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Cronache di Surakhis 49: I segreti del tempio.

Creato il 29 maggio 2012 da Enricobo2
Il monaco si strinse ancora di più la lunga tonaca nera attorno alla gola. La temperatura era più rigida del solito in quella tarda primavera, riempiendogli di brividi le spalle incurvate sotto il peso della colpa. Il pesante e largo cappuccio gli scese lento sul volto già completamente nascosto mentre si appiattiva dietro l'alta colonna di marmo screziato dai capitelli paurosi. Rimase immobile come se fosse parte stessa della parete; quasi non respirava cercando di cogliere ancora il lieve fruscio che le sue orecchie attente avevano avvertito nel buio notturno che avvolgeva il tempio deserto. Sotto la tela grezza del saio, il cilicio che si autoimponeva, cosciente della gravità dei peccati che stava commettendo, stringeva contro il magro costato il fascio di carte segrete che bruciavano sulla sua pelle martoriata più degli uncini conficcati profondamente nella carne. Rimase immobile per un tempo che gli parve infinito, poi lentamente cercando di farsi parte del buio che lo circondava, cominciò a scivolare verso l'ingresso laterale, quello usato dai Questuantes, le cui prima avvisaglie sarebbero arrivate solo dopo qualche ora, non appena il disco dorato dell'astro avesse iniziato ad illuminare l'aria.
Ma era ancora troppo presto anche se le tre lune di Surakhis erano già scivolate lentamente dietro la curva delle Colline odorose. Solo la serie di lampi subliminali che irradiava il tabernaculum al centro del tempio lanciando la sua raggiera di onde di controllo cerebrale che obbligava chi transitava nelle vicinanze ad entrare con un impulso irresistibile a donare, emanavano una luce fioca che faceva intravedere le sagome degli inginocchiatoi penitenziali posti davanti alla buca delle offerte. Le piastre di stimolazione che distribuivano scariche elettriche randomizzate se le offerte rimanevano al di sotto dei limiti accettati, invece rimanevano nascoste malignamente nell'oscurità ovattata. Mentre si avvicinava verso l'uscita, tese il più possibile i sensi periferici e tentò di mettere completamente a fuoco il suo terzo occhio, la cui capacità percettiva tante volte lo aveva aiutato ad evitare gli agguati notturni. Era Aldebariano per parte di madre e questo vantaggio genetico gli era rimasto seminascosto ed invisibile, né lui ne aveva mai fatto parola durante il lungo addestramento subito in seminario.
Era ormai una abitudine inconscia esercitare quell'ascolto interiore prima di mescolarsi ai gruppi di novizi, scartando subito quelli dove avvertiva che stava abbattendosi la serie di feroci sevizie a cui erano sottoposti dagli anziani, usate per piegare le volontà, con quelle sottomissioni vergognose,  quei giochi pesanti che finivano spesso con la morte di qualcuno. Meno della metà arrivavano vivi all'ordinazione e tutti dovevano essere passati almeno una volta nella cella di riposo del Sommo Sacerdote. La sua capacità mimetica lo aveva salvato spesso e grazie a quella era salito così in fretta nelle gerarchie fino a diventarne l'uomo di fiducia. Ma quando era venuto a conoscenza di quei segreti così orribili, la sua fede gli aveva imposto di fare arrivare i documenti necessari a chi li avrebbe usati nel modo giusto. Salvare La Congrega, questo era il suo compito e a questo non avrebbe potuto sottrarsi. Un obbligo morale  impostogli dal suo credo, talmente radicato in lui, da fargli poco considerare la signoria di quel pianetino periferico che gli era stata promessa in cambio, assieme al dominio sessuale assoluto sui suoi abitanti.
Ma i pensieri di queste future delizie, premio alla sua opera non dovevano distrarlo dallo svolgersi dell'operazione. I documenti dovevano arrivare a destino quella notte stessa. Era necessario per salvare la purezza della Congrega. La mano ossuta sfiorò il battente mobile della porta che scivolò sulle guide silenziosa, aprendogli il passaggio verso l'esterno. L'aria fredda della notte percosse le sue guance incavate mentre assaporava il piacere dell'opera quasi conclusa. Nello stesso istante, senza neppure dargli il tempo di sorprendersi, la rete captatoria calò su di lui dall'alto avviluppandolo completamente. In un istante si ritrovò stretto tra le corde, prigioniero senza speranza di fuga, mentre i Sardar nelle loro uniformi antiche, ridevano di gusto puntandogli sul petto le alabarde magnetiche che lo immobilizzarono completamente. 
Dalle ombre della notte, Paularius uscì silenzioso. Incombeva sul monaco come una montagna. Le corde che lo strizzavano lo facevano apparire ancora più piccolo. Lo sguardo irridente gli fece capire che era finita. Paularius staccò il generatore di onde di blocco extrasensoriale che avevano ingannato il monaco e lo sollevò da terra. "Vieni ragazzo, che ne hai di cose da raccontarci. Il Sommo Sacerdote ti aspetta nella camera delle Delizie. Vedrai che ti divertirai anche tu." I Sardar continuarono a sghignazzare, indicando la striscia di bava che era rimasta sul terreno mentre trascinavano via il corpo immobile. Quei lumacoidi aldebariani spurgavano di colpo quando capivano che era finita. Le prime luci dell'alba inverdivano l'aria dal delicato sentore di cloro. Gli sbuffi delle ciminiere delle centrali a merda lontane nella pianura, cominciavano ad offuscare il cielo.
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