Le immagini parlano da sole. Tre minuti, tre minuti che dovrebbero essere strazianti per chi come noi quelle immagini le guarda ovattato nella propria abitazione, dietro quegli schermi che di emozioni difficilmente ne trasmettono.
Il video diffuso da Repubblica è tutto questo.
Quel barcone che lasciato al proprio destino ha accettato il mare come una nuova terra, e quei corpi che fidandosi del destino, quello per loro troppo crudele, si son lasciati andare. Corpi una volta pensanti, corpi che speravano in un futuro migliore ma che il mare ha richiesto per sé. Corpi che placidi ora fanno parte del mare, quel mare che doveva semplicemente essere un percorso come tanti, magari ugualmente difficoltoso a quelli fatti sulla terra prima di giungere a quella barca. Sì perché il mare è l’ultimo percorso dopo un’intera vita, o non vita, fatta di speranze e di stenti. Poi dall’altra parte speri che ci siano persone come te, che magari capiscono la sofferenza, magari intuiscono da cosa scappi, del perché scappi. Magari sogni già quel futuro che i tuoi genitori, pagando quella somma raccolta per tutta una vita di stenti per quell’ultimo viaggio, speravano si esaudisse.
Ma c’è il mare, e ci sono gli uomini, quelli dall’altra parte. Quelli dal colore bianco,diverso dal tuo, ma a te non importa perché sai che andrà bene, perché i sacrifici che farai nel “nuovo mondo” non saranno niente in confronto alla guerra da cui sei scappato, dalla fame che hai patito e dalla vergogna a cui pensi sempre. La vergogna di indossare quel corpo martoriato, la vergogna di appartenere all’altra parte del mondo, quella che dovrebbe essere considerata vittima ma che, e non te lo sai spiegare, diventa in quei paesi lontani sempre la colpevole. Tu scappi, ed il resto non conta, forse per loro conta, loro che non sanno da cosa fuggi e non vivono la guerra come te e la guardano solo da un apparecchio che al tuo paese, addirittura, a stento ti puoi permettere.
Allora non riesci a capire tutta questa differenza. Perché una guerra e perché dall’altra parte ci guardano impietriti, senza aiutarci, come se fossimo portatori di tragedie. Sai che porti solo la tua vita, le tue speranze, la tua dignità e non quello da cui fuggi. La guerra rimane dove è sempre stata, ripeti a te stesso che tu stai solo fuggendo sperando di salvarti. E mentre pensi tutto questo sei già in viaggio, stipato accanto a tanti come te, che hanno paura, quella così simile alla tua. Senti che forse non lo meriti, ma sta accadendo davvero. Un destino simile per tutti. Quella paura che gli altri provano su quella barca sembra corromperti, si diffonde anche dentro te. Sfiori gli altri e senti che sarà difficile superarla. La paura di morire e di non essere accettato e di aver rischiato troppo. Il tempo passa senza cibo, e senza acqua. Ma tu hai fiducia degli altri. Perché dovrebbero essere diversi? Sono esseri umani come te. Hanno patito anche loro la fame nella loro storia. Poi pensi a tuo cugino, a tuo zio, ai tuoi fratelli di cui non sai più niente. Erano partiti anche loro tempo fa, ma non si sono fatti più vivi. Quella desolazione ti attanaglia e non ti lascia.
Mentre la barca lentamente si inabissa pensi a quel futuro che tanto desideravi. Volevi semplicemente essere felice e mentre pensi le forze ti vengono meno e capisci che non hai mai nemmeno avuto il tempo di imparare a nuotare perché quell’acqua a stento l’hai vista nella tua vita. Acqua per bere, quindi figuriamoci per nuotare. Affondi e chiudi gli occhi mentre la tua storia, e tutti quei pensieri affondano con te mentre il mondo continua a guardarti passare come polvere nell’aria. Non ti afferra perché non ti vede, sei invisibile ai loro occhi ed intanto pensi di non meritarla quella fine.
Quante storie ci sono passate accanto, quante ancora ne devono passare e si devono chiudere in questo modo per accorgerci che pian piano stiamo perdendo il senso della morte. Quella morte che poi, in fondo, tutti temiamo ma che non sappiamo come evitare. La morte ha un’unica nemica, la felicità. Se sei stato felice, sempre felice, accetti la morte serenamente. Ma se come loro, lotti dal primo momento in cui sei nato, per combattere per quella felicità, la morte non l’accetti e cerchi di combatterla ogni volta, fino a quando ti lasci andare perché non c’è più speranza dentro di te.
Eppure a noi, quelli dall’altra parte del mondo, la morte, quelle morti non ci smuovono più, ogni giorno ne muoiono a migliaia nel “Mare Nostrum”. Sono accanto a noi, nel mare senza saperlo, perché in quel mare sono stati sconfitti e la morte ha prevalso sulla loro tenacia. Sono accanto a noi quando andiamo in vacanza imperterriti, sapendo che dall’altra parte quel mare non è felicità ma morte, sofferenza ed assieme speranza. Noi ci divertiamo a mare, ci rilassiamo e non ci domandiamo perché una stessa risorsa, una risorsa per tutti, debba essere fonte di felicità per noi e per qualcun altro fonte di sofferenza.
Stiamo perdendo il vero senso delle cose e sappiamo il perché: perchè è questa la morte.