Antropologi. Comincio a pensare di soffrire di una dipendenza da.
Stefano Bartezzaghi dalla prima pagina di Repubblica di oggi segnala una ricerca sulla letteratura di lingua inglese prodotta nel XX secolo, con risultati da non sottovalutare.
What are you in the mood for?: Emotional trends in 20th century books (Plus blog)
Il ricorso a termini come anger, disgust, fear, joy, sadness e surprise è stato in costante calo.
Autore un antropologo italiano trapiantato a Bristol, Alberto Acerbi. Pensate: qualcuno ha ritenuto importante finanziare una ricerca che ha comportato l’immersione di chi l’ha condotta nella lettura (certo, anche aiutata dell’informatica) di romanzi su romanzi. A cosa è servito? Non ci è dato saperlo, ma, ripeto, ci hanno investito denaro.
Mi sento a disagio. In Italia forse abbiamo sofferto troppo nel secolo passato? Siamo ancora nel pieno dell’euforia del dopoguerra? Per questo tanta gente vota ancora Berlusconi e accorre davanti al tribunale di Milano in lacrime per baciargli le mani e chiedergli ‘o miracolo?
Fatto sta che non è ritenuto utile studiare le sue sensazioni. Quelle della gente, mica di Berlusconi. Non penso che ci farebbe male un po’ di autocoscienza collettiva. Tanto per capire che cosa abbiamo fatto io o i miei avi perché meritassimo di vivere nel paese dove spopolano Moccia e l’adorazione del dio lucchetto.
A me, così a naso, la storia del secolo trascorso fa pensare che, avendo i paesi anglosassoni vinto la grande guerra, inventato la beat generation e che essendo comunque titolari di culture impregnate di pragmatismo nell’espressione dei vari credo religiosi, forse per questo possono permettersi con estrema nonchalance di dimenticarsi coscientemente dell’espressione dell’emotività all’interno di testi che le persone leggono, diciamo così, per svago. E dunque effettuando operazioni in netto contrasto con le logiche di pubblicazione che, almeno in Italia, ad oggi sembrano predominanti.
Forse è così allora (ma andrò a sbirciare le conclusioni della ricerca per capire meglio). Tant’è che dagli anni ottanta in poi la tendenza ha iniziato a invertirsi (mi mancano i dati dell’ultimo decennio), segno evidente dell’insorgenza di quel comportamento molto umano che porta ad aggrapparsi alle emozioni (lette e vissute) nei momenti di maggiore ansia per il futuro.
I loro dati indicano che l’uso di parole che esprimono sentimenti decresce generalmente nei libri pubblicati nel ventesimo secolo. Curiosamente, l’uso di parole relative al disgusto è declinato maggiormente. L’uso di termini connessi alla paura diminuì similarmente durante gli anni settanta, quando il trend prese una brusca impennata (e continuò a crescere nelle successive tre decadi). Quando tracciarono la frequenza di parole relative a gioia e tristezza, la tendenza di queste era correlata ai maggiori eventi storici come la seconda guerra mondiale e la grande depressione.
- Tu sei romantica.
- Ma se quando uno mi rivolge un complimento poco ci manca che lo azzanni alla giugulare. Ma no, ascolta bene, quando scrivo di emozioni, cerco di controllarne il flusso, per evitare che implodano all’interno, facendo sopraggiungere una silenziosa emorragia letale. Dovresti riconoscere le mie buone intenzioni. Migliorerò con l’esercizio, diventerò meno sentimentale. Ma tu cerca di smorzare quell’eccesso di realismo. Che non fa bene, hai visto il dollaro che fine sta facendo?
- Secondo me la deflazione non è una cattiva strategia.
- La mia era una provocazione, non m’intendo abbastanza di economia come di tanto altro.
- E cosa speri di ottenere?
- Un finanziamento alle mie ricerche sugli effetti della visione di fiorellini di campo nel primo giorno di primavera <3
Julie London - Cry me a river