Cronaca di un cappotto annunciato

Da Pietroinvernizzi

Sabato ero incasinato da non crederci. Quindi stanco morto la sera decido che il giorno dopo devo assolutamente riposare un po’: sveglia alle 6 e via a macinare chilometri con una canna in mano. Ma dove? E con quale obiettivo? I lucci, anche se in Lombardia è ancora aperto sarebbe meglio lasciarli stare (e poi comunque non si fanno prendere facilmente…), i cavedani non mi vanno e di andare in riserva invernale non se ne parla nemmeno.
Decido che potrei provare ad aspi anche se non conosco spot, pesce e tecnica se non a livello teorico. Ma da qualche parte dovrò pur partire! Scrivo a Mario che dopo due minuti mi descrive i primi rudimenti per insidiare questo alloctono. Domenica quindi mi lancio nell’oscurità per raggiungere i luoghi indicati. Tanta nebbia e tanto freddo in questa porzione di landa padana ma mi scaldo al pensiero che a leggere i pro dell’aspio questo dovrebbe essere il periodo in cui quelli grossi escono come se piovesse. Infatti piove. Ma giusto per rendere meno ovvio il rimanere in piedi sulle rive fangose.

Quando arrivo sul grande fiume tutto è immobile, ovattato, silenzioso. Purtroppo però dura poco, pochissimo. Qualche colpo di fucile sparato in rapida successione rompe l’idillio della pianura invernale. Mi preparo, scendo al fiume e finisco subito subito in una sorta di sabbie mobili nostrane. In cosa si differenziano da quelle esotiche delle storie di pirati ed esploratori? Che le nostre puzzano da far girare la testa. Appena rotta la superficie, infatti, emanano un afrore a metà tra patate marce e scarti petrolchimici. E io ci sono dentro fino al ginocchio.

Esco dal pantano e ispeziono il fiume alla ricerca dell’attività descritta ma niente di niente. Sul fiume tutto tace, mentre i fucili incrementano l’attività, che diventa a tratti preoccupante: alcune raffiche sembrano più consone a un’operazione militare che a una battuta di caccia. Intanto continuo ad arare l’acqua con lipless e ondulanti. Ferro e porto a riva un buon numero di montature da fondo, pasturatori da lenza e quelli più simpatici di tutti: i sacchetti in rete metallica ripieni di sassi per pasturare. Arriva una nutrita combriccola di fondisti che lancia una quantità imbarazzante di canne. Mi sposto, così magari riesco a ripulire una altro tratto di greto…

Sto pescando molto concentrato sulle mie “passate” finché dei passi veloci richiamano la mia attenzione. Mi giro e un cane mi fissa da due metri di distanza. Terrorizzato dal fatto che possa avermi scambiato per una quaglia troppo cresciuta e sia in punta, cerco velocemente con lo sguardo il suo padrone. Nessuno mi spara e, a ben vedere, il cane non porta nemmeno la targhetta, mi guarda solo per  curiosità. Sollevato ma vagamente innervosito dal clima bellico decido che quello spot mi ha già dato tutto quello che poteva darmi.

Zompo in macchina per andare in un celebre spot, ma quando arrivo vedo che c’è pochissima acqua. Faccio qualche lancio “giusto per” e scambio due chiacchiere con un altro spinner, anche lui a zero. Mi chiama Mario per sapere come sta andando. Gli illustro situazione e prossime mosse. Mi dice che però anche dove voglio andare la situazione potrebbe essere uguale,  ma… Ma aggiunge una cosa che potrebbe svoltare le sorti della pessima giornata:  un amico dello S.C.I. sta raccogliendo uova di marmorata sull’Adda e mi dà il numero di telefono da contattare nel caso volessi andare a seguire la cosa. Certo! Provo subito a chiamare un paio di volte ma risulta irraggiungibile e i miei entusiasmi si raffreddano. Peccato perché mi sarebbe piaciuto moltissimo.

Decido allora di spostarmi dove avevo deciso. Anche lì pesco tanta acqua, mi sposto, cambio esche, scendo la corrente, rovino sui sassi ma il risultato resta invariato. Smetto di pescare leggermente in anticipo per due motivi: la pioggia è tornata a battere e Monica, subdola e infida, mi manda la foto dell’arrosto che ha appena cucinato. Il richiamo a quell’ora è irresistibile. Mi fiondo in autostrada rimuginando vendetta contro l’armata degli aspi.


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