I colloqui di lavoro sono una gran rottura di palle. Se si vuole (ri)cominciare a fare qualcosa, questi sono un ostacolo non indifferente da subire e sorpassare. Per quanto riguarda il sottoscritto, la difficoltà è doppia visto che per raggiungere i luoghi dove si svolgono queste “chiacchierate” non sono ne a un paio di capriole da casa ne facilmente raggiungibili da uno che ancora non ha modo di muoversi in maniera autonoma. L’articolo che sto per scrivendo, vuole narrare le avventure che ho dovuto affrontare per recarmi ad un colloquio a Casale sul Sile presso una ditta che cerca personale da aggiungere a quello attuale. Vedendo l’annuncio su internet, non ho esitato a mandare il mio curriculum vitae per poi sperare in una chiamata per una chiacchierata con i responsabili di questa azienda. Qui sotto, potrai vedere la cartina con il percorso che ho dovuto fare per recarmi al posto in questione.
Da come si vede dalla cartina, il luogo non è lontano e devo dire che con il mezzo pubblico (per il viaggio d’andata non è così proibitivo – anzi – visto che in più o meno 20 minuti si è li. Ma andiamo con ordine: tutto incomincia martedì mattina quando inaspettatamente suona il telefono. Dal numero che appariva sullo schermo non riuscivo a capire chi potesse esserci dall’altra parte della cornetta visto che il prefisso era di un numero di Bologna. Rispondo alla chiamata e dopo un attimo capisco che la chiamata mi arriva grazie al fatto che ho inviato il mio curriculum a questa azienda per un lavoro. Dopo alcune domande della personaggia in questione, arriviamo al succo del discorso che non è altro che un’ora, un giorno ed una data per questo incontro che è fissato per venerdì alle ore 14.30. Subito dopo aver chiuso il telefono, cominciano le paure su come poter tornare a casa nel caso in cui ci fosse un’assunzione visto che gli orari di lavoro non sono così agevoli e la zona non è così servita da Trenitalia ne da La Marca Autoservizi (le corriere blu, tanto per intenderci). Faccio due calcoli: di tre offerte di lavoro presenti per cui ho scritto, una ha un orario part-time (17-21), una full-time (14-22) e un’altra non si sa. Comincio a spulciare ben bene il sito di Trenitalia guardando gli orari del treno che possono fare al caso mio: l’unico treno che mi potrebbe andare bene è quello delle 21:26 (via Mestre) che arriva a Treviso alle 22.33. Per quanto riguarda la corriera, non c’è via di scampo visto che l’ultima verso la mia bella città passa da quelle parti qualche minuto prima delle 20. Ma c’è un altro problema: la stazione del treno, dista circa 3.5 chilometri dal posto in questione, quindi dovrei procurarmi una bicicletta e fare molto esercizio fisico in quanto la pedalata nelle condizioni in cui sono, potrebbe essermi fatale. Le uniche soluzioni per tornare indietro sono queste, altre non cene sono. Abbastanza sconfortato da tutto ciò, penso che dovrò far presente il problema durante il colloquio e sperare che l’intervistatore/ice mi venga in contro, ma non h molte speranze in merito. Arriva dunque venerdì: la partenza da casa è fissata per le 13.06 da casa per dirigermi verso la stazione delle corriere dove mi aspetta il bus delle 13.45 in direzione Portegrandi (non lontanissimo da Jesolo). Arrivo alla biglietteria e senza indugi chiedo un biglietto di andata e di ritorno per Casale sul Sile per un costo complessivo di 4.5 €. Salgo in corriera, timbro il biglietto e chiedo gentilmente all’autista che si sta facendo bellamente i fatti suoi con un fiammante iPhone 4, informazioni circa la fermata più vicina all’azienda in cui mi devo recare: il soggetto mi dice molto gentilmente che mi dirà lui quando scendere e così facendo, inizia il viaggio in perfetta puntualità. Dopo circa venti minuti di viaggio, l’autista mi fa cenno che la fermata dopo quella che abbiamo passato è la mia: la meta si sta avvicinando e il colloquio è ormai ad un passo..come al solito incomincia l’agitazione ed allo stesso tempo la curiosità circa quello che potrebbe venire fuori da questo incontro. Scendo dalla corriera e mi dirigo al posto; mi presento e dico alla segretaria alla reception di avere un colloquio di lavoro per le 14.30; l’impiegata mi fa accomodare e dopo 15 minuti circa di snervante attesa ecco che incomincia tutto. Il colloquio non è niente di eccezionale, un colloquio classico insomma dove mi viene chiesto quello che ho fatto e che non ho fatto, dove mi si spiega che cosa dovrei fare nell’eventualità venissi preso e tutto quello che si può dire in un classico colloquio di lavoro. Le offerte che mi sono state proposte sono quelle che ho descritto qualche riga fa e in più mi vengono spiegate le mansioni della figura professionale di cui non si sapeva l’orari odi lavoro. Durante la chiacchierata emerso che per quel tipo di lavoro è previsto un turno di mattina dalle 11 alle 13 ed uno pomeridiano dalle 16 alle 20. Conveniamo entrambi che vista la situazione degli orari e dei mezzi possa essere la soluzione migliore. Mi viene però detto che per quella figura, il contratto sarebbe a tempo determinato in quanto sarebbe solo per una sostituzione maternità. Senza nessun dubbio, ho risposto che mi andrebbe comunque bene e che il fatto di un contratto part-time non mi sarebbe un problema. Dopo più o meno un quarto d’ora di chiacchierata, mi viene chiesto di andare in un’altra stanza dove c’è un computer e per fare una prova di “abilità” e velocità di scrittura alla tastiera. La prova se così vogliamo chiamarla non mi da particolari problemi e in un tempo relativamente breve, stampo il tutto e consegno il foglio alla mia “intervistatrice”. Fine del colloquio, saluto e ringrazio rimando d’accordo di rimanere in attesa di una chiamata per sapere ‘esito positivo o negativo dell’incontro. Da qui comincia la vera e propria avventura per il ritorno a casa. Esco dall’edificio e mi dirigo verso la fermata della corriera: giusto 15 secondi dopo, ecco che in lontananza vedo un mezzo doppio di colore blu sfrecciare in direzione Treviso. Si, è proprio lei la corriera che dovevo prendere. Bestemmiando in qualsiasi lingua, con le mani in testa mi dirigo sconsolato verso la fermata e arrivando vedo che la corriera dopo è segnata un’ora e tre quarti più tardi; senza alcun dubbio, mi metto in marcia verso la stazione dei treni di Quarto d’Altino che come detto prima, dista 3,5 km da dove sono. Comincio a camminare e la temperatura non è così bassa come speravo… il problema è che furbo come sono, ho addosso un giubbotto che va bene quando le temperature sono di 6/7 gradi più basse. Con il sole che picchia abbastanza forte per essere febbraio e il montone sotto forma di giubbotto, formo sopra di me un microclima degno della miglior foresta tropicale brasiliana dove qualsiasi tipo di muschio (anche il più raro) crescerebbe. Soluzioni non ce ne sono: togliere il giubbotto sarebbe stato un suicidio visto che ha un volume non inferiore al mio, e un suicidio in quanto se fosse arrivata un attimo d’aria mi avrebbe preso sicuramente preso il mio evidente quanto fragile stomaco con le conseguenza che chiaramente puoi immaginare. La strada è lunghissima, passo il cartello che divide le province di Treviso e Venezia e mi dirigo verso il centro di Quarto d’Altino: il caldo ormai fa parte di me e non riesco a togliermelo di dosso. Sono anche un attimo spaesato in quanto quella strada a piedi non l’avevo mai fatta e ovviamente a quell’ora non c’è un cane a cui chiedere informazioni. Continuo imperterrito verso il centro del paese e più mi avvicino più il genere umano si presenta davanti ai miei occhi: decido di chiedere informazioni ad un signore che mi dice di andare ancora dritto per qualche minuto e poi girare a destra. Lo ringrazio calorosamente vista la mia temperatura e continuo a camminare. Finalmente trovo la tanto agoniata via Stazione ma di binari e stazioni non ne vedo. La strada sembra anche questa infinita e non capendo come possa esserci una stazione nelle vicinanze chiedo ancora delucidazioni ad un vecchio di passaggio che mi indica la retta via che mi rimane per raggiungere la meta. Sono 5 minuti di strada in più a piedi e finalmente scorgo la sagoma della stazione; ma c’è un altro problema: il biglietto. Visto che da Treviso pensavo di andare e di tornare con la corriera, ovviamente non ho pensato all’eventualità di perdere la corriera e di prendere sto benedetto treno e ho fatto un biglietto andata e ritorno. Arrivo alla stazione e sento l’autoparlante che annuncia l’arrivo del regionale delle 16:52 per Mestre, ossia quello che dovevo prendere io. Cerco una macchinetta per fare i biglietti e ne trovo ben 2… ovviamente fuori uso con tanto di nastro rosso che forma una x in pieno stile Trenitalia. Decido di salire in treno senza biglietto e nel caso in cui si fosse presentato il controllore avrei detto delle macchinette rotte. Fortuna vuole che mentre arrivo al binario, ci sia il treno li ad aspettarmi a porte aperte con il capotreno che mi guarda. Colgo l’occasione per far presente di essere senza biglietto a causa delle macchinette rotte e lui mi dice di salire senza problemi e che il biglietto verrà fatto da lui. Rassicurato dal capo treno, lo seguo e mi siedo pensando che in tasca ho solo 5€ e che se dovesse esserci la maggiorazione ce l’avrei avuta nel tunnel (per non dire nel culo, ecco). Il capo treno mi chiede dove dovevo andare e rispondendo Treviso, cala il gelo per qualche secondo. Il personaggio griffato Trenitalia scrive, scrive ed ancora scrive fino a che non arriva il verdetto: 2,95 €; con somma gioia pago il biglietto e mi godo quel poco di viaggio che mi rimane fino alla tappa intermedia di Mestre tentando di far sparire i muschi e i licheni che avevo fatto crescere grazie alla temperatura tropicale e al giubbotto da polo nord. Il primo treno è andato, scendo alla stazione mestrina ed anche qui il colpo di fortuna di arrivare in contemporanea con l’interregionale verso Trieste delle 17:16: non mi resta che andare nel sottopasso e andare verso il terzo binario. Ecco il treno che arriva, mi piazzo davanti ad una porta e salgo sul treno e noto che ci sono dei posti vuoti nella carrozza in cui sono appena entrato e i posti sulle porte stranamente pieni. Non curante di tutto ciò, non esito nel sedermi su un posto lasciato li incustodito e il viaggio (chiamarlo viaggio è un pochino troppo, lo so) continua. Mi rendo conto che il treno appena preso è un interregionale quindi non ferma in quel di Mogliano Veneto e contento di tutto ciò mi vedo già a casa spaparanzato sul divano se non fosse per l’arrivo di un altro controllore che già dal fondo della carrozza comincia a distribuire multe come Babbo Natale fa con le caramelle ai bambini durante le feste. Io sotto questo punto di vista non ho alcun problema perché il biglietto ce l’ho ma non ho notato un piccolo particolare: sono in prima classe. Ecco che capisco il perché ci fossero i posti fra uno scompartimento e l’altro pieni come un uovo e la carrozza in cui ero io era quasi vuota. Non ho alcuna voglia di alzarmi e se per caso il controllore dovesse giustamente farmi notare che devo alzare le mie pesanti terga a causa del biglietto non corretto, non farei alcuna opposizione e me ne andrei… ma così non è stato: il controllore mi guarda e non si sa perché mi saluta e non mi chiede di porgere il biglietto e va verso il passeggero davanti a me che per sua sfortuna ha preso il treno sbagliato e ha con se il biglietto sbagliato per Trieste) di prima classe visto che con quello che aveva poteva fare (parole del controllore) 62 km in meno rispetto a quello pagato con quel biglietto e pagare 12,37€ in più aggiungendo che è stato fortunato visto che nel Veneto, la sovrattassa del biglietto è di soli 5€ mentre nel Friuli la sovrattassa arriva a 50€. Io me ne sono stato zitto zitto fino a quando non siamo arrivati alla stazione di Mogliano Veneto, dove la parte onesta di me ha pensato che forse sarebbe stato meglio alzare le chiappe dalla prima classe per evitare la classica figura di escremento del pezzente che va in prima classe con un biglietto di seconda, oltretutto per un viaggio di 20 minuti. Così è stato: prima che il treno ripartisse mi sono alzato e mi sono diretto verso le porte dove a farmi compagnia c’era una gnoccolona da paura e 3 loschi personaggi con chiaro accento balcanico. Facendo finta di niente, tengo d’occhio i tre personaggi perché non si sa mai ed uno dei tre comincia a fissarmi: lo guardo, e faccio una volta, la seconda è ancora li che mi fissa, e alla terza faccio un cenno con la testa e con un sorriso come per dire “mbeh, vuoi un autografo con dedica o giri cortesemente il tuo sguardo da cernia morta altrove?” Il losco, comincia anche lui a ridere e continua a parlare con i suoi due amici con questo accento foresto con cui sicuramente mi ha ricoperto di complimenti ed onoreficenze, ma fortunatamente finisce tutto li. Arrivo finalmente a Treviso e riesco anche qui con un colpo di fortuna a prendere subito il bus che dopo 15 minuti mi fa scendere dritto dritto a casa.
Insomma, il colloquio non so come sia andato realmente, ma una cosa è certa: entro due settimane saprò l’esito o positivo o negativo. Resta solo che incrociare le dita. E un’altra avventura si è conclusa nel migliori dei modi, per adesso. Spero solo che arrivi il tanto atteso lieto fine.