Atterrare a Cuba ha lo stesso sapore di una vecchia fotografia degli anni ’50. L’aereo è stato una sorta di macchina del tempo, indietro nella storia e molto, molto lontano nello spazio. Il primo viaggio in taxi mette già in luce alcune facce che ci accompagneranno per tutta la permanenza; la dittatura c’è, si sente ma soprattutto si vede. Le immagini di Castro, del Che, i cartelli che compaiono a ogni angolo della strada, gigantografie come “en esta humanidad hay ansia de justicia” o “orden, disciplina y exigencia”, o ancora “revolución somos todos”. Qualora non ci fosse stato abbastanza chiaro, siamo nella Cuba di Castro, riportati indietro di cinquant’anni in un paese che continua a sentirsi in rivoluzione. Maria, guida al Museo de la Revolución ci racconta la sua storia e quella del loro salvatore: Castro li ha tirati fuori dalla terribile dittatura di Batista, Castro ha dato loro la scuola gratuita, un sussidio minimo alla popolazione e uno dei migliori sistemi sanitari a livello mondiale. Castro a differenza di tutti gli altri ha mantenuto le promesse ed è stato davvero vicino al suo popolo; aveva detto che non avrebbe abitato il palazzo reale e dopo il primo discorso, una volta preso il potere, il palazzo è diventato il luogo di una serie di uffici pubblici. Si percepisce una grande paura della sua morte, la sua immagine è più viva che mai; Raúl ha preso il potere, ma il cuore della gente lo guida ancora Fidel. Maria ci racconta di un aspetto unico qui a Cuba, la storia della doppia moneta. Nel 1994 a Cuba è stato introdotto il peso convertible (cuc) che si è andato ad affiancare al peso cubano. Da quel momento la differenza è abbastanza marcata: peso convertible per i turisti e chi lavora e commercia con loro e pesos cubano per tutti gli altri. Anche gli stipendi sono in due monete diverse. Da questo scenario inizia il rovescio della medaglia di una dittatura che sembrava, a primo impatto, aver fatto la gioia assoluta del suo popolo. Un peso convertible equivale a venticinque pesos cubani. Uno stipendio medio cubano si aggira intorno a cinquecento pesos cubani, venticinque pesos convertibles, poco più di venti euro. Venti euro al mese, che a un cubano bastano o, meglio, bastavano. La crisi, infatti, nonostante l’impenetrabilità di Cuba, si è fatta sentire e il lavoro circola meno facilmente. La señora Maria, sempre lei, ci dice di essere una professoressa di Storia. Fa parte di quelle migliaia di cubani che sono stati costretti ad abbandonare il loro lavoro per cercarne uno più remunerativo, per passare da un guadagno in pesos cubanos a uno in pesos convertibles. E spostandosi dalla scuola al museo, Maria è riuscita a “entrare in contatto” con il tanto agognato mondo dei turisti.
Maria, come molti altri, ha quindi iniziato da diversi anni la cosiddetta “caccia al cuc”: anche uno soltanto è in grado di cambiare la giornata e i salari delle famiglie alla fine del mese. Ragione, questa, per cui non è difficile incontrare persone come Maria o come Alfredo, ex professore di Chimica, oggi guida a cavallo nel Parque Nacional di Viñales. “Diventare professore a Cuba non ha nessun costo, è tutto gratuito, ma questo ha portato a un numero di professori incontenibile che non riesce a essere distribuito nelle scuole e ad arrivare a fine mese; cinque mesi fa è nato mio figlio Raúl, i tour a cavallo sono stati l’unica possibilità per far sopravvivere la mia famiglia” dichiara Alfredo. La sua casa ha una stanza in cui si cucina e in cui dormono in tre e un’altra stanza che funge da bagno con un buco per terra. Il pavimento è ancora costituito da semplice terreno che si inumidisce a ogni pioggia. “Paso a paso” dice, un poco per volta. Alfredo ci ha messo otto anni per costruire quella piccola dimora, anni di richieste di permessi e di duro lavoro. Sogna una casa con pavimento e un tetto stabile. Se questo sogno può continuare, dipende dal guadagno in pesos convertibles. Il governo di Cuba si è posto un termine per porre fine a questo doppio binario che non sta portando alcun vantaggio alla popolazione: il 2015 sarà l’anno della moneta unica, o almeno così si spera.
Cuba entra nell’anima per una serie di motivi, alcuni nemmeno lontanamente spiegabili, ma ce n’è uno che mi torna in particolare alla mente. Nonostante le condizioni estremamente precarie in cui vivono, nonostante una dittatura che lascia poca libertà d’informazione e una pressoché assente possibilità di avvicinarsi ai mezzi tecnologici, i Cubani sono felici. Ridono, scherzano, ballano. Ballano in ogni angolo delle strade. Non è un luogo comune, il ritmo ce l’hanno nel sangue. Sanno che, nonostante sia stato tolto il divieto di uscire dal paese, il 99% di loro i soldi per comprarsi un biglietto non li avrà mai. Sanno che il gigante Stati Uniti li ha messi in ginocchio, che l’embargo (di cui è stata chiesta la rimozione più volte dall’ONU) è un macigno pesante per un’economia piccola come Cuba. Eppure, sono felici. Lorenzo è un allenatore di baseball, uno dei pochi cubani che ha avuto modo di girare il mondo, persino di passare per l’Italia. Lorenzo ha visto quello che c’è fuori, l’apertura, la globalizzazione, una circolazione delle persone diventata oggi alla portata di molti, Internet come strumento nelle vite quotidiane. Niente di tutto ciò è presente a Cuba e tantomeno a Cienfuegos, dove vive. Eppure il sogno di Lorenzo non è quello di andarsene, ma quello di finire di costruire la sua casa in riva al mare. Ci mostra con orgoglio la pavimentazione di una decina di metri. L’ha costruita così, sempre “paso a paso”.
Cuba è un’immagine divisa in due parti, estremamente contrastanti tra loro. Colori accesi, macchine anni ’50, biciclette che sfrecciano per L’Avana da un lato, povertà estrema e degrado dall’altro. È una miseria che non ha rabbia, quasi accettata come se fosse l’unica condizione possibile per questo paese. Una cosa certa è che se i più dicono di non volersene mai andare, quelli che riescono a uscire dal paese verso altre mete (soprattutto il vicino Messico) è molto difficile che facciano ritorno. Un po’ come la storia delle colonne d’Ercole, chi ha il coraggio di conoscere cosa c’è al di là non può tornare indietro. Nel frattempo si balla, mangiando arroz y frijoles e non sentendo questi cinquant’anni che sono trascorsi.
Di Guendalina Maria Anzolin