepita, in determinate condizioni, come un oceano che sommerge, ma al tempo stesso protegge e dà un significato all’azione del singolo, come testimoniano queste agghiaccianti parole scritte da Hitler:

L’assemblea di masse è necessaria già per questo, che in essa il singolo, che dapprima, essendo soltanto sulla via di diventare un seguace del giovane movimento, si sente isolato e colto dalla paura d’essere solo, vede per la prima volta lo spettacolo d’una grande comunità, e ne resta incoraggiato e inforzato. Un uomo, inquadrato in una compagnia o in un battaglione, circondato dai suoi camerati, si slancerà più volentieri all’assalto che se si trovasse solo. Nello stuolo, si sente

alquanto nascosto, quand’anche vi fossero mille argomenti per credere l’opposto.[42]

Inoltre, bisogna considerare che le adunate celebrative non coinvolgevano solo i

partecipanti. Attraverso la trasmissione radiofonica in diretta ed i cinedocumentari – le tecnologie nuove dell’epoca – il loro effetto veniva amplificato a masse ancora più vaste. E appunto le immagini cinematografiche permettono oggi di rivedere e di studiare le grandi manifestazioni di regime, dalle monumentali parate del 1° maggio sulla Piazza Rossa di Mosca alle assemblee naziste di Norimberga. La radio ed il cinema furono sfruttati come potenti mezzi di persuasione e gli Stati totalitari si dotarono di enti nazionali di produzione e di emissione, sotto il controllo dei rispettivi ministeri per la propaganda. Probabilmente, i regimi totalitari non sarebbero mai stati possibili, sin dalla loro nascita, senza quelle manifestazioni di popolo oceaniche, e se, quindi, non ci fossero stati tutti quegli strumenti tecnologici, come la stampa, i microfoni e la radio. Prima di queste invenzioni, non sarebbe mai stata immaginabile una manifestazione di quel tipo, perché non esistevano gli strumenti tecnologici per farne delle vere e proprie casse di risonanza per il consenso popolare. In questo delicato meccanismo i mezzi di comunicazione danno, al capo carismatico, la possibilità di mettersi in contatto diretto con milioni di uomini, creando un vero e proprio meccanismo di immedesimazione[43]. Tuttavia, Sartori rilevò che «nessuna propaganda basata sull’interesse puro e semplice può avere effetto fra masse che essendo caratterizzate principalmente dall’estraneità a qualsiasi corpo sociale e politico, presentano un vero caos di interessi individuali»[44]. Secondo la sua opinione, il fanatismo dei militanti dei movimenti totalitari, così diverso qualitativamente dall’attaccamento dei membri dei partiti normali, è prodotto dalla mancanza di un interesse egoistico delle masse, che sono pronte a sacrificarsi.


[1] E. Jünger, Die totale Mobilmachung, in Sämtliche Werke, VII, Essays I: Betrachtungen zur Zeit, Klett-Cotta, Stuttgart 1980, p. 121 e ss. Cfr. M. Ghelardi, Alcune osservazioni su Carl Schmitt ed Ernst Jünger, in Ernst Jünger, un convegno internazionale, a cura di P. Chiarini, Napoli, Shakespeare & Company, 1987.

[2] C. Schmitt, Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo Milano, Giuffré, 1981, p. 123.

[3] C. Schmitt, Weiterentwicklungen des totalen Staat in Deutschland, in «Europäische Revue», IX, 1933, 2, ripubblicato in Id., Positionen und Begriffe im Kampf mit Weimar-Genf-Versailles 1923-1939, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg-Wandsbek, 1940.

[4] Ibidem.

[5] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. XXXI.

[6] S. Lupo, Fascismo e nazismo, , in Storia Contemporanea,Roma, Donzelli, 1997, p. 370.

[7] Ibidem.

[8] Il rapporto di amore e odio, di paura e dipendenza e di indispensabilità reciproca, ricalca fedelmente i caratteri principali della simbiosi incestuosa; cfr. E. Fromm Psicoanalisi dell’amore, Roma, Newton Compton, 1998, p. 103.

[9] Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., pp. 317-339.

[10] Cfr. F. Neumann Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, il Mulino, 1973, p. 70.

[11] Lettera del 24 settembre 1914, i n Carteggio Croce- Vossler, cit., p. 185.

[12] Cfr. E. Fromm, Fuga dalla libertà, Milano, Mondadori, 1994, pp. 154- 160.

[13] Cfr. H.Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., pp. 200-220.

[14] Lettera del 24 settembre 1914, i n Carteggio Croce- Vossler, cit., p. 185.

[15] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 423.

[16] Ibidem, (in nota).

[17] Ivi, p. 429.

[18] Cfr. E. Fromm , Fuga dalla libertà, Milano, Mondadori, 1994, pp. 90-94.

[19] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, Torino, Einaudi, 2002, p. 46.

[20] Ivi, p. 59.

Nonostante la radicalità del pensiero di Reich, i contatti con le tesi di Fromm sono evidenti; cfr. W. Reich Psicologia di massa del fascismo, cit.; E. Fromm Psicoanalisi dell’amore, cit., p. 94.

[22] W. Reich Psicologia di massa del fascismo,cit., p. 62.

[23]Cfr. E. Fromm Fuga dalla libertà, cit., pp. 76-78.

[24]Il totalitarismo recepisce il malessere interiore degli individui e lo traduce in azione, superando il controllo esercitato dalla ragione e alterando il rapporto esistente fra con­scio e inconscio; cfr. F. Neumann Lo stato democratico e lo stato autoritario, cit.; H. Arendt Le origini del totalitarismo, cit.; E. Fromm Psicoanalisi dell’amore.

[25] H. Marcuse, Eros e civiltà,Torino, Einaudi, 2001, p. 76.

[26] Ibidem.

[27] Ivi, p. 124.

[28] Ivi, p. 79.

[29] Ibidem.

[30] Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., pp. 451-470.

[31] Le conclusioni di Neumann rispecchiano le tesi di Fromm sul legame libidico fra leader e massa; cfr. F. Neumann Lo stato democratico e lo stato autoritario, cit.; E. Fromm Psicoanalisi dell’amore, cit.; E. Fromm Fuga dalla libertà, cit., p. 60.

[32] H. Arendt, Le origini del totalitarismo,cit., p. 443.

[33] E. Fromm Fuga dalla libertà,cit., p. 35.

[34] Una propaganda di cui le “madornali bugie con cui il Führer intratteneva i suoi ospiti nel tentativo di conquistarli” potevano essere un modello; Ivi, p. 473.

[35] Lettera del 4 ottobre 1914, i n Carteggio Croce- Vossler, cit., p. 187.

[36] Tratto dalla mia traduzione del capitolo Neapel im Krieg, dell’opera di Victor Klemperer, Curriculum Vitae, Berlin, Aufbau Taschenbuch Verlag, 1996. «da ora in poi citato come N. K.».

[37] N. K.

[38] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 498.

[39] Ibidem.

[40] G. Sartori, Cosa è “propaganda” ?, in «Rassegna italiana di sociologia», IV, 1962, p.481.

[41] M. Ragnedda, La propaganda tra passato e presente: evoluzione e ipotesi di comparazione, in «Annali della Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università degli studi di Sassari», 2003-2005, p. 267.

[42] A. Hitler, Mein Kampf, Milano, Bompiani, 1940, p. 55.

[43] Cfr. M. Ragnedda, La propaganda tra passato e presente: evoluzione e ipotesi di comparazione, in «Annali della Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università degli studi di Sassari», 2003-2005.

[44] Cfr. G. Sartori, Cosa è “propaganda” ?, in «Rassegna italiana di sociologia», IV, 1962, pp. 60-73.


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