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Cronache di Surakhis 30: Sport e politica.

Creato il 01 luglio 2010 da Enricobo2

Era proprio di cattivo umore. Paularius si forbì la bocca con la manica del mantello di raso rosso della confraternita e spinse da parte con rabbia il piatto ancora colmo delle rosee carni di un giovane knut, un tripode delle paludi, quasi estinto, che pure gli piaceva moltissimo e che gli procurava un cacciatore di frodo dell'est. I bocconi saporiti che la crema spessa rendeva ancora più morbidi, continuavano ad andargli di traverso e nemmeno il prezioso vino invecchiato nelle antiche botti di un domaine, che aveva appena confiscato ad un piccolo imprenditore che non voleva pagare il pizzo, stabilito dall'ultima legge, riusciva a mandarglielo giù. I giornali si erano scatenati. Dopo che la squadra di Surakhis era stata eliminata dal campionato galattico di spaddikh, non la smettevano più di battere la grancassa. D'accordo, erano arrivati ultimi del girone più facile e a niente era servito giustiziare il capitano subito dopo l'ultima partita. Nonostante robuste stecche arrivate direttamente dal ministero della corruzione, gli avversari non si erano piegati e tutto era andato storto. Anche gli altri allenatori surakhiani sparsi nella galassia erano stati giudicati in modo pessimo ed addirittura gli otto arbitri che rappresentavano il pianeta, dopo l'ennesima svista, abbastanza veniale per la verità, in quanto non avevano segnalato la coltellata data da un giocatore di Rigel VI al portiere avversario, affermando che si era suicidato per la vergogna di non aver fermato la palla su un facile tiro avversario, mentre sugli schermi si vedeva chiaramente che il giudice di porta lo tratteneva per un piede, erano stati rispediti a casa. Tutto il movimento era allo sfascio, ma da qui a dire che questo era lo specchio del pianeta, una civiltà morente basata sulla corruzione, priva di slanci vitali, in cui erano state anche chiuse le scuole, inutili per la verità, dato che i pochi giovani prodotti venivano per la maggior parte dati in schiavitù su altri pianeti, un impero ad un passo dal crollo definitivo, ce ne correva. Quei maledetti giornalisti, pagati dai nemici dell'imperatore, facevano a gara per stravolgere le cose. Certo quasi tutte le aziende avevano chiuso, ma loro lo attribuivano alla mancanza di provvedimenti contro la crisi universale, invece che al fatto che gli schiavi si erano rifiutati di lavorare cibandosi a settimane alterne e rinunciando ad almeno tre delle sei ore di sonno che avevano estorto nei tempi delle vacche grasse. Quei dormiglioni. Adesso potevano dormire in pace. Lui aveva chiuso la miniera sigillandoli dentro, così aveva evitato anche tanti clamori e proteste inutili. Pero non era giusto continuare a dire che questo pianeta era in mano ad una classe di vecchi corrotti e corruttori che non volevano cedere, mandando tutto in malora. Allontanò con un gesto il servo che gli portava i fanciulli per il suo sollazzo serale, si cambiò il mantello e uscì. Quella sera c'era la cerimonia di insediamento del nuovo governatore. Arrivò disteso sulla barella, con i tubi delle macchine che lo tenevano in vita che scendevano graziosamente di fianco a lui. Aveva 146 anni e aveva vinto facilmente l'elezione; intanto era più anziano di quattro mesi del suo concorrente e poi era bastato promettere un giro di vite sui clandestini andromediani con una stretta sulla sicurezza, così avrebbero potuto far tacere, applicando la norma, anche tutti quei fastidiosi giornalisti alfieri del pessimismo.


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