Dopo le emozioni del royal wedding ci vogliamo prendere una pausa con una bella storia d’amore-passione-morte come si usava tanto all’epoca delle signorie italiane? Ecco la vicenda triste e romantica di Laura Malatesta, detta Parisina, che bella era bella, ma anche leggermente sconsiderata, poiché, conoscendo il carattere del marito, forse ci doveva pensare su due volte a farsi travolgere dalla passione.
Far convivere sotto lo stesso tetto una moglie giovanissima e seducente e un figlio di primo letto, quasi coetaneo della matrigna, affascinante e focoso non è una idea propriamente brillante. Un esperimento simile l’aveva tentato anche l’anziano Gianciotto Malatesta il quale, fidandosi del fratello Paolo gli aveva affidato la cura e l’intrattenimento della giovane moglie Francesca confinata nel castello di Gradara. Il resto è storia, anzi cronaca nera, anzi letteratura, visto che i due amanti trucidati dal marito ingannato e furioso, diventano i protagonisti del passo più celebre dell’Inferno dantesco. Un secolo e mezzo dopo, praticamente nella stessa famiglia, il dramma si ripete e ancora una volta la vicenda ha passaggi incerti, particolari raccontati in modo sempre diverso ed è difficile distinguere fra la fantasia e la realtà. Certo è che il 20 aprile 1418 Laura Malatesta sposa il marchese Niccolò III d’Este. Lui ha 35 anni, lei 15 e secondo Matteo Bandello “era la marchesana bellissima e vaga e così baldanzosa e lasciva, con due occhi che amorosamente in capo le lampeggiavano, che se Fedra così bella e leggiadra fosse stata io porto ferma credenza che avrebbe ai suoi piaceri il suo amante Ippolito piegato”. Uno storico ottocentesco che studia tutti i suoi possibili ritratti trae la conclusione che Laura, detta la Parisina, è decisamente molto bella. La giovane moglie di Niccolò d’Este è figlia di Andrea Malatesta signore di Cesena e di Lucrezia Ordelaffi la quale, solo pochi giorni dopo la nascita di Laura, viene avvelenata dal suo stesso padre Cecco signore di Forlì. Un destino di tragedia sembra perseguitare la bambina che presto orfana di entrambi i genitori, viene affidata allo zio Carlo Malatesta signore di Rimini, il quale la promette in moglie al ferrarese per cementare l’alleanza fra i due stati. Niccolò, vedovo da molti anni, non è un santo, anzi le sue imprese amorose sono molto note in Italia; l’esuberante marchese ha varie amanti ufficiali e non si fa mancare le distrazioni occasionali, collezionando in tutto una trentina di figli fra naturali e legittimi. Ugo è uno dei rampolli “irregolari” di Niccolò, figlio dell’amatissima Stella dell’Assassino, candidato a prendere le redini della signoria. Il ragazzo ha quasi la stessa età di Parisina che, si dice, ha incontrato a Rimini, innamorandosene perdutamente e chiedendola subito in moglie. Purtroppo quando il padre la vede, in occasione delle trattative matrimoniali, manda tutto all’aria e tiene la bella Laura per sé. Secondo un’altra versione fra matrigna e figliastro non corre buon sangue e un lungo viaggio verso il Santuario di Loreto, organizzato dallo stesso Niccolò, serve a chiarire i malintesi e farli riconciliare, forse anche troppo. Altri cronisti raccontano come, scoppiata la peste, Parisina si sia rifugiata lontano dalla malsana Ferrara e che ad Ugo il padre abbia dato l’incarico di fungere da guardiano della matrigna. Sta di fatto che i due diventano amanti ma ci vuole poco perché un premuroso cortigiano, accortosi della tresca, si affretti ad informare il marchese. Niccolò, volendosi accertare di persona, fa praticare un foro sul soffitto della camera dove avvengono gli incontri. Quello che vede basta a condannarli a morte. Gli sfortunati amanti vengono decapitati il 21 maggio 1425 dopo un processo durante il quale il marchese di Ferrara, sconvolto più per il tradimento del figlio prediletto che per quello della moglie, rifiuta il perdono e urla “abbian l’istesso ceppo sotto l’istessa scure e i due sangui faccian l’istessa pozza”. Sbollita l’ira e assalito dal rimorso, Niccolò III, per giustificare la sua vendetta mascherandola da azione volta a ristabilire una morale che a Ferrara in quel periodo si era un po’ allenta, decreta la condanna a morte per tutte le adultere. La vicenda ha ispirato nei secoli poeti e musicisti, da Lope de Vega e Byron, da Donizetti a Mascagni, fino a D’Annunzio.