È di oltre tredici miliardi il conto dei danni del terremoto che nel mese di maggio ha messo in ginocchio l’Emilia Romagna e parte di Lombardia e Veneto.
Una serie di violente scosse nella notte del 20 maggio (5.9 di magnitudo Richter) e poi la mattina del 29 maggio hanno colpito la zona di Finale Emilia e di Cavezzo radendo al suolo diverse abitazioni e provocando 26 vittime e numerosi sfollati (al momento sono ancora 8.729 ). Proseguono le verifiche per gli edifici che hanno subito danni. Quelle fatte dalla protezione civile sono state già oltre 35mila: il 36,1% degli edifici è risultato immediatamente agibile, il 22,5% temporaneamente o parzialmente inagibile, il 35,7% inagibile e il 5,7% inagibile per rischio esterno, ossia a causa di elementi esterni pericolanti il cui crollo potrebbe interessare l’edificio. Quelle invece effettuate dai Vigili del Fuoco nella sola Emilia Romagna sono state 56.880: poco meno di 45mila si sono concluse con la dichiarazione di agibilità, mentre altre 12mila, hanno invece richiesto una verifica più approfondita.
Le aziende hanno subito danni per 350 milioni. Si tratta, soprattutto, di danni alle strutture e di spese necessarie per l’adeguamento antisismico dei capannoni, visto che molti degli edifici coinvolti erano stati costruiti quando la zona non era considerata a rischio sismico.
Per chi va oggi nei luoghi del terremoto – io ci sono appena stata – e chiede alle persone cos’ hanno provato, subito e sentito, si sente rispondere con una parola sola : un suono.Sì, perché il terremoto non è solo distruzione di case, aziende, scuole, chiese, persone e pensieri . Il terremoto si presenta con un suono inequivocabile che nasce dal ventre del mondo e in un attimo spazza via tutto quello che è cedibile alla natura. Dopo l’agghiacciante musica di morte avviene tutto ciò che hai solo sentito raccontare da persone che non conosci e che guardavi distrattamente alla televisione durante l’orario di cena. Ci si ritrova a ballare sulle note di un disco che salta, che non smette di suonare , improvvisamente hai le mani nella melma , nel buio assoluto, dove cerchi affannosamente i figli, la gente cara, la tua memoria. Cadono come inutili barriere tutti gli orpelli della tua esistenza e della tua mente.
Ti abbracci, incominci a spalare, culli dolcemente i bambini. Scopri che la loro ferita non la faranno vedere subito, ma la assorbiranno lentamente, scoprendone il dolore poco alla volta. Ognuno la curerà a modo suo con l’aiuto degli affetti e la guarirà con l’andare del tempo. Ti volti. Un bambino non vuole vedere e sentire. Urla , piange, balbetta :”C’è il terremoto nonna, ho paura , fallo smettere”…Un ragazzo guarda il foro dove prima c’era la sua scuola . Non inizierà le lezioni come gli altri studenti ma la guarda, capisci che vuole rivedere i suoi compagni con i quali ha perso il contatto da quel maledetto 20 Maggio. Ti racconta che dovevano fare la festa finale, avevano preparato tutto per la Maestra che andava in pensione, ma il suono è arrivato, con lui la loro gioia e il loro entusiasmo è diventato un’eco.
Sono tanti i ragazzi in Emilia che portano una maglietta :”Io non crollo” e questo grazie alla gente che è accorsa e si è prodigata per far riprendere quella normalità che per noi è noia e che per loro è vita. L’ordinaria quotidianità, quella di accompagnare i bambini a scuola, lavorare, fare la spesa , pagare le bollette. Si sono attivati con il cuore, con le mani, con la testa. Hanno creato immediatamente, grazie alla Protezione Civile, una tendopoli dove sono stati accolte le persone che non hanno trovato più le loro sicurezze , le loro copertine di Linus dove coprirsi quando in certi momenti della giornata hai voglia di strofinarti e di sentirne l’ odore. E nella tendopoli la vita cambia. Si riproducono le piazze, le vie , il frusciare dei passi ma sai che non sono quelle dove hai vissuto. Il tempo diventa un ritmo che scandisce le mansioni e le tende coprono la vita delle parole. La gente ha paura di ritornare a casa, perché sa che esistono forze più potenti di quelle umane, gestibili e controllabili. Ed ecco i volontari, magnifici angeli che non hanno perso un momento per organizzare centri per bambini ancora fermi nei loro banchi di scuola, anziani che non vogliono e non possono rimanere soli, persone straniere che hanno lasciato la vita in quei capannoni al posto di qualcuno di noi.
Arrivano le magliette rosse di ”Insieme la scuola non crolla” , genitori a cui non si deve insegnare cos’è la famiglia allargata e differenze di etnia, cultura, religione e credo politico. Arrivano anche i sindaci che non portano fasce inutili ma vengono a chiedere cosa possono fare di più, il perché quel bambino piange in un angolo, che ti porgono una parola in cui puoi veramente contare. Arriva il sindacato, il centro sociale, arriva chi ha qualcosa da donare. Non sembra di vivere in quell’Italia dove il proprio orticello è concimato dalle proprie intenzioni e dai propri interessi, dove la menzogna diventa legge e dove chi parla più forte è il vincitore. E’quell’ Italia che ci raccontavano i nostri padri , dove non ci si arrende, ci si rimbocca le maniche e dove l’altro è uguale a te .I partigiani di ogni giorno, che portano la bandiera non come abbellimento ma come valore reale nelle loro mani . Mani che sanno scavare, pulire, piantare, e che sanno asciugare lacrime orgogliose che scendono di nascosto, quando nessuno ti vede.Solo una cosa non potranno fare quelle mani: scongiurare quel suono .Quel suono che rimarrà nella loro memoria, scandendone i giorni e che ha insegnato loro il vero segreto della vita.
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