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Cronaca di un lunedì limpido e ventoso

Creato il 17 febbraio 2011 da Pioggiadinote

Cronaca di un lunedì limpido e ventoso

Il cuore è una scalinata ad elica, alla base della quale un grande vaso ospita un imponente rigoglioso ficus. La luce che entra dalle grandi finestre affacciate sul parco avvolge ogni forma e inonda ogni spazio, seguendo i contorni curvilinei delle pareti della struttura centrale. Linee curve come Perfezione esige, superba organizzazione come Lunga Tradizione insegna. Hanno scelto di esser circondati da pareti curvilinee e vetrate e luce e bellezza, mentre la Tradizione saluta da dietro teche di vetro, sotto forma di suppellettile appartenuta ad illustri ballerini. E viene raccontata da qualche discreto pannello, ad usum dei frequentatori degli spazi di passaggio o d’attesa, perciò anche dei pianisti aspiranti ad un posto nell’organico della Scuola di Danza più antica e famosa al mondo.

Ho passeggiato nel parco André Malraux, godendo del magnifico cielo brillante e del suo specchiarsi nel lago perfetto e annusato l’aria fresca e ascoltato il silenzio sopra il brusio lontano della città fervente. Ho invidiato i parigini che raggiungevano i loro posti di lavoro attraversando quel parco, vestiti dei loro cappotti di mezza stagione.

L’attesa di mettersi alla prova in qualcosa che si ritiene di conoscere bene non è poi così ansiosa; lo è in senso positivo. Quella vaga sicurezza si eclissa non appena si scopre che dietro quella porta non si apre una normale sala da ballo ma un teatro sapientemente illuminato, i giudici in gran numero tutti schierati a metà della ripida platea in penombra e irraggiungibili, una piccola classe con maître sul palcoscenico, un pianoforte sotto al palco, perciò nel punto più vicino al centro della terra e più lontano dal gotha dei presenti. Solo un bonjour, peraltro una mia iniziativa cui hanno risposto alcuni dei Sommi, ha rotto il silenzio in cui tutto galleggiava; e i miei passi, ancora sicuri ma già meno di prima. E questo era il primo round. Il secondo round da una parte mi vedeva  meno ansiosa, perché tutto sommato soddisfatta di aver superato il precedente. Ma d’altra parte anche di più, per motivi futili come il calo di zuccheri - benché fossero trascorse quattro ore non avevamo ottenuto il permesso di prenderci un caffé, non c’era tempo – e meno futili, come la consapevolezza di essermi preparata molto in fretta e la sensazione che i miei tendini non fossero a posto. Il secondo round è iniziato, come vita da ring insegna, con il suono della clochette, che il mio alabardiere ha interpretato come il momento in cui toccava a me. E quindi mi ha regalmente aperto il portale ed ha annunciato il mio nome, benché di sicuro i signori là dentro dovessero già conoscerlo, perché avevano l’elenco contenuto in una cartellina azzurra come il cielo del mattino, poi perché avevano deciso loro, poco prima, di mandarmi al secondo round e infine perché avevano anche una segretaria che sedeva vicino all’entrata dei malcapitati e di sicuro sapeva tutto.

Io comunque non giocavo in casa, e lo sapevo. Alla fine di quella giornata così estenuante, ho pensato che  il mio francese stava già riaffiorando e che non c’era più da aver paura. Ho poi risolto che avrei potuto anche farcela e che andava benissimo così.

 

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